Come muore Foggia: il tramonto di via Arpi

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Una volta era bello camminare per via Arpi, respirarne la vivace laboriosità che ti faceva toccare con mano l’anima e il cuore di Foggia. Era piena di vita e di colori, come ci ricorda la bella cartolina che illustra l’articolo (per scaricarla in alta risoluzione, fateci clic sopra, e salvatela).

Raccontava una dimensione intima della città: più paese che non metropoli, dove tutti conoscevano tutti.
Quei colori si sono sbiaditi. Quella vitalità ha ceduto il posto a malinconiche serrande abbassate e vetrine impolverate.
Percorrendola da un capo all’altro, ho voluto contarle.
Via Arpi tramonta, e svela l’inarrestabile declino della città di cui era una volta simbolo. Quasi la metà dei locali da cui un tempo luccicavano negozi, botteghe, ristoranti, bar è chiusa, offerta in vendita o in affitto. La decimazione ha colpito soprattutto i negozi.
L’uscio della storica gelateria Cupo è stato murato. Chiuso Giuva, che fu il primo grande magazzino della città. Il “vendesi” colpisce anche immobili storici di pregio assoluto, come il palazzo De Vita-De Luca ed il suo prezioso loggiato, da tempo chiuso e a rischio di un irreversibile degrado.
A restare aperte sono le istituzioni culturali, le chiese, le sedi di partito, testimonianza di un glorioso passato e del sogno di Franca Pinto Minerva, che quando era preside della Facoltà di Lettere, vagheggiava che via Arpi diventasse la strada dell’arte, della cultura e della conoscenza.
In tanti ci hanno creduto: a cominciare da Giuliano Volpe, archeologo e Rettore emerito dell’Ateneo foggiano, che volle fortissimamente il recupero e la ristrutturazione del vecchio ospedale, e la nascita del polo umanistico e infine scelse di venire ad abitare proprio nel centro storico. Poi Saverio Russo, che da direttore del Dipartimento di Scienze Umane, ha dotato quel polo umanistico di una prestigiosa biblioteca, e come presidente dell’allora Fondazione Banca del Monte, ha acquisito al patrimonio artistico cittadino la collezione di opere su carta di Alfredo Bortoluzzi.
Strada dell’arte, della cultura e della conoscenza, ma anche del paradosso. Se via Arpi racconta il declino di Foggia, indica al tempo stesso la sola prospettiva di un suo possibile rinascimento. E sono proprio la cultura, la conoscenza, il riconoscimento e il consolidamento di un’identità che si va sempre più scolorendo.
Nonostante le vetrine impolverate e le serrande abbassate, via Arpi continua ad essere un concentrato di storia e di bellezza che va rivitalizzato: il polo umanistico, la Fondazione Monti Uniti e la Fondazione Daunia Felix a Santa Chiara, la Cattedrale, il Conservatorio Musicale, il Museo Civico con l’Arco di Federico II, che è quanto resta della reggia e di Foggia inclita sede imperialis, la stele fridericiana che dovrebbe esservi prossimamente eretta.
Se il futuro di Foggia comincia dalla sua storia, la rinascita non può che cominciare da qui, da via Arpi.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

6 thoughts on “Come muore Foggia: il tramonto di via Arpi

  1. Caro Beppe tu parli di “rinascimento” magari, ma qui tutto è fermo, una città che non offre lavoro, laureati che fanno lavori che non rispecchiano e non onorano tanti anni di studio. Scuole allo sbando e ancora di più oggi con le fantomatiche trovate della Azzolina. Ma di cosa parliamo, non andiamo oltre!!!!!

  2. Per guarire la città bisogna prendersi cura delle sue periferie.
    Per capire come far rivivere Foggia bisognerebbe forse riavvolgere il nastro e ripartire dalla sua storia recente, almeno fin dalla metà inizio degli anni ‘80, da una parte con il salto di qualità delle nuove mafie che cominciarono a condizionare pesantemente uno svilupo sano della città e, dall’altra con l’arrembaggio, a partire dai primi anni ‘90, di un’imprenditoria edile – nel migliore dei casi disattenta – all’assalto di nuove aree periferiche su cui cementificare, ma più spesso disinteressandosi colpevolmente delle testimonianze storico-archeologiche presenti su quelle stesse aree. Bisognerebbe comprendere che la nascita dei grandi centri commerciali e di intrattenimento in quelle stesse periferie, e in quegli stessi anni, non solo non hanno comportato benefici alla città ma, al contrario, hanno innescato un progressivo impoverimento delle attività commerciali in ampie aree del Centro a partire dal Quartiere Ferrovia. La chiusura di negozi e cinema di quell’ampa porzione cittadina hanno modificato forzatamente le abitudini degli abitanti e svuotato il centro città. Poco è servita la contestuale rivalutazione di una porzione marginale del centro storico voluta da chi amministrava la città in quegli anni ’90.

    Per capire come ripartire bisogna osservare con disincanto cosa è diventata la città, dobbiamo volgere lo sguardo alle sue periferie, aree cittadine sulle quali pesa da troppo tempo il controllo criminale delle mafie foggiane. È necessario accendere i riflettori sull’atavica e devastante pratica del consenso elettorale basato sul voto di scambio che insiste principalmente in quelle stesse periferie, a volte credo proprio in stretta connessione con le presenze criminali, e che stravolge il rapporto fra elettore ed eletto a favore esclusivo del potente di zona e di turno.
    Per capire come rimettere al centro il bene comune è necessario ripartire da quelle stesse periferie e considerarle come ferite aperte che riverberano il loro disagio sociale su tutta la comunità foggiana. L’analisi senza compromessi dello stato in cui versano oggi queste è chiave di lettura per comprendere il progressivo impoverimento economico, sociale, politico e morale in cui oggi versa la città.
    È quindi indispensabile ripartire dalle periferie, urbane e sociali, sanando innanzitutto quelle ferite, e prendersene finalmente cura, l’intera Foggia ne trarrebbe beneficio. Per guarire la città, e con Lei anche via Arpi, bisogna curare innanzitutto le sue periferie.

  3. Possiamo fare qualcosa per riqualificare via arpi e tutto il centro storico? Sarebbe bellissimo renderla isola pedonale, ristrutturare i palazzi storici, dare dei sovvenzionamenti a chi decide di investire lì.
    Da Foggiani possiamo fare qualcosa? Creare un associazione, firmare delle petizioni?
    Facciamo qualcosa per far rinascere la nostra città.

  4. Non esiste centro o periferia
    Esiste la città
    Non sono le idee che mancano ma le persone di buona volontà.
    Chi detiene il potere per cambiare le cose è distratto da altro e se anche comprende adotta il passo del Gattopardo, un passo avanti al sole e due passi indietro nell’ombra.
    E di Penelope vi è un lungo elenco

  5. Se non si elimina la micro criminalità che si impossessa ogni notte di tutti i centri storici dove oltre alla cultura convive anche e soprattutto la movida, non si potrà incentivare le attività economiche che sopravvivono grazie alle vendite dalle ore 20 in poi. Quante attività si sono arrese alla maleducazione e alla soprafazione di bande di minori organizzate in branco che litigano, si ubriacano, deturpano il patrimonio pubblico e spaventano la gente che vuole solo passeggiare. Ci vuole, innanzitutto, più controllo per fare rispettare la legge e poi di potrà parlare di rinascita.

  6. Arpi

    Chiane a chiane Arpi se ne mòre
    Perze è l’addore de creolìne e sapone
    Fòre e’ suttane sparite i furcine
    Nu bucke attappe ‘u munne de prime.

    Panne spase e musecka nòve
    Càde a toneche mbacce è mure
    Escene fore travertine e matune
    Spegate l’irmece crescene angore.

    Se cagne l’usanze, cagne a ggende
    Tande che a quà so’ speturazzate
    Chisà mo ndò stanne, a quala vanne

    Chissà che rumane da mo a cind’anne
    Nu vecchie de tanne chisà che decesse
    Perciò Gesù Criste nge lasse tand’anne.

    Gianni Ruggiero

    Arpi – Piano piano Arpi se ne muore/ perso l’odore di creolina e sapone / Fuori dai bassi sparite le forcine/ un buco tappa il mondo di prima// Panni stesi e musica nuova/ cade l’intonaco dai muri/ si vedono travertini e mattoni/ fiorite le tegole, crescono ancora// Cambiano le usanze cambia la gente/ tanti che qua sono cresciuti/ chissà ora dove sono, da quale parte// Chissà cosa rimarrà da ora a cent’anni/ Un vecchio di allora cosa direbbe Perciò Gesù Cristo non ci lascia tanti anni.

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