Capitanata schiavista, Capitanata solidale

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Da Foggia e dalla Capitanata scappano ormai tutti. Residenti
abituali e immigrati, che arrivano in provincia di Foggia, ma dopo un certo periodo di permanenza fuggono. L’articolo pubblicato sull’argomento da Lettere Meridiane fa discutere.
Sul tema interviene la Cgil, che denuncia il paradosso di
una provincia ricca di fermenti civili rivolti a consolidare le opportunità di
integrazione dei migranti, ma in cui nello stesso tempo esistono forze che
ostacolano consapevolmente il cambiamento: “Riflessioni condivisibili, una
provincia povera, di lavoro e servizi, spinge ad andar via i migranti così come
i giovani che qui sono nati. Due annotazioni a integrare: non che consoli ma è
un segnale di ricchezza civile, questa provincia vanta una rete associativa e
di chi opera nel settore della mediazione culturale e assistenza ai migranti
invidiabile per numero e professionalità. Purtroppo può accadere che c’è chi
prova a trasformare questo in business, e ostacola allora interventi strutturali,
perché nell’emergenza perenne, nell’arretramento del pubblico, si inserisce il
privato ammantato di sociale. Occorre vigilare. Seconda cosa: senza mettere
mano in maniera radicale all’assurda e discriminatoria legge che regola
l’immigrazione nel nostro paese, e che porta i nomi di due signori come Bossi e
Fini, sarà difficile provare a contrastare in maniera fattiva i fenomeni dello
sfruttamento. Una persona senza diritti è una persona ricattabile. Una persona
senza diritti non può accedere alle strutture pubbliche, sanitarie, ricettive.

Certo, la forza lavoro immigrata in questa provincia, soprattutto in
agricoltura, rappresenta una componente fondamentale nella produzione della
ricchezza interna. Perdere lavoratori immigrati è un segnale di declino e non
può lasciarci indifferenti.”

Secondo Marco Barbieri, docente universitario ed assessore
regionale nel primo esecutivo presieduto da Vendola, l’articolo propone “una
lettura un poco troppo semplificata. Non era l’albergo diffuso il cuore
dell’intervento regionale, solo una parte complementare. e negli anni ci sono
stati effetti diversi (prima e dopo la crisi, per esempio. Ma non solo)”
.
Ninì Russo interviene proponendo una lettura complessa del
fenomeno, parlando di uno schiavismo diffuso che non riguarda soltanto la
terra, ma un po’ tutti i settori della vita civile. Concordo, perché alla base
della scarsa qualità della vita che angustia residenti e non c’è il problema
della illegalità.  “Il mite e sapiente
coltivatore nei panni dello schiavista! Ma tant’è! –
scrive Ninì Russo – Ma a
pensarci bene, siamo una comunità di schiavisti! Vale anche per il muratore
divenuto palazzinaro, il cooperatore padroncino, il medico ricettario, il
carrozziere inventa infortuni, l’impiegato al bar e via di seguito. Non ci sono
comportamenti individuali che non siano determinati da comportamenti sociali,
ogni persona riflette e assume i punti di vista degli altri; ciascuno di noi è
il frutto delle dinamiche sociali della sua comunità. Dico questo per affermare
la responsabilità della politica, che quelle dinamiche promuove e suscita. Non
ci vogliono grandi scervellamenti per individuare come dinamiche malavitose,
nel senso di vita malata, quelle prodotte dalle politiche nostrane.”
Accorata e un po’ amara la riflessione di G Luca Lienosus,
che scrive: “è matematicamente impossibile che un qualunque cittadino, da
qualunque parte provenga, si possa trovare bene, in territori dove già da tanto
tempo non ci sono più risorse agricole ed industriali adeguate per i propri
cittadini, figurarsi per gli extracomunitari. Per tutto il resto, poi c’è ben
poco da dire, è già stato detto in diversi discorsi a livello Nazionale. L’immigrazione
selvaggia è un problema per tutta la Nazione. Altroché Parma ed
Emilia-Romagna…. Guardate la Lega, quanti consensi sta  ricevendo, proprio perché tutte, tutte, tutte le
città italiane sono sull’orlo di una crisi di nervi. Se non si farà qualcosa, e
non è un luogo comune, gli extracomunitari tra un po’ saremo noi. E il bello è
che i nostri figli saranno immigrati da un’altra parte. Sono arrivato a 41 anni e c’è l’amara prospettiva per me e
la mia famiglia.. di essere degli eterni immigrati… Ieri per noi.. domani per
i nostri figli. Che dire, siamo il Paese del…si salvi chi può!”
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Author: Geppe Inserra

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