Massimo Mazza: “Foggiani, basta essere queruli e piagnoni”

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Nel dibattito sul ruolo di Foggia nella operazione Avalanche, che portò gli Alleati a sbarcare nel difficile porto di Salerno, interviene anche Massimo Mazza, che commenta sia il post iniziale di Lettere Meridiane, sia il bell’intervento di Franco Mercurio, storico e Direttore della Biblioteca Provinciale. Ecco l’intervento di Massimo Mazza.

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La nota di Geppe Inserra sulla centralità dell’aeroporto “Gino Lisa” nell’ operazione “Avalanche”, che ha segnato una pagina cruciale della seconda guerra mondiale, è stata al centro di una serie di interventi fra i frequentatori di facebook, sia pure con opinioni diverse, che continuano a dare un importante contributo alla ricerca della verità nel 70^ anniversario dei tragici avvenimenti che portarono morte e distruzione.
Una bella interpretazione dei fatti Geppe l’ha individuata nell’intervento di Franco Mercurio, intellettuale, storico, direttore della Biblioteca Provinciale di Foggia, pubblicando la sua riflessione su “Lettere Meridiane” nel tentativo di aprire oltre che un dibattito costruttivo un ulteriore squarcio di luce su una delle più brutte pagine della storia della città.

Mercurio fa una costruzione dei fatti quasi inedita e nello stesso tempo scientifica, tanto che l’avvenimento bellico foggiano viene tuttora studiato nelle Accademia militari americane, individuando nel “Gino Lisa” il punto di riferimento strategico che poi portò al compimento degli obiettivi prefissati e nello stesso tempo al termine del conflitto bellico; dopo lo sbarco in Sicilia, il porto di Napoli e gli aeroporti foggiani, infatti, erano divenuti punti di riferimento strategici ed in particolare l’immenso “hinterland dauno” si prestava al decollo delle fortezze volanti dirette verso i Balcani con lo scopo di colpire le raffinerie e le città tedesche.
Un’analisi giustamente impietosa, inoltre, Mercurio la fa anche sull’indole dei foggiani che non furono in grado di farsi riconoscere e risarcire gli ingenti danni subiti, causa anche la mancata presenza di amministratori foggiani alla riunione post-bellica tenuta a Bari.
I foggiani, in tema qualità, – come ha ribadito Servegnini sul “Corriere della Sera”, dopo il suo intervento al Liceo “Lanza” -, non sono da meno degli altri, per carità, ma sicuramente hanno nel “DNA” quella forma di frustrazione che li porta ad essere “queruli e piagnoni”, un atteggiamento questo che nasconde le vere potenzialità della popolazione indigena.
In conclusione mi viene una domanda spontanea, ma nelle vene del dottor Mercurio scorre un po’ di sangue campano, di quella intraprendenza napoletana che ho intravisto in 60 anni in mio padre, Maurizio Mazza, prima alla guida e alla ricostruzione post bellica del Museo Civico foggiano, ridotto con i suoi cimeli in un ammasso di macerie e poi in altrettanti anni di giornalismo a difesa della città che sentì sempre sua? Potrei dare una prima risposta – avendo toccato con mano – solo con la valorizzazione della Biblioteca foggiana, che grazie a Mercurio, rivoltata come un calzino, è divenuta uno dei poli di eccellenza non solo del Mezzogiorno ma dell’intero Paese.
Mi viene poi in mente il nome di un altro campano, il dott. Pasquale di Cicco, direttore dell’Archivio di Stato di Foggia, studioso e storico fra i più prolifici che ha ricostruito la storia della città dauna dalla Dogana delle pecore ai giorni nostri, passando per il “Giornale patrio” di Villani e il “Libro rosso della città di Foggia”.

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Author: Geppe Inserra

1 thought on “Massimo Mazza: “Foggiani, basta essere queruli e piagnoni”

  1. leggendo questo intervento mi sono ricordato di un fatto accadutomi un paio di anni fa.
    anche se in ritardo, dopo le elezioni, lo racconto, dopo alcune annotazioni.

    Da ragazzo lessi un testo “Contro la Questione Meridionale: studio sulle origini dello sviluppo capitalistico in Italia” (di Edmondo Maria Capecelatro, Antonio Carlo, 1975, edizioni Savelli), che mi aprì gli occhi. Si raccontava di un Meridione d'Italia che al momento dell'unificazione era sviluppato in alcune zone come e talvolta più che al settentrione.
    Da quel momento non ho più visto il meridione con gli occhi del lamento.
    Il movimento risorgimentale italiano tentò a lungo di coinvolgere nell'impresa della costruzione dello Stato Unitario la monarchia dei Borbone, una delle più prestigiose, con importanti legami e rapporti nella grande aristocrazia europea e con Papato. ma senza successo. La questione è nota agli storici e viene raccontata anche nello splendito film di Mario Martone “Noi Credevamo”.
    Quella monarchia non poteva tradire il mondo di cui era espressione. Nel giro di pochi decenni tutte le monarchie che non riuscirono a comprendere i tempi, scomparirono.
    I Savoia erano una monarchia minore e ambiziosa e sia pur tra tanti dubbi si prestarono al progetto.
    Forse anche grazie a queste letture fatte quando ero proprio un ragazzino, ho sentito sempre con disagio la retorica meridionale dei briganti e mi sono sempre infastidito (e continuo a farlo) quando nelle serate davanti a un fuoco acceso qualche amico inforcata la chitarra inizia a cantare con espressione sentita “brigante se more”

    Qualche tempo fa, con degli amici ci siamo fatti una passeggiata domenicale al Castello di Lagopesole, un imponente Castello Federiciano, ad Avigliano, in provincia di Potenza.
    Il castello è totalmente restaurato, aperto al pubblico al prezzo di un biglietto di ingresso di pochi euro, grazie alla presenza di alcune signore, credo dipendenti di quel Comune o di qualche cooperativa di servizi.
    In quell'occasione c'era una bella, commovente mostra di foto e cartoline di emigrati italiani della Basilicata verso le Americhe, soprattutto verso l'America Latina. La maggior parte delle cartoline e delle foto era di pochi anni successiva all'Unità d'Italia e il dato veniva evidenziato e spiegato nei testi della mostra: la regione ne uscì spopolata e impoverita.
    La Basilicata è anche la terra del brigantaggio. Il Castello di Lagopesole venne addirittura occupato per un periodo dai briganti capitanati da Carmine Crocco.
    Ma quel castello fa parte della rete dei Castelli Federiciani e veniva preferita come luogo di residenza da Re Manfredi.
    Nell'ampio vano di ingresso c'è un ampio tavolo dove si comprano i biglietti e dove sono esposti decine di testi, di editori ed autori minori o semi-sconosciuti, per lo più dedicati alla Guerra dei Briganti e al Brigantaggio. Molto più ridotta è invece la presenza di testi dedicati a Federico Secondo di Svevia.
    La storia di un ritardo, di un errore storico, è diventata una storia da raccontare e da rivendicare. La Storia.
    La storia di un progetto anticipatorio e universale, che ci ha lasciato in eredità opere imponenti e grandiose e che continua a renderlo ancora adesso unico e speciale, viene invece quasi dimenticata.
    Quanti sono i Foggiani che conoscono che proprio Foggia è stata la Capitale del Progetto imperiale di Federico II di Svevia?
    Eppure andando in una antica importante libreria foggiana, oramai tristemente decaduta cosa si trovano: decine di testi di autori per lo più ignoti di editori semisconosciuti, dedicati al meridionalismo più retrivo.

    Severgini ha quindi visto bene. In noi c'è qualcosa di importante, ma lo facciamo recedere a indistinto sottofondo mentre facciamo prevalere la nostra parte minore.

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