Il viaggio di San Francesco a Pulsano

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Pubblichiamo la seconda e ultima parte del libro di Giovanni Tancredi, Su le balze garganiche. Lo scrittore di Monte Sant’Angelo descrive l’Abbazia di Santa Maria di Pulsano e le “grancie”, ovvero le celle dei monaci eremiti. Secondo la tradizione, in una di tali celle si sarebbe fermato ed avrebbe pregato San Francesco.
Nella prima puntata, che potete leggere cliccando qui, lo scrittore aveva descritto il pellegrinaggio del Frate di Assisti a Monte Sant’Angelo. Per saperne di più su Giovanni Tancredi, cliccando qui accedete, invece, alla scheda su di lui de La meravigliosa Capitanata, la rubrica del sito della Biblioteca Provinciale dedicata agli autori e ai personaggi illustri di Capitanata.
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A SANTA MARIA DI PULSANO
I due novelli apostoli della carità e della fratellanza
umana ripresero il cammino tra gl’impervi sentieri delle creste montane e delle
balze rocciose garganiche fino a quando raggiunsero la celeberrima Badia di Pulsano
indorata lievemente dagli ultimi raggi dell’immenso globo purpureo, Frate Sole,
che tramontava dietro monte Calvo fra nuvole sanguigne.
A S. Giovanni da Matera (1129 – 1130) fondatore del
Monastero di Pulsano successe il suo discepolo prediletto, il Beato Giordano (1134
– 1145) da Monteverde, allora città episcopale della provincia di Avellino; indi
il Beato Gioele da Monte Sant’Angelo (1165 – 1177).

Dappoichè il monastero di Pulsano quale l’aveva edificato S.
Giovanni da Matera non bastava più al numero dei monaci che vi accorrevano, né
conveniva all’importanza cui era assurto come capo di estesa e numerosa
Congregazione, il Beato Gioele fece elevare nuove e grandi fabbriche, la cui
maestosità e robustezza si ammirano ancora nelle aule grandissime, nelle arcate
elevate e il tutto ornato con sculture romaniche di cui oggi rimangono un artistico
portale e tre finestre delle quali una rotonda.
E che la Congregazione anche durante i primi successori del
Beato Gioele continuasse a fiorire, a crescere, è dimostrato all’ evidenza dalla
istituzione di ben ventotto monasteri pulsanesi di cui sei femminili e dalle
sempre nuove concessioni fatte ad essi dal papi con grande benevolenza. Fu
probabilmente durante il pontificato di Innocenzo III (quello stesso Papa che nel
1210 approvò la Regola dei Frati Minori) che gli abbati di Pulsano ottennero l’esenzione
completa dalla giurisdizione dei Vescovi per sé e per tutta la congregazione, perché
nelle lettere di Onorio III (1216 – 1227) Pulsano si dice ad Bonamun Ecclesiam
nullo medio pertinentem
, e la benedizione degli abbati anche del monasteri
dipendenti si ricorda come riservata al Papa.
Certamente la prudenza dei Puisanesi fu molto apprezzata da
Innocenzo III (1198 -1216) come si rileva da documenti del 18 dicembre 1211,
del 1216, del 1217.
Il giudizio dei papi nei riguardi di Pulsano può dirsi
compendiato in queste parole di Onorio III: “Inter convicinia monasteria
bonorum temporalium consuevit ubertate florere, ac vigere adeo ibidem opera pietats,
quod plerique in unguentorum suorum odorem currebant”
(tra i monasteri vicini
fu solito essere splendido per ricchezza di beni temporali e a fiorire talmente
per opera di pietà che la maggior parte accorreva all’odore dei suoi unguenti).
Fu anche Onorio III che diede a Francesco nel I2l6 la
concessione di pubblicare quel Perdono di Assisi che non aveva fin allora avuto
precedenti se non nell’indulgenza ammessa alla visita dei Luoghi Santi e nel i223
la solenne seconda conferma alla istituzione dei Frati Minori.
Il Serafico di Assisi che percorreva in lungo ed in largo le
contrade italiche, in special modo l’ Umbria e la Toscana, dovè certamente aver
sentito parlare dei monasteri pulsanesi e della vita austera dei monaci che in
essi vivevano.
Frati pulsanesi si trovavano nella chiesa di S. Michele di
Guamo a circa cinque Km da Lucca, nella via Pisana alle radici del monte di S.
Giuliano, nel monastero e nella chiesa di S. Maria Intemerata di Fabroro fuori
Firenze a circa due miglia a occidente di Bagno a Ripoli, presso il fiume Enna
in S. Michele degli Scalzi ed in S. Giacomo de Podio nella diocesi di Pisa in
S.Maria di Valvenda diocesi di Orvieto; nella chiesa di S. Salvatore e nel grande
monastero omonimo che la tradizione dice essere stato capace di alloggiare cento
monaci; in S. Croce del Corvo diocesi di Luni (Modena).”Non si conoscono,
scrive il dotto benedettino S. Leone Maltei Cerasoll, le ragioni di queste
richieste di pulsanesi così da lontano e l‘offerta loro fatta di chiese (e di
immensi beni), ma si può credere che ciò avvenisse per la venerazione dei pellegrini,
i quali andavano al Santuario di S. Michele nel Gargano, colà udivano gli elogi
della vita di quelli eremiti, ne visitavano la chiesa e, tornati in patria,
magnificandone la santità, procuravano che fossero chiamati per il culto di
qualche chiesa abbandonata”.
Appunto dai pellegrini che ritornavano nell’Umbria e nella
Toscana e dai numerosi monaci Pulsanesi che vivevano nei monasteri già citati, il Fraticello di Assisi poté essere informato delle meraviglie della celestiale
Grotta di S. Michele e della grandiosa Badia di Pulsano tanto da indurlo a visitare,
in una delle sue innumerevoli peregrinazioni, sia l’una che l’altra. A tutto
questo aggiungasi che la Badia di Pulsano aveva acquistato rinomanza specie in
seguito alla visita di Papa Alessandro III (1159 – 1181), il quale «giunto al
Monte Sant’Angelo il 24 gennaio del 1177, al 27 consacrava solennemente la
chiesa di S. Maria di Pulsano, concedendo delle indulgenze, di cui però non si
ha memoria».
Secondo alcuni scrittori in quella occasione canonizzò S.
Giovanni da Matera collocandone il sacro corpo sotto l‘altare maggiore. Da
Viesti al 9 di febbraio, prima d’ imbarcarsi per Venezia dove doveva incontrare
il Barbarossa per la pace della Chiesa, rilasciava al priore Antonio di Pulsano
la Bolla, in cui seguendo l’esempio del predecessori Innocenzo II (1130- 1143) ed
Eugenio III (1144 – 1153) prende sotto la protezione Apostolica la Badia e
tutti i monasteri e chiese Pulsanesi, di cui riporta l’elenco comandando che vi
si osservi la vita eremitica, che tutti riconoscano l’abbate di Pulsano come
loro capo — ad voc sicut ad caput suum resplciant — il quale ha diritto di
riforma e di correzione su tutti i monaci e abbati dipendenti.
S. Francesco d’ Assisi, afferma il padre Serafino Montorio
in Zodiaco Mariano (Napoli 1715), sostò qualche giorno nella Badia pulsanese in
fervida orazione e penitenza;  d’altra parte, seguendo la tradizione locale,
Pulsano e la Cella della Rondine, una delle tante grancie che si affacciano al
Vallone dei Romiti, sono legati intimamente al ricordo del passaggio, quivi,
di S. Francesco.
AI tempo della visita dell’assisiate a Pulsano era abate
Stefano (1218 – 1224).
LE «GRANCIE»
A poca distanza dal convento, che si ergeva come turrito
castello e di cui permangono le maestose rovine annerite dal tempo, vi sono le
grande, le celle, come le chiamano i pastori, le quali furono il nucleo della
Congregazione pulsanese.
I turisti, non quelli da strapazzo, ma quelli dai garretti
d’acciaio e dal cuore saldo, se vogliono provare la emozione dei ripidi pendii,
delle rocce inaccessibili. degli abissi paurosi devono salire appunto su queste
“celle” sparse sui versanti dei monti, che formano il Vallone dei Romiti, ove i
monaci si ritiravano per lo studio, per la preghiera e pel lavoro. I piccoli
romitori di due, tre vani ciascuno sembrano dei punti oscuri negli anfratti
montuosi: essi sono punti di attrazione pel visitatore, il quale sente il bisogno
irresistibile d’inerpicarsi a tutti i costi sugli impervi sentieri, ove soltanto le capre possono salire
agilmente.
Nella cella di S. Nicola, sottostante al Convento, si
osservano, a destra dell’entrata, S. Benedetto che prega davanti al Crocefisso
e nell’architrave, dalla parte interna, l’ Annunciazione. in quella di S.
Giovanni da Matera, scavata ai piedi dl una montagna rimpetto la valle che
correda sud a nord si vedono nel centro dell’architrave, dalla parte esterna,
la Madonna, che ha una figura angelica a sinistra ed un benedettino in ginocchio
con corona, a destra.
Dopo la visita alle suddette celle, s’ inizia di rimpetto a
quella di S. Giovanni, l’ascesa faticosa e pericolosa e si perviene ad un
romitorio che non ha nome, come tanti altri; indi a quello della Rondine,
situato molto in alto. In esso pare che S. Francesco d’Assisi si fermasse. come
già si è detto, qualche giorno in fervida adorazione e penitenza nel ritorno
che fece dalla Puglia, rendendo grazia a Dio di avergli fatto contemplare uno
del più grandiosi panorami.
Sul versante opposto, sempre guardando il Vallone dei
Romiti, si trova il Pinnacolo che mette spavento soltanto a guardarlo. Il
visitatore non sa spiegarsi come abbiano potuto fare i monaci pulsanesi a trasportare
il materiale fin lassù sull’abisso spaventoso.
Nel Pinnacolo si osservano nel centro un altare sul quale si
apre una nicchia scavata nella roccia e a destra la Immacolata Concezione
dipinta sul muro col versetto: In Conceptione Virgo Immaculata fuisti — Ora pro
nobis Patre(m) (cuis fllium pe)peristi. 
(Nel tuo concepimento Vergine immacolata fosti. Prega per
noi il Padre di cui il figlio partoristi). Ed a sinistra, S. Giovanni Battista,
anche dipinto, con la iscrizione: (In) ternatos mulierrum no(n) surrexit maior
I. B.  (Fra i nati di donna non nacque maggiore
di Giovanni Battista).
Nel mezzo in alto sulla volta è affrescata una colomba.
Sunt lacrymae rerum. Davvero il pianto dl questi affreschi
logorati dall’umidità, il genere di quelle pareti scorciate barbaramente dai
caprai commuovono gli amatori d’ arte che dinanzi a queste rovine provano una
stretta al cuore.
Sullo stesso versante del Pinnacolo si apre un altro
romitorio di cui non c‘ è stato tramandato il nome e rlmpetto a quest’ultimo la
cella degli Studi.
L’origine del nome di queste celle che si affacciano nel
Vallone del Romiti bisogna ricercarla nella loro posizione e nel loro uso o
nell’omaggio al Santo Fondatore.
Il benemerito Comitato Pro Pulsano tra le tante attività
dovrebbe espletare anche quella di far rintracciare gli antichi sentieri che
salivano sui versanti e sulle cime dei monti che formano il Vallone del Romiti
e, dov’è possibile, renderli più praticabili con una buona sistemazione in
modo che gli appassionati di emozioni e di antichità possano visitare senza pericolo
quei romitori ove vissero nella contemplazione e nella penitenza umili frati
veramente degni della Misericordia dl Dio, perché lontani dalle passioni
mondane.
Giovanni Tancredi 
(2.fine)
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Author: Geppe Inserra

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