Fuggi da Foggia. Anzi dalla Capitanata.

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Provincia inospitale. Che respinge, più che attrarre. Che sta perdendo la materia prima, la risorsa fondamentale per ogni sfida di futuro: persone, intelligenze, cuori che se na vanno, sempre di più.
È su questi  dati che occorrerebbe riflettere, prima di avventurarsi in improbabili riflessioni su come risalire la china. Le donne e gli uomini sono il motore fondamentale del progresso. Senza di loro non si va avanti. Si resta al palo, o peggio ancora, si va all’indietro.
I dati, dicevo. La Capitanata è la seconda provincia italiana nella triste classifica dell’emigrazione interna. Peggio di noi, fa solo Napoli. Tra il 2011 e il 2012 abbiamo perduto 3.132 persone (il capoluogo partenopeo 18.549). Le cose vanno appena un po’ meglio se si prendono in considerazione non le cifre assolute ma le percentuali: con un saldo migratorio negativo del 5,2 per mille, ci collochiamo al quarto posto, dietro Vibo Valentia, Napoli e Reggio Calabria. La provincia di Foggia è però tra quelle pugliesi quella di gran lunga più colpita dal fenomeno dell’emigrazione interna.
Nella classifica delle prime dieci provincia, assieme alla nostra c’è soltanto quella di Taranto, e non è un caso che si tratti dei territori pugliesi maggiormente e più duramente colpiti dalla crisi economica.
Nel periodo preso in considerazione la Puglia (che si situa complessivamente al quarto posto tra le regioni italiane per saldo migratorio negativo con  meno 2,7 per mille), ha perduto 10.850 dei quali: più della metà sono partiti da Foggia e Taranto, e un terzo dalla sola provincia di Foggia. È un contesto che conferma l’esistenza di profondi divari interni in seno alla Puglia. Ed anche su questo sarebbe il caso di riflettere, soprattutto da parte della politica.

I dati sono ricavati dal primo Rapporto sulle migrazioni interne realizzato dall’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr, che approfondisce un fenomeno che con la crisi ha ripreso vigore.
Ad andarsene sono, soprattutto, badanti, braccianti, professori, studenti, e dunque il fenomeno messo in luce da Lettere Meridiane e lungamente dibattuto tra gli amici e i lettori (tanto che gli abbiamo dedicato una pagina): non è frutto di caso o di una coincidenza. È parte di un fenomeno complesso che impoverisce il Mezzogiorno in generale, e in modo particolare la nostra terra.
Tra quelli che se ne vanno ci sono prima di tutto “gli stranieri – spiegano i ricercatori del Cnr -, che tendono a spostarsi in proporzione maggiore. Le donne straniere tra i 50 e i 64 anni in particolare presentano tassi di mobilità elevatissimi, legati al lavoro di cura e domestico, in continuità con un dato presente fin dagli anni del miracolo economico. Le migrazioni coinvolgono poi insegnanti e studenti fuorisede spesso coinvolti in dinamiche ad alta frizione che chiamano direttamente in causa la politica.”
Per quanto riguarda le aree più attrattive del Paese si manifesta una tendenza molto diversa rispetto a quella che caratterizzò il fenomeno migratorio negli anni Sessanta: non più Piemonte a Lombardia, come accadde allora, ma Emilia Romagna e Trentino Alto Adige. Le province che hanno maggiormente svolto la funzione di calamita sono Bologna, Rimini, Monza, Pavia e Trento.
Alla base del fenomeno c’è il desiderio di vivere meglio, di cercare altrove miglior fortuna: “I dati rilevati – ammoniscono i ricercatori – sono spesso sovrapponibili a quelli dei rapporti curati dal Sole24Ore o da Legambiente su qualità della vita urbana e servizi”.
Ce n’è abbastanza su cui riflettere. Attentamente.

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Author: Geppe Inserra

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