Luigi Pinto, un sacrificio sempre attuale

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Che brutti scherzi gioca il destino, Gino.
Avresti potuto accettare quel posto da ferroviere conduttore che avevi vinto con merito. Oggi forse staresti a goderti la pensione da qualche parte. Oppure avresti potuto andartene in Brasile con tua sorella Nunzia e tuo fratello Lorenzo, così come sognavate da ragazzi. O restare in Sardegna a fare il capotecnico a Porto Torres.
Mestieri ne avevi provati tanti, a Foggia: d’estate allo zuccherificio per pagarti le tasse e i libri, nell’officina di tuo cognato a riparare lavatrici e perfino proiezionista all’Ariston.
Ma tu volevi cambiare il mondo, e sapevi che il modo migliore per farlo è quello di formare le coscienze dei giovani, insegnargli a pensare in modo diverso, a non accontentarsi della realtà e della società che gli stanno attorno.
Volevi cambiare il mondo e sapevi che per farlo bisognava prima cambiare la scuola.
Eppure una certa scuola non ti piaceva. Non quella fredda e paludata tra i cui banchi avevi passato la tua giovinezza. T’era rimasta dentro quella sospensione inflitta dalla docente di italiano, perché avevi voluto scrivere di testa tua, violando la tacita regola secondo cui il tema in classe dev’essere un esercizio di genuflessione all’ideologia e alla cultura dominante. Guarda un po’, l’argomento del compito era la scuola, e suppongo che nelle facciate consegnate all’insegnante avessi raccontato la scuola che volevi, che sognavi.
Ti eri diplomato all’Istituto Tecnico Industriale Altamura nel 1968, giusto un anno prima che prendesse a spirare forte il vento della contestazione, con “operai e studenti uniti nella lotta”. Il tuo istituto sarebbe stato il primo ad essere occupato a Foggia e temo ti fosse rimasto dentro il rimorso di non esserci.
Sarà stato per questo che hai deciso di lasciare la fabbrica e di presentare la rituale domanda di incarichi e supplenze, forca caudina di tutti quelli che aspirano ad una cattedra. Destinazione Nord, per star vicino ad Ada, la donna della tua vita, e perché là era più facile trovar lavoro rispetto al Sud.
Emigrato intellettuale, come tanti altri ragazzi della tua generazione, ma dentro l’entusiasmo di chi ama la vita, ed ha ancora tutte le possibilità davanti a sé.
Nella scuola ci entri subito: insegnante di applicazioni tecniche alla scuola media.
Docente precario in posti che per sapere dove stanno ci voleva l’atlante, come Berbantino e Castelnuovo, provincia di Rovigo. Ma il tuo entusiasmo contagia subito tutti, colleghi e studenti, assieme alla tua simpatia, alla tua faccia pulita, solare, onesta e sorridente, alla tua capacità di educare oltre gli schemi, insegnando prima di tutto quella vita che amavi tanto.
Ai ragazzi piaci, per quel tuo modo di farli lavorare e progettare insieme, li coinvolgi. La classe diventa un laboratorio, un momento di confronto e di dialogo.
Poi eccoti in provincia di Brescia: scuola media statale di Siviano di Monte Isola, con qualche ora “di completamento cattedra” a Lumezzane e a Calcinato. Abiti ancora a Milano, e ogni mattina devi alzarti all’alba, e poi sbatterti tra una sede e l’altra. Parti col treno,  un altro tratto in auto, poi la barca e infine a piedi.
Ma è il lavoro che ti piace, e ti sembra di toccare il cielo con un dito quando metti su famiglia e casa a Brescia, dove cominci a impegnarti in Avanguardia Operaia e nella Cgil Scuola.
Che brutti tiri fa la sorte, Gino. Tra mille possibili direzioni, il sentiero della vita ti ha portato proprio qui.
Un giorno di fine maggio non dovrebbe piovere così, nemmeno a Brescia.
E invece le nuvole grondano lacrime e presagi, in quella piazza. Indossi il giubbotto nuovo comprato con Lorenzo un mese prima e chissà, se non avesse piovuto così forte, forse non avresti cercato riparo sotto il portico, a due passi dal cestino portarifiuti dove i fascisti hanno piazzato quella bomba micidiale.
Erano le 10.12 del 28 maggio di quarant’anni fa, quando il boato e lo scoppio spensero il tuo sorriso. Quattro giorni dopo il tuo destino si compì, e non so dire se fu cinico o beffardo o soltanto assurdo, perché non si può morire a venticinque anni, quando hai ancora tutta la vita ad aspettarti.
Però, Gino, nessuno vive invano e nessuno muore invano. Volevi cambiare il mondo, e un po’ ci sei riuscito. Perché dopo Piazza della Loggia niente è stato come prima.
Grazie di esserci stato. Grazie del tuo sorriso, Gino.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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