San Francesco nella grotta dell’Arcangelo

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Giovanni Tancredi è stato uno dei pionieri della cultura garganica. Nato a Monte Sant’Angelo  nel 1872 e scomparso nel 1948, fu soprattutto un educatore. Insegnante e preside, fu il promotore della originalissima esperienza della Casa dei Bambini a Monte Sant’Angelo. Tenace ricercatore della storia, della cultura, della tradizione e dei dialetti del Gargano, scrisse diverse opere, raccolse e collezionò numerosi reperti che costituirono il nucleo iniziale del Museo delle Arti e Tradizioni popolari del Gargano di Monte Sant’Angelo, a lui intestato.
Filantropo, fu impegnato in diverse attività di solidarietà nella cittadina montanara. Tancredi fu veramente un personaggio straordinario, che andrebbe riscoperto e studiato. Lettere Meridiane promuoverà alcune iniziative in questa direzione. Da oggi, in due puntate, i testi del volume Su le balze garganiche che Tancredi pubblicò nel 1901, per i tipi della Tipografia Fiori di Ascoli Piceno.
Il volume racconta il pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo di San Francesco d’Assisi. Le foto sono quelle originali. Buona lettura.

* * *

La campana dall’alto della Torre dei Giganti annunziò lo spuntare del giorno: cessata l’ora del coprifuoco le massicce porte ferrate del paese si spalancarono; i servi della gleba si avviarono al lavoro mezzo assonnati e col triste ricordo della notte trascorsa ira le minacce dei bravi corrotti e avvinazzati, che attentavano all’onore delle mogli e delle figliole per far piacere al loro signorotto che tripudiava nelle sale dorate del gigantesco castello.

Sull‘orizzonte i monti violacei spiccavano nel cielo tersissimo azzurrino pallido; ad est di Monte Sacro il grosso disco solare di color arancione si levava lentamente, illuminando la cima dei monti; ovunque l’ alto silenzio campestre era interrotto dal canto degli uccelli saettanti nell’aria odorosa e dalle nenie pastorali clic si spandevano nelle vallate ombrose piene di misteri. Siamo nel 1222.

Fra gli intricati roveti della piana, che attualmente chiamasi Macchia a piè del monte, sacro all’ Arcangelo S. Michele, due monaci francescani si fermarono presso una cappelluccia, indi si inginocchiarono dinanzi al rozzo crocifisso appeso sulla parete di fronte e dopo aver pregato lungamente con fervore cominciarono a salire a piedi scalzi gl‘impervi sentieri che si aprivano sulle coste dei monti tra i massi strapiombanti e gli antri naturali.

Il viaggio è molto faticoso, ma essi devono essere abituati al duri sacrifici, perché dal loro viso traspare una calma imperturbabile di uomini assuefatti a sopportare serenamente, per l’amor di Dio, le sofferenze del corpo martoriato. Entrambi indossavano una ruvida tunica, stretta ai fianchi da una rozza corda con tre nodi, simboli di umiltà, di obbedienza, e di castità, conforme alla regola di vita poverissima.
Uno di essi sulla quarantina d’anni, di meschina presenza nel fisico, aveva la barba nera brizzolata, incolla, gli occhi luminosi sotto le sopracciglia folte e nere e sempre il sorriso sulle labbra smunte.
Malgrado l’aspetto, l’umile fraticello non dispiaceva, anzi il viandante era attratto da quell’uomo così modesto e trasandato, quasi emanasse da lui una forza soprannaturale.
A metà strada, un contadino che li precedeva si avvicinò molto rispettosamente e togliendosi il berrettone frigio, mise a disposizione il suo asinello per alleviare la fatica dell’ascesa. Ma essi, gentilmente, rifiutarono e preferirono camminare ancora a piedi per contemplare, in quel mattino luminoso, i colli coperti di pini secolari, le case biancheggianti sul fianco sottostante, fra tulle le gradazioni del verde, l’ ampia distesa del mare solcato dalle bianche vele, un complesso di bellezze naturali che rapivano in un’estasi divina i due pellegrini.
Sulla vetta del monte, al cospetto del paese arcangelico, l’umile fraticello, il figlio di Bernardone d’ Assisi, Giovanni, nome che il padre volle fosse cambiato in Francesco. si sentì l’animo inondato di gioia e baciò la terra ove erano passati attraverso i secoli santi e beati, papi e imperatori, re e guerrieri. Altrettanto fece il suo compagno di viaggio fra Leone in fra gli altri più semplice e più puro.

Indi, a passo accelerato, come se fossero spinti da una forza misteriosa, attraversarono la porta principale del paese e la via stretta non acciottolata, fiancheggiata da antiche case; penetrarono nel fitto bosco di olivi, di tigli, di querce, antistante al Santuario (precisamente dove ora è l’ orto della Basilica); sorpassarono il grande portale a sesto acuto del XII secolo (1) che si apriva a occidente; scesero le larghe scale, una quindicina in tutto, affollate di mendicanti; infine si trovarono dinnanzi alle meravigliose porte di bronzo, ove chiese loro l’elemosina un povero cieco, uomo già nobile e ricco, caduto nella più squallida miseria per la sua vita depravata.
Nell’umile fraticello si risveglia ad un tratto il confuso ricordo di un grido, udito già per le vie della sua Assisi, ove un vecchio pellegrino era passato esclamando: Pax et bonum, e, benedicendo il cieco, gli dice: “Dominus det tibi pacem” (Dio ti dia pace), fervida invocazione di fede e di amore che egli, in prosieguo prescriverà ai fratelli in Gesù Cristo. Il cieco riacquista la vista e la luce spirituale e frate Francesco si compiace di chiamarla frate Illuminato, il quale per gratitudine volle seguirlo in tutte le sue peregrinazioni. Di fatto Francesco nell’estate del 1224 era accompagnato alla Verna dai suoi fedeli: Leone, Angelo, Masseo, Silvestro e Illuminato.
L’Assisiate si ferma sulla porta del Santuario di S.Michele ed a chi l’invita a entrare risponde che Egli è indegno di oltrepassare la soglia della Casa degli Angeli.
Invece si inginocchia a destra della porta di bronzo, piange di commozione e passa momenti di intenso raccoglimento.
L’ Arcangelo S. Michele da lui venerato in modo eccezionale (2) è là, di rimpetto, sulla parete di oriente. sotto un magnifico baldacchino sostenuto da quattro colonne di marmo lavorato a serpentina. con scanalature alla base, di colore bigio, del nono-decimo secolo. Davanti al Cherubo celeste ardono molte lampade ad olio e grossi ceri e pregano molti pellegrini. Con la fronte poggiata sulla parete rocciosa destra Francesco continua fervidamente a pregare e lascia su di essa l’impronta delle sopracciglia e del naso sotto la forma del TAU (T), il quale rappresenta genericamente il simbolo della Croce di Cristo.
Per la grande devozione che Francesco sente per l‘ Araldo di Dio, egli, due anni dopo, nell’estate del 1224, salirà sulla Verna, come abbiamo detto altrove, (3) e farà la quaresima del Santo Michele. Partirà da quel Sacro Monte il 30 settembre, dopo di aver ricevuto nel giorno della Esaltazione della Santissima Croce (14 settembre) le Stimmate sante e gloriose.


Intanto, sparsasi la notizia del miracolo di frate Illuminato, una folla di popolo si radunò intorno al devoto pellegrino per baciargli i piedi scalzi, il lembo della ruvida tunica, e per ascoltare la parola di Dio. Ed egli, sullo spianato del piccolo paese intersecato da viuzze strette e paurose, parlò al popolo non con sermoni solenni, ma con semplici parole; ebbe per tutti espressioni confortanti di pace ed invitò i più restii a ravvedersi. il suo apostolato di amore mirava soprattutto a convertire le masse, a migliorare i costumi, a dettare negli animi desideri di pace e di bene: Pax et bonum.
Prima dl partire, passando pel boschetto che da allora prese il suo nome, volle staccare un ramo di pino d’Aleppo, il quale, secondo la leggenda, piantato da lui nel primitivo convento di Siena. dopo una notte crebbe molto rigoglioso.
Ecco perché migliaia e migliaia di pellegrini che visitano il celeberrimo Santuario garganico, a maggio ed a settembre, ritornando alle loro case, portano in cima al cordone da pellegrino i rami di pino di Aleppo.
Frate Francesco riprese la via del ritorno verso il vespro, dal lato opposto donde era venuto, sostò dinanzi al Castello feudale e la dove ora sorge la chiesetta della Madonna degli Angioli si arrestò e si volse a contemplare il creato, che egli considerava cosa di Dio, ad ammirare il magnifico panorama della montagna benedetta.
Indi inginocchiatosi pronunciò parole dl tenero saluto e di benedizione per il paesello mentre gli uccelli, cantando, si raccoglievano intorno a lui.
Giovanni Tancredi
(1. continua)

Note
(1) Tutti gli antichi scrittori ignorarono questo primitiva entrata, perché il portale a sesto acuto da secoli fu completamente murato e coperto di intonaco. In
seguito alla scoperta fatta da noi, siamo fermamente convinti che il padre Ludovico Wadding (Tomo I pag.280 – Ed.1625) anche se attinse da fra Mariano da Firenze (1450 1523) non fece altro che descrivere le fabbriche angioine (1273-1296), cioè l’ingresso al venerando elubro con i cinquantacinque gradini, mediante i quali si scende col beneficio della luce immessa da frequentati spiragli ecc.
(2)) Il Santo Poverello di Assisi ebbe dentro sé quattro amori giganteschi: Gesù Bambino, Gesù Crocifisso, la Vergine Immacolata e l’Arcangelo S.Michele.
(3) Vedi Giovanni Tancredi: I Presepi sul Gargano a traverso i secoli.

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Author: Geppe Inserra

1 thought on “San Francesco nella grotta dell’Arcangelo

  1. Mi è piaciuto tantissimo il "reportage" sulle fosse di grano a Foggia. In questa piazza, detta anche Piano della Croce, ci ho abitato circa un ventennio con la famiglia. Ai tempi della "benzina" qui si radunavano per la bisogna agricoltori ed altri addetti del settore sia per la compravendita delle merci sia per rilevare la manodopera. A simboleggiare la storia, proprio davanti alla Chiesa di San Giovanni, c'è una fossa antica (l'ultima delle mille e passa di un tempo salvatasi dalla cementificazione) ricoperta da vetro. Qui ci giocavano anche i miei ragazzi, quando nnon mi era possibile accompagnarli al parco-giochi in Villa. Grazie per questa "rinfrescata" di memoria!

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