Antonucci: “Alla ricerca della città profonda”

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Franco Antonucci commenta da par suo la lettera meridiana sulla città guardata ad altezza d’occhi, proponendo una suggestione, quasi un gioco. Provare a riscrivere la mappa di Foggia alla luce dei ricordi, o della percezione della città che ne hanno i suoi abitanti. Intrigante, vero?
Leggete attentamente le interessanti considerazioni di Antonucci, e provate a giocare con Lettere Meridiane, rispondendo a una semplice domanda: qual è il “pezzo” di città (strada, luogo pubblico, monumento o anche semplicemente negozio) che evoca in voi ricordi, emozioni, suggestioni?

* * *

Il pezzo di Geppe Inserra (guardare la città “camminata” e guardata ad altezza d’uomo) riporta al passato (Sottozero, eccetera), per romantico piacere, ma anche per andare avanti. Non riprodurre solo tutto quello che c’era, ma anche per ripensare in termini di continuità. Forse con elementi ed attività urbane nuove., determinate dalle nostre nuove esigenze e sentimenti. Con la speranza di legare questi al concetto degli “spazi urbani”. E conformare, così, una città diversa, più dinamica, contemporanea, più riconoscibile, più vivibile….
Mi è venuto al proposito in mente un classico dell’Urbanistica di qualche decennio fa : “L’immagine della città” di Kevin Lynch. L’Autore immagina di ricostruire la mappa della città in un modo insolito. Chiedendo alla gente informazioni per andare in luoghi particolari. Gli intervistati, oltre che dire “vai dritto, poi a destra, poi per via…, eccetera.”, fornivano anche informazioni attraverso negozi, monumenti, distributori, eccetera, eccetera.
Così rendendo più visive le loro immagini personali della città.
Kevin Lynch riportava tutto su una mappa muta, fino a ricreare una seconda “città, più profonda. Quella percepita dai cittadini”…
Eustacchiofranco Antonucci

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Author: Franco Eustacchio Antonucci

2 thoughts on “Antonucci: “Alla ricerca della città profonda”

  1. Da quando abito a Foggia (1966) ho alle spalle sei traslochi, tra quando vivevo con i miei e da sposato. In questo mezzo secolo la città è profondamente cambiata, a volte traviata a volte vestita a festa. Non così via Ordona-Lavello (stradina che congiunge viale Ofanto a corso Roma), solo in parte soggetta a nuove costruzioni.
    Ricordo che da piccolo (vivevo in via L. Sturzo), là dove ora sorge una moderna palazzina tra il semaforo e la Scuola Murialdo, insisteva un modesto ma frequentatissimo alimentari. Vi si accedeva attraversando una sorta di giardino-aia (galli e galline ci accoglievano allegramente!), con un grande albero ed altri minori che facevano sempre ombra. Dentro, Lorenzo, sua moglie e il figlio Michele (un bellissimo ragazzone, ambìto da tante signorine del quartiere) gestivano il locale, piccolo, poco illuminato che sembrava venir fuori da un film francese in bianco e nero. Ricordo come Lorenzo tagliasse le pagnotte, gesto immutabile che metteva in risalto quelle sue mani rugose, piene di vita, e come Michele dispensasse sempre sorrisi a tutti. Poi, la fuga obbligata da quel quartiere e il mondo che ti cambia dentro, con prospettive e sguardi diversi, un'altra scuola e nessun amico per amico.
    Oggi, che ci passo spesso perché vi ha sede lo studio associato del nostro medico di famiglia, quell'angolo mi torna vivo al ricordo e mi sembra di udire ancora lo starnazzare delle galline, il brulicare di voci che si sovrappongono per avere il pezzo di pagnotta migliore, e noi bambini che, ignari della vita, eravamo felici al gusto di un ghiacciolo Brio. Nulla è cambiato di fronte quell'angolo di mondo antico che non c'è più. Sono andati via – sotto le ruspe della modernità – il negozietto di Lorenzo e quel grande parco privato che, di fianco, faceva sembrare Foggia un'altra città.
    Maurizio De Tullio

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