Cinemadessai | Guardando “Ladri di biciclette” ho imparato ad amare il cinema. Quanti come me?

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OGGI
Italo Calvino sosteneva che “i classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: «Sto rileggendo…» e mai «Sto leggendo…».” Lo stesso discorso si può fare sul cinema e su film che sono diventati classici, come Ladri di biciclette. È il film che mi ha fatto amare il cinema, così come King Lear mi ha fatto innamorare del teatro, e Don Chisciotte della letteratura. Superbo, insuperabile, nonché atto di nascita della più grande stagione che il cinema italiano abbia mai vissuto.
La cultura italiana non ha mai tributato il giusto omaggio a Vittorio De SicaLadri di biciclette non è soltanto un film, ma un punto di svolta, che segna la fine di un’epoca culturale e l’inizio di un’era nuova. Per collocarlo nella giusta dimensione, va ricordato che non fu il primo film neorealista di De Sica, che ci aveva provato già con Sciuscià, che naufragò al botteghino, al cospetto di un pubblico abituato ai grandi film hollywoodiani e a quelli zuccherosi dei telefoni bianchi durante il fascismo. De Sica non si arrese, e riprovò con Ladri di Biciclette, investendo proprie risorse nella produzione.
Girato per lo più con attori professionisti (ma tra le comparse figura Sergio Leone), il film ebbe un successo internazionale, che mai nessuna pellicola italiana aveva conosciuto, prima d’allora. Vincitore del premio Oscar e del Golden Globe come miglior film straniero, Nastro d’Argento nel 1949,è stato ritenuto il più grande film di tutti i tempi dalla rivista cinematografica britannica Sight & Sound. Nel 1958 fu dichiarato il secondo miglior film di sempre alla Confrontation di Bruxelles, da una giuria internazionale di critici. Venne distribuito in quindici paesi esteri.
La chiave del film, come dichiarato dallo stesso De Sica in un’intervista alla Fiera Letteraria è «Rintracciare il drammatico nelle situazioni quotidiane, il meraviglioso nella piccola cronaca». Un obiettivo che il regista ottiene alla perfezione, ben sostenuto dalla sceneggiatura di Cesare Zavattini.
In Che cos’è il cinema (Garzanti, 2000), il critico André Bazin sottolinea ed esalta la capacità innovativa di De Sica: «La riuscita suprema di De Sica, a cui altri non hanno fatto sinora che avvicinarsi più o meno, è di aver saputo trovare la dialettica cinematografica capace di superare la contraddizione dell’azione spettacolare e dell’avvenimento. In ciò, Ladri di biciclette è uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema.»
La storia è arcinota. La vita sembra sorridere ad Antonio Ricci (Lamberto Maggiorani), disoccupato, che trova un impiego come attacchino di manifesti. Per poter lavorare deve possedere una bicicletta. La sua è impegnata al Monte di pietà, per riscattarla, sua moglie (Pianella Carell) è costretta a dare in pegno le lenzuola di casa.
Mentre Ricci sta affiggendo un manifesto, la bicicletta gli viene rubata. Assieme ad alcuni amici e a suo figlio Bruno (Enzo Staiola) si mette alla ricerca del ladro, ma senza successo. La vana ricerca della bicicletta rubata è raccontata da De Sica e Rossellini attraverso una serie di memorabili scene e quadri di vita quotidiana che per  portano la macchina da presa nella realtà più cruda. La rivoluzione estetica è compiuta.
Di straordinaria intensità il finale. Da rivedere ogni volta che si può, come appunto si addice ai classici. Stasera, all’1.50 su Canale 5.
DOMANI
La ragazza di Bube, tratto dal romanzo omonimo di Carlo Cassola, è un film denso e complesso. Luigi Comencini affronta un tema delicato: i difficili rapporti tra quanti durante la guerra si sono trovati gli uni contro gli altri. Ex partigiani contro ex fascisti. Siamo in Toscana, subito dopo il conflitto bellico.
La contadina Mara (una strepitosa Claudia Cardinale) si innamora dell’ex partigiano Bube (George Chakiris), più grande di lei di alcuni anni. La loro relazione è funestata dall’omicidio che Bube compie ai danni di un ex fascista. Per sfuggire alla giustizia scappa e si dà alla clandestinità. Per molto tempo, Mara non ha più notizie del suo Bube. Si trasferisce in città dove trova un lavoro e s’innamora di Stefano (Marc Michel), che vorrebbe sposarla.
Improvvisamente, la ragazza apprende che Bube è tornato, è stato arrestato e processato, ed è in carcere a scontare la sua condanna. Mara va a trovare Bube in prigione, e decide di tenere fede alla sua promessa: lo aspetterà fin quando non avrà scontato la sua condanna, e perciò respingerà le proposte di matrimonio di Stefano.
David di Donatello e Grolla d’oro a Claudia Cardinale come miglior attrice protagonista. “Comencini – ha scritto FilmTv – racconta senza retorica i drammi del dopoguerra, l’amarezza degli ex partigiani delusi nelle speranze politico-sociali. È una delle migliori interpretazioni della Cardinale.” Domani sera, alle 21.10, su RaiStoria.

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Author: Geppe Inserra

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