Ho scovato nella collezione rilegata de Il Nuovo Risveglio regalatami dall’indimenticabile Gaetano Matrella, questo delizioso racconto di Fausto Parisi sulla morte di un canarino “intellettuale” che provoca dolore in quanti avevano gioito della sua presenza, del suo canto e dei suoi … suggerimenti librari.
Mi è piaciuto molto, e ho voluto ricopiarlo per gli amici e i lettori di Lettere Meridiane. Buona lettura.
È morto un canarino. La notizia può forse interessare ben poche persone. Ne muoiono tanti ogni giorno! Poi uno più uno meno. non è un problema.
Invece la storia di Piet, cosi si chiamava il canarino, è del tutto particolare. Pit (così si pronuncia, perché di lontana origine inglese) era un canarino straordinariamente diverso. Viveva la sua vita in assoluta libertà. La gabbia era per lui semplicemente una casa. Sempre aperta.
L’orribile porticina di metallo, quella a scatto, non c’era mai stata. Così vi entrava e vi usciva quando voleva, e solo per mangiare, bere e dormire. I suoi bisogni invece li faceva fuori, in una scatola di cartone lontana dalla gabbia, che Gaudenzio, il suo amico-padrone, gli aveva preparato apposta e ripuliva con cura di tanto in tanto. Trascorreva la sua giornata tra i libri, quelli esposti nella vetrina di una libreria del centro. Sì. Perché Pit era un canarino anche intellettuale. Tutto il giorno in libreria, sempre a contatto con visitatori e acquirenti. I maligni credevano che il proprietario l’avesse messo li apposta, perchè saltellando e gorgheggiando tra un libro e l’altro attirasse 1o sguardo di tutti. E poi si era quasi costretti a comperarne qualcuno, quasi sempre quello sul quale Pit s’era fermato di più.
Oggi quella libreria è diventata un desolato deserto. Pit non c’è più. I libri sono ritornati quelli di sempre, freddi, allineati, anche ben rilegati, ma nulla più.
La gente vi entra. cerca, trova, compera e se ne va.
È Gaudenzio il più triste di tutti. Se ne fa addirittura una colpa. Durante le feste natalizie s’era dovuto allontanare, come è ovvio, per qualche giorno, e aveva lasciato a Pit tutto il necessario per «sopravvivere»: acqua in abbondanza, il solito mangime.
Anzi, essendo Natale, gli aveva preparato anche un dolce fatto in casa, un biscotto, di quelli che hanno il sapore di queste feste. Gliene aveva lasciato più d’uno. Non si sa mai. Quando è tornato l’ha trovato agonizzante. Il gelido referto del veterinario parla di ingestione di carta. Forse quella che sosteneva il biscotto. Ci piace invece pensare che il vero motivo sia stato la solitudine e la lontananza degli amici. La sua prematura scomparsa ha lasciato in tutti noi un vuoto difficile da colmare. Eravamo assidui frequentatori di una libreria come tante, nemmeno troppo rifornita, forse troppo specializzata, ma con Pit era piena di vita. Pit era
riuscito a galvanizzarci tutti.
Lo sentivamo come un amico. Ci piaceva il suo canto, il suo coraggio, l’aria di libertà, che ostentava con parsimonia, come solo può farlo un animale in libertà. Un canarino, si sa è solo un canarino. È pur sempre un animale, che canta, forse anche bene. E per molti è solo questo.
Un divertimento come un altro. Per noi era molto di più, addirittura più di quanto noi stessi potessimo credere, prima di oggi.
Nel nostro mondo reso vuoto dalla tecnologia e dalla pianificazione esasperata, che non riesce più a godere delle piccole cose, e che sopratutto non riesce più a farsi intendere, perché anche la parola oramai non significa più nulla, questo canarino era diventato quasi un simbolo.
Nella sua semplicità ci rammentava tante cose, ci obbligava ancora a pensare, come forse non facevamo più da tempo, nonostante i nostri studi e le nostre ricerche. Dopo aver conosciuto Pit, non ci pare più così vero quello che molti vanno dicendo che voler bene agli animali sia in fondo una forma di egoismo e di rifiuto degli altri. Al contrario solo chi ama, non importa ancora cosa, può passare di grado in grado ad amori più profondi. Sentiamo invece come una condanna, e una tragedia per gli uomini non riuscire ad amare manco un canarino.
Ci dovranno poi spiegare costoro come fanno ad amare gli uomini che certo valgono molto più d’un canarino,
Fausto Parisi
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Una pagina ingiallita che diventa magico arcobaleno! Splendida narrazione, ottimo recupero della memoria di certo giornalismo nostrano (coraggioso e di qualità) che la stragrande maggioranza dei (cosiddetti) giornalisti locali dovrebbe rileggere pagina per pagina prima di mettersi davanti a una tastiera a sparare banalità.
Il racconto (peccato manchi l'anno di quel numero del "Nuovo Risveglio") mi ha ricordato una canzone bellissima, "Il manichino", cantata da un Gino Paoli in grande forma e contenuta in quello che ritengo il suo più bel 33 giri (del 1974, che possiedo) "I semafori rossi non sono Dio", i cui testi sono però quasi tutti del francese Serrat.
Molto bello il passaggio finale di don Fausto quando afferma: "…solo chi ama, non importa ancora cosa, può passare di grado in grado ad amori più profondi. Sentiamo invece come una condanna, e una tragedia per gli uomini non riuscire ad amare manco un canarino. Ci dovranno poi spiegare costoro come fanno ad amare gli uomini che certo valgono molto più d'un canarino…".
Questo passaggio lo dedico ai sempre più numerosi 'Ultras della parola', presenti anche nel Blog e nella Pagina FB di LM.
E il fatto che abbiano diritto di voto nulla toglie al fatto che si comportino da "poveri mentecatti".
Cordialmente (Maurizio De Tullio)