La Madonna dell’Incoronata: storia che attraversa i secoli (di Francesco Gentile)

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Abbiamo visto ieri il racconto dell’apparizione della Madonna dell’Incoronata, secondo le diverse versioni tramandate e raccolte ed efficacemente sintetizzate dalla penna di Francesco Gentile. Lo scrittore foggiano originario di Ascoli Satriano si sofferma oggi, nella seconda puntata, sull’analisi della Statua della Vergine che si venera nel Santuario e sulle vicende storiche che hanno caratterizzato il luogo di culto, fino ai primi decenni del secolo scorso. Va precisato che Gentile scriveva nel 1930, quando non era ancora Stato realizzato il moderno Santuario che si erge oggi ai margini del Bosco. Chi volesse saperne di più sul Santuario di quegli anni trova una puntuale e suggestiva descrizione in questo articolo: Caggese racconta le masserie e l’Incoronata. Alla fine dell’articolo il link per poter scaricare l’immagine della Madonna dell’Incoronata che illustra il post, ad alta risoluzione.

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Per ricostruire storicamente l’evento, dobbiamo riportarci, come per l’Icona Vetere, al tempo degl’iconoclasti.
Si sa che Leone III Isaurico, imperatore di Oriente, fu un feroce persecutore delle sacre immagini. Nel 724 pubblicò un editto per la completa distruzione delle medesime, ritenendo atto d’idolatria la loro adorazione. Mosso da tale pregiudizio, riempì l’impero greco di stragi e di crudeltà, allo scopo di obbligare i popoli ed i prelati ad eseguire i suoi ordini. Tempi calamitosi furono quelli per la Chiesa, perché si rinnovarono il ricordo e lo strazio delle persecuzioni subite dai cristiani nei primi tre secoli degl’imperatori pagani. A nulla valsero gli autorevoli richiami del pontefice Gregorio I: l’ostinata eresia continuò ad infierire fino al 787, epoca in cui, sotto il papa Adriano, il concilio II di Nicea, celebratosi con l’intervento di 377 vescovi, annullò l’editto del 724 e proclamò il libero culto delle immagini.
In quel periodo di contrasti per la religione cristiana, i più ferventi e coraggiosi mettevano al sicuro le principali immagini, nascondendole da per tutto: nel folto dei boschi, entro le rocce, nelle oscure caverne, in nicchie murate, sotto terra. Quando ebbe fine la persecuzione, quei simulacri furono ripresi e portati in trionfo. Molti, però, andarono sperduti, e furon man mano ritrovati dai posteri. Così può dirsi per la Madonna Incoronata, rinvenuta nel bosco che da essa prese il nome.

E qui ci sia consentita una parentesi per rispondere a qualche domanda del lettore. Di quale materia è formata la statua?
È di legno.
Narrasi, in proposito, che, nei tempi passati, un signore, punto dalla curiosità, e non sorretto dalla fede, volle ad essa avvicinarsi per constatare di che cosa fosse. Cavato di tasca un piccolo coltello, si diè ad incidere la faccia; venne fuori del sangue che inondò gli occhi dell’incredulo, rimasto immediatamente cieco per punizione del suo ardire.
E perché la statua è nera?
Asserisce uno storico che tutte quelle, che scamparono dalla persecuzione degl’iconoclasti, come la statua della Vergine Incoronata, hanno la caratteristica della faccia e delle mani nere, forse convinto che detti simulacri furono trasportati dall’Oriente, dove le Madonne venivano in tal modo effigiate; senza dire che la medesima caratteristica si riscontra nei quadri della Vergine, attribuiti al pennello di San Luca, e ritrovati pure per fatti straordinari. Chi non sa, d’altronde, che nella pittura bizantina od orientale le Madonne erano rappresentate col viso e con le mani scure su sfondi dorati?
Queste immagini, dipinte o scolpite, hanno una certa rassomiglianza anche nel sembiante, e ci riportano appunto al tipo creato da San Luca e descritto da Niceforo di Callisto: occhi vividi, pupille color di olivo, sopracciglia incurvate e decentemente nere, naso lungo, mani delicate, viso non rotondo, ma lungo e filato. San Luca era, di certo, uno dei 72 discepoli di Cristo; egli, al pari di San Giovanni Evangelista, ebbe familiarità con la Vergine, ed al dir del Metafraste, con la cera o col disegno, delineava dal naturale i ritratti, tanto del Redentore, quanto della Madonna, non solo per sé, bensì donando a chi ne avesse desiderato. Il citato Niceforo narra, anche, che lo stesso Apostolo soleva presentare i ritratti alla Santa effigiata, e che la Vergine, grandemente compiacendosi, apponeva alle sue figure grazie e doni celestiali. Uno scrittore religioso, poi, così si espresse: «Ella per noi presentossi bruna per le nostre colpe ed in sé tutta bella dallo Spirito Settiforme adombrata…».
Ma, non vogliamo più oltre divagare, convinti che non è consentito di indagare su argomenti religiosi, i quali, invece, devono essere riportati nella loro interezza, rispettando le credenze del popolo, e volgendo la mente al lume della fede.
Stando alla tradizione, la statua dell’Incoronata, quando apparve al conte, con la mano destra sosteneva un giglio, e con la sinistra in parte un globo; inoltre, teneva al seno un Bambino, anche con corona, reggente con la mano sinistra il globo, quale Salvatore del mondo, ed avente la destra alzata in atto di benedire. Tale rappresentazione è fedelmente riportata in alcune figurazioni fissanti l’episodio della prodigiosa apparizione. Come per una conferma, troviamo annotato che, nei primi tempi e nella primitiva cappella, la Sacra Immagine fu adorata insieme al Bambino, e che questo, in prosieguo, fu trasferito a Roma, mentre la Vergine, privata anche del giglio, rimase sul tronco della quercia con le braccia elevate, per dichiarare la sua prontezza nel concedere grazie, e col mostrare il seno libero, aperto alla immensa sua misericordia.
Com’è detto innanzi, il primitivo tempio alla Vergine venne eretto subito dopo il di lei ritrovamento, e fu una piccola cappella costruita intorno all’albero, per far rimanere la statua al posto dov’era apparsa. La parte superiore, secondo quanto asserisce uno storico, fu fatta fabbricare alla distanza di parecchi anni, insieme al convento, da alcuni monaci benedettini cistercensi. Certo è che la prima notizia, che si ha della chiesa e del convento della Incoronata, rimonta al 1066.
Nel detto anno, mentre i Normanni erano signori del regno, il vescovo di Troia, Stefano Normanno, volendo assoggettare la chiesa di Foggia alla sua giurisdizione, ed avvalendosi della protezione del governo, ottenne dal pontefice Alessandro II una bolla, spedita da Salerno, in base alla quale Foggia venne assegnata a Troia con tutte le chiese appartenenti, compresa quella dell’Incoronata, insieme all’annesso monastero cistercense, e con la facoltà dello stesso vescovo di benedire l’abate (Monasterium S. Maria de Coronata cum benedictione abbatis).
Dopo l’epoca accennata, per le notizie storiche, dobbiamo riportarci al XV secolo, ed al munifico e pio signore della nobile famiglia Guevara, il quale lasciò sì larghi doni alla chiesa ed al convento, da essere ritenuto come l’inventore della Sacra Immagine. Qualcuno è stato indotto a tale convincimento, nell’esaminare la scarsa importanza architettonica del Santuario ed il tipo di costruzione, che non si può far risalire al secolo XI. Trattasi, evidentemente, d’un errore, perché, a parte la considerazione che il primitivo Santuario, per effetto della sua stessa fama, devé nel corso degli anni essere ampliato, per quanto riguarda l’attuale stato di costruzione, dobbiamo riferirci agli accennati benefizi del Guevara. Ed aggiungiamo che costui, nel disporre l’ampliamento della chiesa, volle al certo rispettare l’antica tradizione, secondo la quale la Madonna, allorché apparve all’ignoto cavaliere e gli diede l’ordine di costruire sul posto un tempio, avrebbe anche detto: «Ti avverto che non voglio in questo edifizio ornamenti di marmi, né che sia di magnifica architettura; sarà solamente di semplice disegno, mentre ad ogni suo ornamento suppliranno le grazie, che dispongo in esso concedere ai miei divoti».
Nel secolo XVI l’Ordine dei Benedettini subì una larga riforma in conseguenza delle prescrizioni del concilio di Trento; così anche il convento andò incontro a mutamenti, specie nella parte amministrativa. Esso era stato fino allora una «Grancia» dell’Ordine Generale, con molti laici professi, i quali avevan curato la coltivazione dei terreni in dotazione ed il mantenimento della chiesa e del convento. Il Santuario si liberò dalla giurisdizione del vescovo di Troia, e fu elevato a badia concistoriale o cardinalizia, ricca di proventi ecclesiastici e di vasta estensione di terreni. Ciò avvenne precisamente nel secolo XVI, come fa fede una epistola di papa Gregorio XIII, incisa sulla facciata della chiesa. Nel 1728 il cardinale Salerni ornò la chiesa di marmo con un altare, un contorno al muro superiore di esso altare ed un presbiterio.

Il Santuario, com’era ai tempi in cui scriveva
Francesco Gentile

Nel 1808, sotto il regno di Giuseppe Bonaparte, vennero aboliti molti conventi, e la badia della Incoronata si rese vacante. Quindi i beni di essa furono dati all’Amministrazione del Tavoliere di Puglia, ed il tempio e l’annesso edifizio, insieme alle entrate delle oblazioni, furono assegnati all’Amministrazione del Monte Frumentario. Di poi, il tutto passò all’Amministrazione degli Ospizi di Foggia, compreso l’Ospedale Civile. Dopo la restaurazione del governo borbonico in Napoli, a seguito di trattative del ministro segretario di Stato degli affari interni e col beneplacito della Santa Sede, il Santuario, già badia concistoriale, fu concesso in dotazione al detto Ospedale; questo venne affidato, come lo era stato in epoca anteriore, all’Ordine religioso di San Giovanni di Dio, che prese ad amministrare anche le rendite dell’Incoronata, destinate al patrimonio dall’ente ospedaliero. In conseguenza della legge 7 luglio 1866 circa la novella soppressione degli ordini religiosi, le cose cambiarono, ed i fondi e cespiti tutti di pertinenza dell’Ospedale dovevano passare al demanio. Ma, il sindaco di Foggia, Lorenzo Scillitani, il cui nome è scritto a caratteri d’oro nella storia delle beneficienza cittadina, il 20 luglio 1872 ottenne dal Governo che il fabbricato dell’Ospedale, nonché il Santuario e le relative entrate, fossero rivendicati al Comune. Permane, quindi, attraverso i tempi, un’opera di bontà e di amore, che attinge le fonti finanziarie alla pietà dei fedeli, ed alla loro devozione verso la Madonnina bruna.
Ritornando alla chiesa, ripetiamo che in essa non si riscontra alcunché d’importante quanto all’arte. In un angolo, a sinistra dell’altare, vi è un’olla di rame, ove ardono di continuo nell’olio i lucignoli: è la pentola che fu attaccata all’albero dal villano, subito dopo il rinvenimento della statua. Ivi si accalcano i fedeli per essere unti dall’olio benedetto.
In una bella nicchia, su apposito altare, si conserva una insigne reliquia: la tèca che racchiude il corpo di Sant’Amanzio, estratto dal cimitero di S. Elena in Roma. Essa reliquia fu donata al Santuario dall’illustre porporato di Santa Chiesa cardinale Colonna. Erroneamente ritiene il popolo che vi siano, invece, conservate le ossa dello «strazza-cappa», morto in concetto di santità.
Ci sembra d’aver accennato innanzi all’altare inferiore, o sacello, entro il quale trovasi un quadro della Madonna. Le pareti del tempio, com’è noto, sono addirittura coperte di voti e di piccoli quadri, riproducenti scene di miracoli operati dalla Vergine. La statua e l’altare sono ricchi di doni preziosi.
Francesco Gentile
(2.continua)

Per approfondire:

Per scaricare l’immagine che illustra il post ad alta risoluzione: https://www.dropbox.com/s/wu7g0tps7hbrle5/incoronatabn.jpg?dl=0
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Author: Geppe Inserra

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