Lo sfogo dell’Arcivescovo Pelvi: “Foggia non è una città cristiana”

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“A Foggia ognuno guarda all’altro come ad un ostacolo, e non come ad una risorsa.” Mons. Vincenzo Pelvi, arcivescovo di Foggia, sceglie un’occasione ed una platea che non t’aspetti per lasciarsi andare ad uno sfogo accorato, dietro il quale s’intuisce la preoccupazione del pastore che vede il suo gregge sempre più sparso, e sparuto, con le pecore che si combattono l’una con l’altra.
Il presule parla al pubblico convenuto alla Sala Farina per partecipare alla presentazione del bel romanzo di Edgardo Longo, “La felicità, trovare la perla nascosta” (di cui abbiamo diffusamente parlato in una precedente lettera meridiana).
Le sue parole e le sue esortazioni sono spiazzanti e rivelano un’amarezza profonda verso Foggia, “una città che non può dirsi cristiana, se permette che in pieno inverno ci siano bambini che girano con gli infradito ai piedi, perché i loro genitori non possono comprargli le scarpe”.
Una Foggia che confonde il sacro col profano, aggiunge l’arcivescovo, stigmatizzando senza mezzi termini quanto è accaduto alla vigilia di Natale, con il centro stracolmo di cittadini festanti che festeggiavano la venuta al mondo del Redentore,  riempendo bar, pub e locali e rimpinzandosi di cibo di strada. “È stato un rito pagano colorato di cose cristiane”, si lamenta Pelvi, che incalza: “non viviamo più né in una società cristianizzata, né in una città devota.”
Eppure proprio qui, a Foggia, è fiorita la beata Maria Celeste Crostarosa, monaca di clausura, fondatrice dell’ordine delle Redentoriste, la “santa priora” che nel romanzo di Longo propizia la conversione della giovane Carla, giornalista atea e  donna esuberante.
L’arcivescovo si domanda cosa abbia comportato la sua presenza ed il suo carisma in città, se sia cambiato qualcosa. Che “ricezione” abbia avuto Maria Celeste Crostarosa nel clima culturale e religioso della città. Ma anche in questo caso la risposta è improntata a pessimismo.
“A Foggia le donne sono ancora schiave – osserva -. Non c’è la giusta attenzione all’esperienza del femminile.”
Ma proprio dalla beata Crostarosa, dalle donne potrebbe giungere la svolta. Perché a giudizio dell’Arcivescovo il male più acuto della città sta nella sua incapacità di aprirsi alle relazioni e “le donne hanno la capacità di aprirsi e di relazionarsi più degli uomini.”

Il discorso diventa quindi teologico: “Essere mistica come lo fu la Beata Crostarosa non significa rifuggire dal mondo, scegliendo la clausura. Significa anzi non smettere di camminare nel quotidiano, nel presente. Imparare ad avere compassione di sé, che è la via che porta ad aprirsi agli altri. Cambiare la propria vita, in una dinamica di relazione.”
Per questo, conclude Pelvi, “la Beata non va ammirata, ma imitata.” Una imitazione che deve prima di tutto portare a non diffidare più, ad aprirsi alle relazioni a comprendere che “la paura danneggia la speranza”.
L’arcivescovo si aspetta una maggiore sensibilità da parte della comunità foggiana, anche per difendere il Monastero di via Napoli, che è a rischio perché le suore ospitate si sono ridotte a sette. “La comunità delle Redentoriste è un meraviglioso dono che la città di Foggia ha ricevuto, ma se finiscono le suore avremo il paradosso di una Beata senza più comunità.”
Mons. Pelvi invita espressamente i laici a mobilitarsi, creando “una sensibilità di popolo” con l’obiettivo di sollecitare il padre generale dell’ordine affinché a mandare a Foggia altre suore. “La presenza femminile è una risorsa per la città.”

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Author: Geppe Inserra

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