La geografia della Puglia sta per essere sconvolta, per effetto del provvedimento del governo Monti che intende tagliare drasticamente il numero delle Province, che non verranno più soppresse, così come prevedeva il decreto Salva Italia, ma pesantemente ridotte di numero. Per quel che riguarda il Tacco dello Stivale, si dimezzeranno, passando dalle attuali 6 a 3 soltanto. In che modo, è ancora tutto da vedere.
Non si tratta, infatti, soltanto di ridisegnare i confini amministrativi delle circoscrizioni provinciali, operazione che comunque influenzerà non soltanto le amministrazioni provinciali, ma anche tante altre istituzioni modellate su base provinciale (basti pensare alle prefetture ed alle Asl). In ballo c’è lo scacchiere dello sviluppo prossimo venturo, che passerà per altre equilibri.
Comunque vadano le cose, la Provincia di Foggia ha fin d’ora di che essere soddisfatta, anche perché i numeri (ed i requisiti posti dal Governo per la sopravvivenza delle Province) giocano decisamente a suo favore, dimostrando paradossalmente una tesi che su questo blog sosteniamo da tempo e cioè che per la sua grandezza, per la sua ricchezza territoriale, la Capitanata meriterebbe una considerazione assai diversa da parte della Regione.
La classe dirigente provinciale ha perduto tante occasioni di sviluppo. Ma quella che si profila, ovvero il confronto sulla nuova geografia regionale pugliese, potrebbe essere veramente l’ultima opportunità per risalire la china, per ottenere quella attenzione che dall’istituzione della Regione Puglia ad oggi è stata sempre lesinata.
Tanto per dire, il progetto iniziale del Governo aveva fissato tre parametri per valutare il peso di ciascuna provincia. Per scongiurare il rischio della soppressione e dell’accorpamento con altre province, è necessario che siano soddisfatti almeno due delle tre condizioni che riguardano la popolazione residenti (dev’essere superiore a 350.000 abitanti), la superficie (dev’essere superiore ai 3.000 chilometri quadrati) e il numero dei comuni (oltre 50).
La Capitanata è la sola tra le province pugliesi a possedere tutte le tre condizioni, come si rileva dalla tabella che pubblichiamo in questa pagina. Pesantissimo il dato che riguarda l’estensione territoriale: la Capitanata è prima non soltanto in Puglia, ma addirittura in Italia, tra le province prese in considerazione nel progetto del Governo (la provincia italiana più grande in assoluto è quella di Bolzano, che essendo provincia autonoma non è interessata dal disegno di legge che si sta preparando). Le stesse province di Bari e di Lecce sono in regola rispetto a due dei tre parametri (comunque sufficienti per evitare la soppressione) in quanto difettano, rispettivamente, del parametro relativo al numero dei comuni e di quello che riguarda l’estensione territoriale.
La ricchezza della Capitanata è rimasta purtroppo sempre a livello statistico, mentre dovrebbe indurre la classe dirigente provinciale ad un’attenta riflessione su un paio di questioni: la prima, e più attuale, è quella che deriva dagli accorpamenti delle province destinate alla soppressione. La provincia di Foggia, per evidenti questioni geografiche, è interessata soltanto ai destini della BAT. Allo stato delle cose, dovrebbe passare armi e bagagli alla provincia di Foggia, a meno che i suoi Comuni non esercitino la prerogativa costituzione che spetta loro, chiedendo di passare nell’area metropolitana di Bari, che però a questo punto diventerebbe un mostro.
Il minimo che la Capitanata possa chiedere è che tornino nei suoi confini naturali (ovvero al di qua dell’Ofanto) i comuni che ne fuoriuscirono per confluire nella mai del tutto decollata provincia di Barletta, Andria e Trani. Si tratta di San Ferdinando di Puglia, Trinitapoli e Margherita di Savoia.
Il ritorno è possibile, ma non scontato. Il passaggio dei tre comuni alla sesta provincia pugliese avvenne nella più totale indifferenza della politica. Basta pensare che non vi fu neanche un dibattito in consiglio provinciale: un limite grave, per un’amministrazione che (giustamente) teorizzava allora quadranti territoriale di sviluppo più ampi, e dava vita al Patto delle Quattro Province, assieme alle consorelle amministrazioni di Benevento, Avellino e Campobasso. Più che di indifferenza si trattò di un silenzio consapevole, dettato dalla volontà di assecondare le volontà dei dirigenti politici di quei comuni, ma nessun tentativo fu fatto per comprendere la reale volontà delle popolazioni.
Visto che le nuove province saranno diretta espressione politica delle amministrazioni comunali è chiaro che i Comuni interessati avranno più di una voce in capitolo. San Ferdinando, Trinitapoli e Margherita – e con loro anche gli altri Comuni della Bat, dovranno decidere se tornare con Foggia o andarsene a Bari. Ma la classe dirigente provinciale non può chiamarsi fuori: deve stimolare una riflessione consapevole. Può rappresentare un bonus da mettere sul piatto la non trascurabile circostanza che nell’assise provinciale seggono due consiglieri a suo tempo eletti nei collegi poi finiti nella Bat, e che preferirono restare con Palazzo Dogana.
La seconda questione – tutt’altro che nuova – riguarda il ruolo della Capitanata settentrionale (intesa dal punto di vista sia geografico che politico) nello scacchiere di sviluppo regionale. Questo ruolo è stato quasi sempre sottovalutato se non addirittura ignorato dal governo regionale pugliese, che adesso non potrà più farlo, perché una cosa è ipotizzare politiche ed interventi regionali sulla base di cinque o sei province, un’altra cosa farlo con sole tre province. La Capitanata ha comunque da guadagnare nel nuovo contesto che si va profilando. Brutalmente, si può dire che una cosa è dividere per sei, un’altra è dividere per tre. Piaccia o no ai baresi e ai salentini, il peso specifico della Puglia settentrionale è destinato a crescere. Ma non avverrà per gentile elargizione di via Capruzzi.
In altri tempi, situazioni come questa avrebbero prodotto convegni, congressi, seminari: il dibattito attuale è condotto o all’insegna del localismo più becero, o senza grande profilo politico. La Regione, che dovrebbe esprimere il suo parere in merito, sembra addirittura intenzionata a non pronunciarsi, lasciando il cerino acceso nelle mani del Governo.
Andò così anche per le Comunità Montane, precipitate da allora nel caos più totale. Sarebbe bene che, questa volta, la politica svolgesse invece il ruolo che le spetta.
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