Non so veramente da dove cominciare, per dare conto della discussione che si è sviluppata attorno all’articolo in cui davo notizia dello strano modo di dire di livornesi e pisani, che bollano cafoni e truzzi come “foggiani”. Facciamo così, allora. Me la prendo comoda, cominciando con qualche interessante dato statistico.
Il post in questione ha polverizzato ogni dato precedente di lettura e di commenti. Ha conquistato in poche ore la vetta della classifica dei post più popolari di Lettere Meridiane: ad oggi (ma il dato è tuttora in crescita) ha totalizzato circa 2.700 viste, ovvero quasi quattro volte il secondo in graduatoria, dedicato allo scempio che sul finire del 2012 venne compiuto dalla mano di stupidi ignoti ai danni della statua in bronzo di Jorge Jimenez Deredia, che adorna l’ingresso della nuova sede della Provincia, in via Telesforo.
L’articolo ha anche conquistato il record dei commenti: 17 soltanto nel blog, e tantissimi altri su facebook, che pubblicherò nei prossimi giorni. Nell’attesa, vi suggerisco di leggere quelli pubblicati fino ad oggi, perché innescano una riflessione di notevole spessore.
Nulla di cui compiacersi, beninteso. Anzi è il caso di rilevare che non è per niente una coincidenza se i post più letti sono quelli che riferiscono di accidenti ed incidenti. Si sa che il normale, il buono, il positivo (che pure Lettere Meridiane si sforza sempre di raccontare e mettere in vetrina) fa meno notizia della contumelia, dello scandalo, di quel che non va.
La discussione s’incrocia con un altro appassionato dibattito in corso, sviluppatosi su alcuni articoli in cui mi riflettevo, dati alla mano, sul sostanziale pareggio con cui da un paio di anni si conclude il derby tra Foggia e Bari nell’annuale classifica della qualità della vita nelle province italiane, stilata da quotidiano economico finanziario Il Sole 24 Ore. Anche in questo caso, nulla di cui andare particolarmente fieri, se non fosse per un aspetto che mi premeva sottolineare: tre anni fa, quando la provincia di Foggia scivolò all’ultimo posto della classifica, fu tutto un versare fiumi d’inchiostro e uno strapparsi i capelli per quella umiliante maglia nera.
Che nei due anni successivi la Capitanata abbia imboccato un percorso di risalita, lento e difficile, ma statisticamente significativo, interessa assai meno e fa scrivere assai meno.
Il dibattito sul post dell’appellativo di foggiano e quello sul pareggio tra Foggia e Bari hanno diversi tratti in comune. Sullo sfondo c’è, nell’uno e nell’altro caso, Foggia, la percezione che i foggiani hanno di se stessi e della loro città, la problematica autostima che a volte è gratuita esaltazione altre si degrada a disistima, l’eterno dilemma tra il voler andare e il voler restare. Che poi è un po’ come parlare di corda in casa dell’impiccato, in una città che annovera tra i suoi proverbi (suoi o di altri? accertarlo sarebbe un interessante esercizio filologico), uno ben più infamante del “foggiano” in uso tra Pisa e Livorno: “Foggia da Foggia, non per Foggia, ma per i foggiani.” (E ci risiamo…)
Sbrogliando l’intricata matassa di link suggeriti e di link venuti fuori dai motori di ricerca, mi sono imbattuto in questi giorni nelle riflessioni, molto lucide e molto significative, di due foggiani che hanno scelto entrambi di andarsene. La prima, che trovate qui, è di Rocco Rampino, informatico emigrato a Trento, dopo una lunga e infruttuosa ricerca di un impiego stabile dalle nostre parti. L’andar via di Rocco è un addio irreversibile: la differenza constatata tra il qui di un tempo – la città d’origine – e l’altrove conquistato – Trento – scava un fossato non più valicabile. Ma le ragioni di Rampino sono dati di fatto, ineludibili.
Gli stessi dati di fatto da cui muove un giornalista valentissimo quale Leonardo Ferrante, emigrato da tempo proprio nella città della torre pendente. Nella sua Lettera di un Foggiano a Pisa (che non riguarda assolutamente il caso di cui abbiamo parlato, ma si riferisce ad un grave fatto di sangue occorso un paio di anni or sono) scrive: “A Foggia ci torno due volte all’anno. Nonostante siano otto gli anni di lontananza, so che il conto non è ancora chiuso, e che, prima o poi, in qualche modo, Foggia tornerà in me ed io in lei. Foggia è una donna picchiata ed incattivita dalla vita. Un mostro creato ad arte, come si creano i mostri con la sottile ferocia quotidiana. Le tre fiammelle vanno spegnendosi sotto l’alito mefitico delle persone che la stuprano costantemente. Foggia occorre tenerla là, al posto suo, quando vai via. Troppo brutale starci dentro, e non è una questione di chilometri. Te ne accorgi quando te ne vai. Tutti dovrebbero andare via da Foggia per un anno, e tornarci, e tornare a vederla, e “tenerla là”. Chi non lo fa ,forse, non è davvero un foggiano, ma solo un pigro.”
Foggia e i foggiani, insomma, eternamente sospesi tra speranza e disperazione, come ebbe a rilevare qualche tempo fa (ne ho parlato in questo post intitolato proprio Foggia città che non sa sperare né disperare) un emigrante alla rovescia come Federico Massimo Ceschin, veneto che ha scelto di venire a Foggia: “Voi avete due vizi antichi che rappresentano i più seri vincoli allo sviluppo. O vi buttate giù del tutto, vi considerate i peggiori, gli ultimi, oppure vi esaltate a dismisura, irragionevolmente. L’uno e l’altro atteggiamento tradiscono un fatalismo che non porta da nessuna parte: occorre che quello che non funziona vada fatto funzionare, e che quel che è bello e positivo non ci si limiti a contemplarlo, ma lo si difenda e lo si consolidi.”
Come vedete, me la sono presa proprio comoda. Son partito veramente da lontano. Ma ne riparleremo.
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Foggia è una città inesorabilmente destinata a implodere. Non sono i miei (pre)giudizi a minarla, non è la disoccupazione a trascinarla nel baratro. Parlo di una situazione che viene da lontano e che oggi occorre saper leggere con i numeri e non solo con le impressioni, anche se qualcuno potrebbe accusarmi di parlare usando proprio il metro delle sensazioni e non della realtà.
Invece sono convinto che queste mie sensazioni coincidano sempre più con dei dati di fatto plastici ed eloquenti, che solo certa miopia culturale può negare. E mi spiego.
Quando parlo di numeri, mi riferisco al fatto che sempre più foggiani dimostrano scarso o nullo "senso di appartenenza" (da non confondere con quello che una volta era definito "senso civico").
Se non sai chi sei, cosa vuoi, come vivi, come devi rapportarti, come devi organizzarti e, soprattutto, se non ami e non difendi realmente la città che ti accoglie (per nascita, lavoro, studio o altro) ma – viceversa – ti limiti a vantarti di essere un suo concittadino e di sventolare il rosso e il nero dei colori calcistici, fai pure amico concittadino.
Le "peggiori offese" – come scrive qualcuno – vengono solo dal Nord? Al contrario! Siamo noi ad offendere questa città con i nostri comportamenti (o con i NON comportamenti). Sono i nostri sguardi volti altrove, il non saper far valere i nostri diritti ma limitarci a pretenderli, che dimostrano il nostro autolesionismo civile.
Certo, non mancano virtuosismi, eccellenze culturali, imprenditoriali e artistiche. Ma dove vivono? A Foggia?
Dai post e dalle mail che leggo qua e là, non mi pare, e non da oggi.
Giordano, Arbore, Pazienza, Luxuria, Placido, Campagna non sono diventati quelli che sono diventati operando a Foggia. Se avessero scelto di vivere qui, si sarebbero chiamati Umberto, Renzo, Andrea, Vladimiro, Michele, Pino.
Ci sarà pure un motivo per cui siamo capaci di far nascere degli autentici geni ma non di portare questa città (e questa provincia) all'altezza del loro genio.
Da molti anni la stessa squadra di calcio si esprime meglio quando gioca fuori casa…
Ecco, probabilmente è la "cultura ultras" (in senso ampio) a disorientare questa città, a impedirle di crescere in maniera armonica, autocritica e cosciente: perché ogni volta vediamo solo un "nemico" dall'altra parte, e ci prepariamo ad assaltarlo, a negarne valori e soggettività, a far prevalere l'istinto rancoroso e la forza dei muscoli. E alla fine cosa resta? Niente.
Foggia abbaia ma non morde. Foggia c'è ma non risulta. Foggia si esprime senza farsi comprendere. Foggia sublima la 'controra' estremizzandone i tempi.
Foggia non c'è più e cercarla è più faticoso (e inutile) che costruirla daccapo (e non in senso… edilizio).
E non ho (molta) stima dei foggiani perché non capiscono quanto sia importante la parola stima, che non può essere usata come un "mi piace" qualunque.
Le parole pesano, sempre, e a volte più di un macigno.
E i commenti di Giancarlo la dicono tutta sul livello di "foggianità".
Cordialmente
Maurizio De Tullio