Gli sciambule, l’Appennino, il passato che diventa speranza di futuro

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Avevo promesso agli amici lettori di questo blog di parlare degli sciambule, tradizionali canti di carnevale che vengono eseguiti in diversi posti della Capitanata, monumenti della cultura immateriale (che si sta dimenticando). A farmeli conoscere ed amare è stato Raffaele Iannantuono, che qualche anno fa ha voluto che scrivessi la prefazione di un suo bel libro sull’argomento Nìnne ka quèste jiè ‘a lùtema canzòne / Sciàmbule. Ecco il testo della introduzione al volume, che parla non solo degli sciambule, ma dei complessi percorsi che hanno portato alla loro riscoperta.
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Certi percorsi creativi non nascono mai per caso. Quello che ha portato Raffaele Iannantuono a scrivere questo prezioso libro sugli sciamboli di Pietramontecorvino, è un’altra tappa di un lungo cammino, ma forse la più significativa, perché racconta a suo modo una storia profonda, che sta oltre, e prima, e dopo, l’oggetto stesso della ricerca.
Ad essere più precisi, però, son proprio loro, gli sciamboli, a sublimare questo viaggio, divenirne un approdo naturale. 
Sotto, e prima, e dietro, e dopo il tragitto compiuto da Raffaele – non solo in questa opera, ma anche in quella, precedente, che aveva dedicato ai proverbi – c’è la voglia di raccontare l’identità di una comunità, e raccontandola, in qualche modo di tramandarla, sottraendola al rischio dell’oblio. 
Ha ragione Gabriel Garcia Marquez: “La vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda e come la si ricerca per raccontarla”. È un celebre passaggio di “Vivere per raccontarla”. È paradossalmente più semplice raccontare una vita individuale, si può farlo attraverso un romanzo, una biografia. Le cose si complicano quando si tratta di raccontare vite collettive. Raffaele Iannuntuono è mirabilmente riuscito nell’impresa: che altro sono proverbi e sciamboli, se non il capitolo di un racconto, le tessere di un mosaico che alla fine svela ciò che una comunità è stata, la sua storia?
Il libro è una storia che annoda tante altre storie: la memoria che diventa racconto, la ricerca che recupera i tratti distintivi della comunità. È un libro che poteva nascere soltanto qui, e non altrove. E non soltanto perché Pietramontercovino è tra i pochi comuni di questo lembo di Puglia a possedere questi piccoli grandi monumenti delle cultura immateriali che sono gli sciamboli. Ma perché qui a Pietra è in atto un processo profondo che cammina da un po’ di anni e di cui l’autore è uno dei protagonisti più qualificati e consapevoli, un enzima misterioso che rende praticabili imprese come questa che altrove sarebbero ai limiti dell’impossibile.
Ci ritroviamo a parlarne, con l’autore e il sindaco Rino Lamarucciola, nello studio del primo cittadino, dovendo decidere come e quando presentare il libro. 
Il discorrere diventa ad un certo punto ricordo. E man mano che i ricordi tornano alla luce, diventano più espressi i contorni di quel processo.
Non è forse qui che, giusto vent’anni fa, si stabilì uno spontaneo gemellaggio tra quelli della Pro Loco, guidata allora proprio da Lamarucciola, e che aveva tra i suoi protagonisti Raffaele, ed ancora Gianni Lingua e Claudia Clemente, e quelli de La Refola, rivista dell’area subappenninica che mi vedeva lavorare con l’indimenticabile Lillino Altobelli, Antonio Gelormini e Giovanni Aquilino, e che per prima teorizzò che ogni possibile prospettiva di futuro per il Subappennino doveva passare per la valorizzazione della cultura? 
Non è forse qui, caro Rino, caro Raffaele, che vent’anni fa demmo vita all’esperienza di Inedito d’autore, chiamando a raccolta giornalisti, saggisti, scrittori, artisti dell’intera provincia, per far vedere loro come il genio creativo sia di casa tra queste colline, tra queste antiche strade, muse naturali del genio e della buona vita? 
Non è qui, a Pietra, che si tiene, con la processione dei “palii” una delle feste patronali, quella di Sant’Alberto, più identitarie della Puglia? E non è qui che quel grande cineasta che è stato Luciano Emmer, volle ambientare le sequenze salienti di “Foggia, non dirle mai addio”, erigendo Pietramontecorvino ad omphalos della Capitanata?
Il bello di certi sodalizi ideali è che non si sottoscrivono davanti al notaio. Sono cose che ti porti dentro e che non t’abbandonano mai, prendono strade che non t’aspetti, e però mai ti abbandona la certezza che dietro la prossima curva, ritroverai il compagno di viaggio mai perduto, semplicemente perché si va – senza dirselo, senza darsi neanche appuntamento – nella stessa direzione.
Nell’austero ufficio del primo cittadino, in questa fresca mattina di luglio che soltanto questa collina può regalare, i ricordi si intrecciano alle emozioni. È come quando compiendo un lungo viaggio ci si ferma, e si guarda indietro, e si prova una vertigine accorgendosi di quanta strada si è percorsa: diventano sempre più nitide le tracce di quel viaggio comune, e sempre più evidente e chiaro perché certe cose possono nascere qui, soltanto, qui: a Pietra, e non altrove.
Perché, per esempio, qui il senso identitario, l’orgoglio dell’appartenenza alla cultura della comunità locale (il genius loci) sono rimasti vivi, come testimonia quest’opera esemplare. Il lavoro di Raffaele Iannantuono segue di alcuni decenni quello di Michele Melillo, dedicato agli sciamboli di Volturino. L’illustre glottologo poté lavorare su materiali ancora freschi ed attuali. Tra una ricerca e l’altra, corre il tempo di almeno una generazione, ma è stupefacente rilevare come anche a Pietra siano ancora assolutamente vive la memoria e la tradizione di questi canti popolari dalle radici così antiche e remote. 
Tantissimi petraioli hanno dato una mano alla ricerca, hanno raccolto i loro ricordi. Grazie a Raffaele Iannantuono ed alla sua opera: una tradizione orale che è stata finalmente strappata alle pieghe  della memoria fatalmente labile, messa nero su bianco, ennesima tessera di quel mosaico identitario che la comunità tenacemente compone, ennesima tappa di quel viaggio di cui ho già detto. 
Non è per niente un caso che il sodalizio con Rino e con Raffaele sia  nato da una recensione che scrissi dopo la prima edizione di Suoni, sapori e colori di Terravecchia, festa che per prima ed in tempi non sospetti, seppe puntare alla identità, al passato, al recupero ed alla valorizzazione del passato come elemento di costruzione del futuro, innescando iniziative importanti come il recupero del Castello Ducale. 
Il cerchio si chiude (si fa per dire, perché, come s’è visto, si tratta piuttosto di anelli concentrici che non si conchiudono mai: ci sarà ancora un altro libro di Raffaele, o un altro concerto, o un altro evento, ad aprire un altro anello): tra ricordi e progetti di futuro, la decisione che viene assunta nell’ufficio del sindaco è che il libro verrà presentato alla fine di agosto, in concomitanza con la giornata inaugurale di Terravecchia in folk. Al nostro incontro hanno partecipato anche i giovani organizzatori della manifestazione, Lorenzo Piacquadio e Andrea Lamarucciola. Due generazioni che assieme progettano il futuro, riflettendo sul passato, in un gioco sottile di rispecchiamenti. In Lorenzo e Andrea, ritroviamo il nostro entusiasmo di vent’anni fa. Nei nostri ricordi, i due ragazzi scoprono un senso nuovo, una nuova dimensione alla sfida che hanno intrapreso.
È come lo struggente racconto che, a mo’ di appendice, chiude il libro: l’olmo secolare che tante ne ha già viste e tante ne ha sentite, che si meraviglia e si emoziona alle note dell’ultimo sciambolo cantato dai ragazzi:  un gioco senza fine di generazioni e stagioni che si inseguono. Sciamboli come l’olmo secolare: simbolo di radici e di continuità, oltre la caducità delle vite individuali, espressione della vita collettiva e della dimensione comunitaria.
E ci accorgiamo, scoprendolo non senza una qualche vertigine, che anche questa coincidenza che ci ha portati oggi nello studio del sindaco, è tutt’altro che casuale. Com’è già successo tante altre volte, sono coincidenze, concomitanze che tradiscono e svelano empatie profonde: che puoi trovare soltanto qui, e non altrove
Come accadeva vent’anni fa per Suoni, Sapori e Colori di Terravecchia, Terravecchia in folk è la più promettente kermesse musicale nata negli ultimi anni in Capitanata, punto d’incontro tra la tradizione musicale locale e la world music, ed esempio stimolante di cosa possano essere e debbano diventare l’identità, il genius loci, ai tempi di internet e di facebook.
A esaltare questa identità che diventa mondo (perché a questo soprattutto serve recuperare l’identità, a superare i recinti ed i confini, piuttosto che a richiudersi), la presentazione di questo libro e l’inaugurazione del museo multimediale della Torre del Castello Ducale, che verrà dedicato, per decisioni congiunta delle amministrazione comunali di Pietramontecorvino, Biccari, Volturino e Motta Montecorvino, proprio agli sciamboli che avranno, per la prima volta in Italia, una loro esposizione permanente.
Come si vede, il cerchio si chiude. Anzi no.
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Author: Geppe Inserra

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