Fare memoria di Pellegrino, per non disperare

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Ricorre oggi il quarto anniversario della scomparsa di Antonio Pellegrino, indimenticabile presidente della Provincia dal 1994 al 2003, e sembra passata veramente un’epoca.
Se è vero che nella storia non esistono coincidenze, non è un caso che l’amara ricorrenza coincida con un momento in cui la Grande Provincia che egli teorizzò e si sforzò di costruire è stata spazzata via dalla riforma Delrio, e non solo. Sta conoscendo un momento di acutissima crisi una delle creature più amate da Pellegrino, la società partecipata Diomede, chiamata alla gestione e alla promozione dei Musei che il presidente riuscì ad aprire a Foggia, facendo del capoluogo dauno una delle città meridionali più ricche e promettenti dal punto di vista museale.
La Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, il Museo Interattivo e delle Scienze, Il Museo di Scienza Naturale e il Museo del Territorio potrebbero chiudere i battenti, così come la Diomede, il cui contratto è scaduto alla fine dello scorso mese di aprile. E sono tutti segni, appunto, che è passata un’epoca, che si è chiusa una stagione di grandi speranze per la città e per la provincia di Foggia.
Restano, tuttavia,  l’attualità e la pregnanza di intuizioni come quella della Grande Provincia, così come l’assoluta necessità di un autorevole ente intermedio, per un territorio vasto, complesso e straordinariamente ricco di risorse come quello di Capitanata.
Nel giorno in cui la morte di Pellegrino diventa storia, finisce anche il sogno, la suggestione della Grande Provincia: ma bisogna raccontarlo, se non altro per custodirlo e tramandarlo.
Ed eccola, questa storia.

Ho avuto la fortuna, l’onore ed il piacere di collaborare con Antonio Pellegrino fin dai primi giorni della trionfale campagna che, nel 1994, lo portò a diventare il primo presidente della Provincia di Foggia direttamente eletto dal popolo. Vi sarebbe rimasto fino al 2004, vincendo un’altra campagna elettorale. La politica lo aveva preso in prestito nella stagione buia di tangentopoli, che non aveva neanche lambito Palazzo Dogana dal punto di vista giudiziario, ma aveva così sfilacciato i rapporti tra i partiti della maggioranza di centrosinistra, da far chiudere anzitempo la consiliatura provinciale.

UN GRANDE SCIENZIATO PRESTATO ALLA POLITICA
Pellegrino era uno scienziato di prim’ordine, uno dei pochi che in questa plaga del Mezzogiorno sovvertisse lo stereotipo dei viaggi della speranza: nel suo reparto di urologia agli Ospedali Riuniti di Foggia i pazienti venivano a farsi curare da tutt’Italia, e non solo.  L’aveva fondato lui, forte dell’eredità scientifica e morale dell’indimenticabile Luigi Imperati.
Vinse la elezioni a man bassa, capeggiando un cartello di partiti che era più un laboratorio che una coalizione: c’erano dentro tutti, dal Pds, al Psi ai post-democristiani di Buttiglione. Ma le vinse anche impersonando, da subito, un metodo nuovo di fare politica, di cui fui sovente testimone durante quella campagna elettorale.
Per esempio, gradiva poco il tradizionale giro a tappe delle sezioni dei partiti che lo sostenevano: “Tanto quelli mi votano già, non è meglio che andiamo a bussare alla sezione di AN? Può darsi che ci cacciano, ma può darsi anche che qualcuno riusciamo a convincerlo di votare per noi.”
Non fu facile per lui, soprattutto nei primi mesi di presidenza, adattarsi ai riti ed ai tempi della politica. Ma il suo primo capolavoro fu già scolpito nella formazione della sua prima giunta, che si scelse personalmente, senza badare più di tanto alle indicazione dei partiti. Un mix di esperienza (il vicepresidente Matteo Vigilante, l’assessore ai lavori pubblici, Vincenzo Tropea, l’assessore alle attività produttive, Matteo Valentino) e di volti nuovi, a loro volta presi in prestito da una società civile quanto mai ricca di fermenti, come Valeria Galante De Trino e Ciro Mundi.
Tutti insieme scrissero alcune tra le più belle pagine della vicenda amministrativa provinciale di tutti i tempi.
All’indomani della sua proclamazione, ebbi il privilegio di essere io ad accompagnarlo nel suo primo ingresso a Palazzo Dogana. Entrammo assieme a bordo della mia auto. Mentre il custode alzava la sbarra per farci passare, mi guardò esterrefatto: “Ma usate il cortile di Palazzo Dogana come un garage? Lo spazio più bello della città ridotto a parcheggio?”
Un paio di anni dopo, il parcheggio-garage venne restituito alle sue funzioni civiche, operazione che avviò un laborioso ed entusiasmante processo di restauro e di recupero dell’immobile settecentesco, all’interno di quelle più vaste politiche di recupero e valorizzazione dei contenitori culturali che rappresentano uno dei aspetti più importante dello straordinario patrimonio che Pellegrino lasciò in dote, a presidenza conclusa, alla collettività.
Della serata in cui il cortile venne inaugurato, conservo un ricordo indelebile. Era il mese di marzo del 1995, e da qualche ora era stato trucidato il direttore dell’ufficio del registro di Foggia, Francesco Marcone, integerrimo funzionario dello Stato, ucciso da mani che restano ancora ignote.

IL VALORE POLITICO DELLA BELLEZZA CONTRO LA VIOLENZA E L’ILLEGALITÀ
Il Presidente rifletté molto sull’opportunità di rinviare la serata. Poi decise che si sarebbe svolta lo stesso, e con voce affranta fu egli stesso a spiegarne al pubblico le ragioni. “Se facessimo tacere gli archi e i violini dei Solisti Dauni, metteremmo a tacere l’armonia della musica, e faremmo il gioco di quanti vogliono piegare questa terra alla barbarie, all’illegalità. Con il pianto nel cuore faremo lo stesso questa serata: affinché la bellezza si elevi contro la violenza e la ferocia.”
L’idea della bellezza come valore politico è stata una costante dell’operato di Pellegrino, ed anche il più grande insegnamento che ha lasciato a quanti hanno lavorato con lui.
Un inno alla bellezza è stato l’ultimo atto della sua Presidenza, tra i più alti ed i più significativi: l’inaugurazione della statua della Genesi di George Jimenez Deredia davanti alla nuova  sede della Provincia, la cui realizzazione Pellegrino aveva tenacemente perseguito con l’obiettivo di destinare a finalità culturali e di rappresentanza tutto Palazzo Dogana, trasferendo alla nuova sede le funzioni amministrative dell’ente.
L’opera è di una straordinaria bellezza: una sequenza di sculture che descrive un processo, una trasmutazione di stati, una genesi in divenire che, negli auspici del Presidente, doveva preludere ad un nuovo rinascimento per la provincia di Foggia.

UN NUOVO RINASCIMENTO PER LA PROVINCIA DI FOGGIA
Dal riscatto del cortile di Palazzo Dogana, strappato alla sua funzione di parcheggio, alla installazione della Genesi di Deredia sono passati quasi dieci anni e tanta acqua sotto i ponti. Acqua importante, che ha fatto intravedere a Foggia ed alla provincia la possibilità di uno sviluppo di segno nuovo, più attento alla cultura, all’attaccamento alle proprie radici. Le politiche culturali poste in essere da Antonio Pellegrino sono state sfavillanti, costellate da innumerevoli episodi che non hanno soltanto implementato una fitta rete di interventi culturali rimasti poi punto di riferimento, come il Festival del Cinema Indipendente, ma hanno anche badato alle “cose”. E che cose.
Tra le tante che Antonio Pellegrino ci ha lasciato ci sono due teatri – il Teatro del Fuoco ottenuto dalla ristrutturazione della vecchia caserma dei vigili del fuoco in via Castiglione e l’Orto degli Attori, recuperato riqualificando un capannone industriale nell’estrema periferia, i tre musei di cui ho detto all’inizio, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Palazzo Dogana.
Queste “cose” hanno animato una panorama culturale che prima d’allora era praticamente deserto. Gli deve molto, moltissimo l’ateneo foggiano, cui il Presidente volle concedere il vecchio ospedale di maternità di via Arpi, decisivo per la costituzione del polo umanistico che costituisce oggi un fiore all’occhiello ed una speranza di crescita per l’Università di Foggia.  Credeva molto nel ruolo e nella funzione delle istituzioni culturali, che vedeva come strumento per sottrarre la cultura all’effimero dei bilanci di previsione e della prodigalità della giunta: ne costituì ben tre, oggi purtroppo tutte liquidate o in fase di liquidazione: l’Università della Terza Età, intitolata al suo Maestro di scienza, Luigi Imperati, la Scuola di Pubblica Amministrazione “Marcone” e la Fondazione Giordano.
Fu spesso in anticipo sui tempi, come s’addice ai profeti ed ai lungimiranti: ma proprio per questo la sua eredità sarebbe tutta ancora da leggere: una provocazione, una sfida che la delicata fase di transizione che si apre per le Province non potranno comunque dimenticare.

VIVIAMO NELLA PROVINCIA PIÙ  BELLA D’EUROPA, MA NON CE NE ACCORGIAMO 
 L’idea della bellezza come risorsa e fattore propulsivo dello sviluppo gli nasceva da un amore profondo ed incondizionato per la bellezza della nostra terra. “Viviamo in una delle province più belle d’Europa, ma non sempre ce ne accorgiamo come dovremmo”, amava ripetere. E riteneva che questa intrinseca bellezza dovesse essere la risorsa più importante da investire per il futuro della nostra terra.
Il suo cuore batteva in modo particolare per Foggia, per la città che gli aveva dato i natali, ma valorizzare la funzione strategica del capoluogo per lui non fu mai una scelta localistica o partigiana. “La provincia di Foggia è così bella perché è così grande e così varia. È una provincia Regione, che si compone di territori così diversi tra di loro come il Tavoliere, il Gargano e l’Appennino, ma nello stesso tempo è un unicum, che deve trovare e sprigionare una sua identità. Per fare questo è necessario che Foggia, il capoluogo, ritrovi la sua forza trainante, che sia veramente Foggia capitale.”
Non è un caso che l’intuizione di Foggia Capitale, dopo il divorzio tra Pellegrino e il centrosinistra, e la sfortunata campagna elettorale che lo vide sconfitto da Orazio Ciliberti, sarebbe stata ripresa anni dopo da Gianni Mongelli, nella vittoriosa campagna elettorale che lo vide succede a Ciliberti, e che per molti versi e pur in un contesto del tutto diverso, rappresenta forse l’erede politico più naturale di Antonio Pellegrino.
Così come non è un caso che tra gli ultimi provvedimenti adottati dall’ultimo Consiglio Provinciale eletto a suffragio universale, ben dieci anni dopo la conclusione della presidenza Pellegrino, vi sia l’approvazione del regolamento del Marchio Capitanata, pensato e lanciato da Pellegrino durante la seconda campagna elettorale che lo vide, come la prima, vincitore al primo turno.
Lungimirante, l’intuizione del Marchio con cui il presidente voleva connettere e nello stesso rendere riconoscibile, identitario, tutto ciò che la Capitanata è stata ed è, fa, produce.
Ma dal buon profeta, Pellegrino non si limitava a guardare “dentro” il territorio e “oggi”: riusciva a presagire, ad intravedere “oltre” e “domani”.

LA STAGIONE DELLA CONCERTAZIONE, LE QUATTRO PROVINCE, IL SOGNO DELLA NUOVA REGIONE
Questa filosofia ha sorretto le politiche per lo sviluppo economico del territorio messe in campo dalle due amministrazioni guidate da Pellegrino. In tali strategie, il presidente fu assai efficacemente coadiuvato  dall’assessore provinciale che più a lungo ha collaborato con lui: Matteo Valentino. L’assessore di Cerignola fu assieme a Pellegrino  il tenace costruttore di quella che è stata definita  stagione della concertazione e che vide la Capitanata al centro di importanti interventi di programmazione economica negoziata tra i diversi attori dello sviluppo: la politica, il mondo del lavoro, il mondo dell’impresa.
Nessun’altra provincia del Mezzogiorno fu al centro di così tante iniziative: il Contratto d’area di Manfredonia e ben sei patti territoriali (tra cui quello di Foggia, dei Monti Dauni, dell’agricoltura, della pesca), che avviarono una lenta ma significativa riconversione dell’economia provinciale, orientandola, soprattutto per quel che riguarda i patti territoriali, verso produzioni e comparti più vicini alla vocazione del territorio.
Alla filosofia dell’ “oltre” e del “domani” fu pure ispirata l’iniziativa più ardita ed entusiasmante di cui di Pellegrino: il patto delle quattro province con cui l’ente di Palazzo Dogana, mettendo in moto una sorta di federalismo dal basso, riuscì a connettere i presidenti delle province di Foggia, Benevento, Avellino e Campobasso, e disegnando i contorni di una ipotetica nuova regione.
Al centro di questa sfolgorante idea vi era la consapevolezza che la Puglia stava stretta alla Capitanata, e che oggi lo sviluppo è soprattutto una questione di relazioni. Per esprimere fino in fondo il suo ruolo, per dare un senso alle sua tante infrastrutture che hanno mille potenzialità inespresse, come l’aeroporto Gino Lisa di Foggia, era necessario che la Capitanata guardasse non solo al resto della Puglia ma anche altrove. 
Le Quattro Province dettero vita ad un patto federale. La classe dirigente e politica di allora non fu pronta a recepire tutta l’ambizione e tutta l’enorme potenzialità di quel disegno. Ed è una sfida che sotto sotto continua, un’intuizione che di tanto in tanto si riaccende, ma chissà cosa accadrà, adesso che la Provincia si avvia verso il viale del tramonto.
Ormai da undici anni Pellegrino non è più presidente della Provincia di Foggia. La sua vicenda politica successiva è stata tormentata, difficile.  Molte sue idee e molte sue speranze sono state troppo presto accantonate. Ma le tante cose che ci ha lasciato stanno là a testimoniare non soltanto la grandezza di ciò che Antonio Pellegrino è stato.
Sono una concreta speranza di futuro, se in qualche modo riusciremo a  raccoglierne l’eredità, e camminare nella direzione, nel solco che Pellegrino ha tracciato. Soprattutto adesso che la Provincia non c’è più, che i sogni sono stati soppiantati da un brusco risveglio, e che si è chiusa un’epoca.
Fare memoria di Antonio Pellegrino serve a non disperare. A credere che un futuro per la Capitanata sia ancora possibile.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

2 thoughts on “Fare memoria di Pellegrino, per non disperare

  1. FORSE QUELLA FIRMA, POSTA DA ANTONIO PELLEGRINO INSIEME A POLITICANTI D'OGNI COLORE, DESTRO O SINISTRO, QUELLA FIRMA CHE CONDANNAVA L'ISTITUTO REGIONALE PER L'INCREMENTO IPPICO AD UNA LENTA AGONIA, INSENSATA. CONSIDERATA LA PERDITA NON EMENDABILE DELLA ENNESIMA RISORSA PERDUTA PER SEMPRE PER LA SFORTUNATA FOGGIA, QUELLA FIRMA NON AVREBBE DOVUTO PORLA. NON CREDE ?

  2. Non vorrei ricordare male, avendo lavorato per quasi un ventennio all’Ufficio Stampa della Provincia, ma quella firma non fu posta a caso. Una serie di Enti, nel 1996, coagularono orientamenti e disponibilità in funzione della tanto attesa autonomia della nascente Università di Foggia, che arrivò tre anni dopo.
    Vero è che l’IRIP (ormai ex Istituto Regionale per l’Incremento Ippico) era diventato una sorta di ‘usufruttuario’ della grande area in cui sorge e l’accordo del 1996 impegnava la Regione Puglia a trasferire l’IRIP da Foggia a Castelluccio dei Sauri, presso il grande ippodromo, allora in via di completamento. Ma fu questo piccolo Comune a fare marcia indietro, negando che la concordata parte dell’area ospitante l’impianto ippico diventasse sede dell’IRIP.
    Da lì è sorta l’infinita querelle, con la nascita del Comitato Pro-IRIP e chi difende la vecchia struttura dei cosiddetti “Cavalli stalloni” da una parte e dall’altra l’Università di Foggia e chi ritiene che la grande area coperta sia di totale pertinenza dell’Università, con la ormai consolidata presenza della Facoltà di Economia e del grande e moderno auditorium.
    Va poi ricordata la prevista realizzazione del Progetto «Parco urbano e archeologico campi Diomedei» che trasformerà del tutto l’area dell’ex ippodromo.
    Io credo sia giusto dare all’ex IRIP una degna sede (certamente in periferia, dove si trovava originariamente quella struttura rispetto alla vita amministrativa e commerciale di Foggia, quando sorse), per il proseguimento delle attività istituzionali, ma lascerei così com’è la struttura ospitante il “Museo delle Carrozze” e la storica “Sala riunioni”, autentiche perle non esportabili.
    Pellegrino – con tutti gli altri soggetti coinvolti – probabilmente guardò alto, pensando al bene supremo che Foggia rivendicava da decenni: la sua Università.
    Pellegrino fece male a mettere la sua firma? Lo dirà la storia, proprio perché occorre sempre contestualizzare gli avvenimenti e le scelte, per non farsi trasportare solo da nobili motivi a difesa di una antica istituzione, che non va liquidata ma solo collocata in spazi altrettanto adeguati.
    Cordialmente (Maurizio De Tullio)

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