L’Italia che si sta chiudendo (di Marcello Colopi)

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Marcello Colopi, sociologo, attore e regista, vive sul campo e in prima persona i problemi legati all’accoglienza degli immigrati, in un contesto difficile e particolare quel è quello di Cerignola dove opera come responsabile dello sportello immigrazione “Stefano Fumarulo” e come presidente della consulta delle politiche migratorie del Comune. Le riflessioni che seguono sono scritte dunque da un punto di vista “di parte”, ma proprio per questo ancora più interessante, perché al di sopra degli stereotipi che solitamente accompagnano le discussioni sul tema. 
Sulla questione degli immigrati, dell’accoglienza, dell’integrazione si possono avere opinioni diverse e divergenti. Ma è un obbligo morale informarsi sulle conseguenze che le scelte politiche provocano sui destini e sulle vite di tante donne e uomini. L’articolo di Colopi è un utilissimo contributo. (g.i.)
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Lo ammetto: non volevo scrivere questa mia riflessione sul decreto Sicurezza del ministro Salvini, perché, in cuor mio, con molta ingenuità, fino all’ultimo ho sperato che il decreto non venisse licenziato. Invece il decreto è bello e pronto. 
In questa riflessione non tratterò l’argomento in modo tecnico (non ne ho le competenze, né le capacità) ma cercherò di spiegare cosa accadrà nelle vita di tanti ragazze e ragazzi che da tempo vivono nel nostro paese. La prima conseguenza certa del decreto è la cancellazione della protezione umanitaria. Tutti i migranti che ora hanno l’umanitaria non potranno più rinnovarla. Nonostante siano qui anche da diversi anni. Via, fuori dalle palle. Il primo risultato sarà quello di avere nel nostro territorio dei nuovi clandestini. 
Il secondo effetto riguarda direttamente il sistema di accoglienza. Oggi esistono gli SPRAR, l’unico sistema di accoglienza gestito direttamente dal Viminale. È un rapporto a due, tra Viminale e Comune, che bypassa le Prefetture. Il Comune affida il servizio a enti che rispondono a determinati requisiti. Lo SPRAR è un sistema di seconda accoglienza, arrivano ragazzi o persone che hanno già passato la prima accoglienza come i CAS (Centri accoglienza straordinaria) ed è finalizzato a veri e propri processi di integrazione.

A differenza dei CAS (che il nuovo decreto vuole ampliare), lo SPRAR è chiamato a rendicontare in maniera precisa ciò che spende, chiedendo autorizzazioni per ogni singolo progetto. Lo SPRAR prepara i ragazzi a entrare nella società, a vivere in maniera autonoma. In sostanza è l’opposto di un dormitorio. Ho elaborato una mia personale convinzione: questo decreto vuole colpire sia i migranti sia le organizzazioni che cercano di costruire processi di inclusione sociale. In tutto ciò, leggo una chiara azione di contrapposizione culturale alla creazione di una società multiculturale. Lavorando sulle paure si sta elaborando e costruendo una società che esclude invece di includere. Questo decreto ha un fondo ideologico perché vuole inabissare l’idea di società aperta. Secondo Popper, nelle società aperte, si presume che il governo sia sensibile e tollerante, i meccanismi politici trasparenti e flessibili al cambiamento, permettendo a tutti di parteciparne ai processi decisionali. Questo perché vi è la convinzione che l’umanità non disponga di verità assolute, ma solo approssimazioni, e la società dovrebbe dare così massima libertà di espressione ai suoi individui. Per anni, con mille difficoltà e tra mille contrasti abbiamo cercato di costruire una società aperta. Questo decreto sicurezza (sic) è non solo una minaccia, ma una chiara azione distruttiva di questo processo sociale e culturale. 
In primo luogo, il decreto stabilisce che i tre gradi di giustizia siano un privilegio da non accordare a chi non è dei nostri. In sostanza, la Convenzione di Ginevra che ha reso l’Occidente quello che avrebbe voluto essere, da oggi diventa carta straccia. Volutamente, il decreto sicurezza mette in discussione il principio che per decenni ha accompagnato la nostra storia: uguali doveri e uguali diritti camminino per mano, di pari passo, senza distinzione di razza, di provenienza o di credo religioso. 
Si inizia a riscrivere la società che verrà: una società nazionalista. Gli immigrati (ovviamente quelli poveri e senza denari) sono diventati (per decreto) un problema di sicurezza. È passata l’idea che l’immigrato è portatore di delinquenza ed insicurezza sociale: da ciò si giustifica una linea di durezza e asprezza. L’intolleranza verso gli immigrati è “tollerata” per il raggiungimento della sicurezza. 
In questa stagione culturale siamo minoranza, sia nel Paese sia nelle Istituzioni. Siamo visti come gli eretici di un pensiero sovversivo che vuole minare la base della nazione e del vivere civile. In questa fase politica e sociale stiamo vivendo il “paradosso della democrazia” (ancora Popper) che consistente nel pericolo di una tirannia della maggioranza .
Stiamo assistendo all’affermarsi dell’idea di “società chiusa “ caratterizzata da un insieme compatto di credenze che sono indiscutibili e costruite ad arte da comunicatori e fomentatori di paure del corpo sociale. 
La battaglia è questa. Il decreto Salvini è l’antipasto, appena servito, di un pranzo ancor più amaro e indigeribile. Noi siamo chiamati a comprendere ciò, e agire di conseguenza alimentando la discussione e la battaglia sul terreno democratico. Dobbiamo iniziare non solo a praticare un pensiero critico ma a praticare un sistema di lotta pacifica e non violenta che abbia nel proprio agire una forma di disobbedienza civile. Qui non è in gioco solo il destino degli stranieri (il che già basterebbe per lottare) ma è in gioco l’idea profonda della modernità e dei diritti. Se non si capisce questo non si è capito il senso profondo di ciò che sta accadendo. Non a caso Mons. Galantino ha affermato:“Strano che si parli di immigrati all’interno del decreto sicurezza. È un brutto segnale sul piano culturale, perché si tratta di un tema sociale che va affrontato nel rispetto della legalità, ma non possiamo considerare la condizione degli immigrati come una condizione di delinquenza”. 
Il senso del nostra agire è insieme politico e culturale. Questa è una sfida a riorganizzare il senso etico e non violento del nostro agire. La sinistra, se c’è ancora, batta un colpo .
Marcello Colopi 

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