La banalità del male (e del bene)

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Nell’ultimo mese, diversi sindaci di grandi e piccole città hanno deciso, e reso pubblico, che violeranno la legge; nello specifico, violeranno la parte del decreto sicurezza che riguarda la concessione della residenza ai richiedenti asilo politico.

Non entrerò nel merito della disputa tra i sindaci e il ministro Salvini ma rifletterò sul concetto di “ violazione della legge”.

La storia ci ha insegnato che l’arresto di Anna Frank, il 4 agosto 1944 ad Amsterdam, avvenne grazie agli agenti olandesi che applicavano la legge del 1940, fatta in accordo con i nazisti. Tra le altre cose Anna Frank e la sua famiglia erano giudicati clandestini in Olanda. Quindi il suo arresto fu legale, nel senso che ottemperava ad una disposizione di legge.

Lo stesso discorso vale per gli ebrei italiani che furono “legalmente” deportarti o per i prigionieri politici italiani che furono legalmente processati da uno specifico tribunale speciale istituito con la legge 25 novembre 1926, n. 2008 (Provvedimenti per la difesa dello Stato).

Potrei continuare con tanti altri esempi, ma credo che questa premessa sia sufficientemente chiara per il ragionamento che voglio fare: quando una legge viene percepita palesemente ingiusta, è legittimo boicottarla?

Le leggi non nascono in “natura” : ci sono delle persone che decidono, anche sulla pelle altrui, quali saranno le leggi alle quali tutti noi dovremo obbedire; ciò significa che la legge non è “giusta” di per sé. Quindi, perché una legge sia giusta dev’essere adeguata alle necessità della nazione e scritta in perfetta armonia con la Costituzione.

La percezione del diritto si è oggi ridotta ad qualcosa di convenzionale, contingente e individualista, e lo stesso diritto sta diventando sempre più uno strumento politico al servizio d’interessi soggettivi o di gruppo. Accade in Italia, ma anche nel resto dell’Europa.

Questo momento storico rappresenta un paradosso giuridico e politico: la nostra democrazia, organizzata secondo la formula dello Stato di diritto, registra vistose contraddizioni tra il formale riconoscimento della libertà e dei diritti umani, e le tante ingiustizie e discriminazioni sociali che tollera nel proprio seno.

Una serie di leggi e di norme che seppur scritte in conformità alla costituzione ( da valutare) di fatto contengo al proprio interno il seme di discriminazione e intolleranza. In particolare faccio riferimento al Decreto Sicurezza votato dall’attuale maggioranza, con poche e trascurabili eccezioni.

La legge è stata fortemente criticata da giuristi, associazioni laiche e cattoliche, movimenti anti-razzisti, Chiesa Cattolica, Chiesa Valdese e altre religioni. Nonostante ciò è la legge dello Stato! E veniamo al dunque: quando una legge è palesemente ingiusta e molti la vivono come ingiustizia, qual è il comportamento da tenere per rendere giusta la nostra azione?

È un dilemma non da poco, me ne rendo conto. La filosofa Hannah Arendt (autrice del libro La banalità del male) ci ha spiegato che in alcuni casi il male può annidarsi nello svolgere, banalmente, il compito assegnatoci, senza preoccuparci minimamente delle conseguenze del nostro agire. Questo è il punto fondamentale: si può commettere del male applicando di leggi che prevedono la perpetrazione di ingiustizie sugli uomini sulle donne e sui bambini. Se il signor Schindler invece di fare la sua lista avesse applicato la legge sarebbe diventato legalmente più ricco; invece ebbe il coraggio di non svolgere banalmente il proprio compito ma di assumersi la responsabilità di violare una legge per salvare delle persone. E non c’entra affatto l’essere a favore degli immigrati. No: qui è in discussione il rispetto della vita e della dignità di esseri umani. Le leggi dello Stato devono essere formulate secondo coscienza, rispettando la dignità di tutti i cittadini e non solo dei più potenti o dei più ricchi o peggio ancora di un alleanza di governo, nata da un contratto non presentato preventivamente agli italiani.

Ne La banalità del male di Arendt emerge una amara verità: il male perpetrato da Eichmann (il libro è sostanzialmente un resoconto del processo al nazista Eichmann che si tenne a Gerusalemme nel ’61) non fu dovuto a un’indole maligna dei nazisti, quanto piuttosto a una completa inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.

L’autrice sottolinea come il profilo umano del nazista Eichmann non fosse quello di un efferato criminale, ma piuttosto di un uomo semplice, la cui personalità rasentava la mediocrità. Durante il regime nazista, come durante tutta la sua vita, egli visse per inerzia; guidato dal padre, dalle amicizie, dalla situazione in cui viveva. Era pericolosamente privo di iniziativa, spessore culturale e morale. In sostanza, un uomo mediocre, che viveva delle idee altrui e si attribuiva meriti che non aveva pur di sfuggire alla mediocrità della sua misera vita. È un punto fondamentale per capire come sia stato possibile , secondo la Arendt , l’Olocausto: nessuno era responsabile, o meglio, nessuno si sentiva responsabile: facevano solo il proprio lavoro. Eichmann stesso si sentì vittima di un’ingiustizia, ed era profondamente convinto di star pagando per le colpe degli altri: dopotutto, lui era solo un burocrate che faceva il proprio lavoro, ed incidentalmente, questo coincideva con un crimine.

Questo libro (di cui mi permetto di consigliare la lettura) è illuminante: quante persone mediocri conoscete, che sarebbero capaci di diventare degli aguzzini spietati, applicando la legge?

La banalità del male è proprio questa: non sviluppare una coscienza critica in relazione al mondo e alla legge che governa il mondo; in buona sostanza non dare forza alla propria umanità e alla propria coscienza.

Nel 1991 Enrico Deaglio pubblicò La banalità del bene, raccontando l’incredibile vicenda del commerciante padovano Giorgio Perlasca che, nell’inverno del 1944, a Budapest, riuscì a salvare dallo sterminio migliaia di ebrei, spacciandosi per il console spagnolo. Perlasca era un fascista entusiasta e aveva combattuto in Spagna come volontario per Franco. L’8 settembre 1943 lo trovò lontano da casa, ricercato dalle SS. Avrebbe potuto mettersi in salvo ma decise di rischiare la vita.

Nel libro emerge l’azione straordinaria di un uomo solo (lui stesso si definisce normale e banale) che, aiutato da uno sparuto gruppo di persone, sforna documenti falsi, realizza e difende otto “case rifugio”, trova cibo, inganna nazisti tedeschi e ungheresi e salva migliaia di ebrei violando le leggi (“legali”) di tre Stati: Ungheria, Germania e Italia.

Dopo oltre cinquant’anni venne alla luce la sua storia e Perlasca venne onorato come eroe e “uomo giusto” in Ungheria, Israele, Stati Uniti, Spagna, e infine, grazie a questo libro, uscito vent’anni fa, anche in Italia.  

Diciamola tutta : siamo tutti esseri banali; poi siamo noi e la nostra coscienza che ci fanno scegliere la banalità del bene o del male.

Marcello Colopi

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