Foggia, il dovere della memoria

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Tra i molti commenti che amici e lettori di Lettere Meridiane hanno pubblicato sul blog o sul social network, a proposito della difficoltà di Foggia a far memoria dei bombardamenti, mi hanno colpito in modo particolare un paio.
Quello di Ennio Piccaluga è dichiaratamente oltranzista, non preciso nelle cifre, ma pone un interrogativo inquietante, che non può essere liquidato sbrigativamente: “Vittime civili in Italia, nella II guerra mondiale: 25.000 di cui 20.000 a Foggia. Praticamente la guerra l’hanno fatto solo i civili di Foggia. E meno male che quelli che hanno bombardato erano alleati… Se Foggia ancora adesso è all’ultimo posto per qualità di vita, in Italia, è per questo motivo. E nessuno ha mai pensato di porvi rimedio in qualche modo, né gli USA, tanto meno il governo italiano.”
Per amor di verità, va precisato che non è mai stata fatta una stima esauriente delle vittime provocate dai bombardamenti in Italia. Furono sicuramente di più delle 25.000 riportate da Piccaluga (secondo lo storico inglese Eric Morris, 64.000, secondo fonti vicine alla destra, oltre 100.000), così come le vittime foggiane sono state verosimilmente inferiori alle 22.000 ufficiali. Resta, tuttavia, tutta l’attualità e la pregnanza dell’interrogativo posto da Piccaluga: in che relazione sta la tragica estate del 1943, con il successivo declino vissuto dal capoluogo dauno, che nell’Ottocento i geografi indicavano come la seconda città del Regno, dopo Napoli? Per dirla tutta, c’è stato un ruolo – e, se sì, qual è stato – della guerra e dell’occupazione alleata nell’innescare il processo di marginalizzazione che Foggia e la Capitanata hanno vissuto, rispetto alla Puglia?

Non lo so. Alcuni autorevoli storici, come Franco Mercurio, sostengono di sì (potete leggere in proposito questa lettera meridiana: Foggia e la ricostruzione post-bellica, come al danno si aggiunse la beffa). Per Mercurio, nel mancato riconoscimento dei danni patiti dai bombardamenti sta anche il germe del cosiddetto foggianesimo, ovvero della tendenza dei foggiani a lamentarsi, sempre e comunque. Io non sono uno storico, ma giro volentieri la domanda posta da Piccaluga agli amici e ai lettori del blog.
L’altro commento che mi ha fatto molto riflettere è di Rino Severo, pensatore vulcanico ed autodidatta, nonché mio amico d’infanzia. Riguarda il tema, delicatissimo, della rimozione consapevole, del non voler ricordare. Ecco quanto scrive Rino: “Mentre leggevo l’articolo del bravo Geppe, mi è sorta una domanda, ovvero a che serve ricordare degli avvenimenti che riguardano Foggia e i suoi 20.000 morti se Foggia non vuole ricordare? A che serve ricordare se il famoso monumento è dal 1943 che è stato ideato e forse anche disegnato e che ancora non vede la luce nella nostra città? È forse un vezzo di noi foggiani, mi aggiungo anche – io che non amo Foggia, non per Foggia, ma per i foggiani che stanno a Foggia-, che mettiamo in essere qualche cosa d’importante solo dopo ripetute sollecitazioni? La risposta, ebbene, è una sola: siamo sordi, ciechi e muti davanti a tutto e a tutti.Non riusciamo a muovere un dito se non per il nostro interesse, potremmo anche vivere da soli, isolati e abbarbicati sulla nostra misera isoletta, però ricordiamoci che da soli non siamo niente, e il nostro valore lo si scopre solo se riusciremo a porci in relazione con il nostro prossimo. Allora a che serve ricordare, riesumare i mille e mille ricordi se poi non vogliamo ricordare? Già non vogliamo ricordare, diventeremo una città senza storia e senza memoria, dovremmo pure pensarci prima o dopo. Buona notte, gente senza memoria.”
È possibile che in questo deficit, in questo buco di memoria, si annidi una delle chiavi per capire l’inarrestabile crisi di Foggia. Ma, se le cose stanno così, nel recupero di memoria e d’identità c’è anche la chiave del risveglio, del riscatto.

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Author: Geppe Inserra

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