Bacchelli racconta le Puglie e il Gargano

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Una foto d’epoca del lago di Varano

Riccardo Bacchelli tornò in Puglia per incarico de La Stampa nel 1950, dopo che più di vent’anni prima, aveva dedicato alla provincia di Foggia tre splendidi reportage (potete rileggerli qui).
Intitolato La via adriatica, l’articolo venne pubblicato dal quotidiano torinese il 31 ottobre 1050. La Puglia occupa, nel racconto dello scrittore, di rara bellezza ed efficacia, praticamente tutto lo spazio narrativo del suo viaggio lungo l’Adriatico. Un inno alla bellezza del Tacco d’Italia. Buona lettura.

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Non saprei da che punto preciso, ma sempre più da quando mi sento sulla via del ritorno, e di stare risalendo l’Italia, come diciamo per l’abitudine immaginaria di collocare in alto il Nord e in basso il Sud della nostra pallottola astrale, mi prese fretta di stringere i tempi del viaggio e di restringere l’intento alla generale configurazione costiera, per non disperdere e frangere la memoria su troppi particolari.
Soltanto della Puglia marina, credo di sorvolare più di dieci luoghi e paesi e città, mentre della sosta a Bari, che vigorosamente riassume la tenace e pugnace e ingegnosa intraprendenza pugliese, approfitto per augurare al mio amico, scultore egregio, Francesco Barbieri, che il lavoro ch’egli vi sta compiendo riesca degno del suo fertile e ricco e delicato talento. Più che augurio, è certezza: ed è giusto e opportuno e confortante, per me e per chi al par di me crede che il risorgere d’Italia debba prima di tutto allignare in un risorgimento intellettuale ed artistico, che tale augurio e certezza si leghi con l’impressione di profonda vitalità che ho ricevuta da Bari e dalle Puglie, insigni e potenti nella storia e nell’arte, e robuste e rigogliose di linfe vitali fra le regioni dell’Italia d’oggi, travagliata e non stanca.
Ma fra tante cose su cui sorvola, alla memoria fa forza Brindisi gaia e vivace, perchè il suo golfo scintillante al sole è troppo bel porto di natura e d’arte, mentre a Trani ho raccolto e mi serbo la più bella ed esultante manifestazione della luce costiera pugliese.

Circola essa con agio e splendore, nuovissimi, per le strade e gli spazi di Trani, ricca di geniali e variati edifizi; ma sulla pietra chiara, e di vena lieve e calda, del Duomo, esulta, come ho detto, e riposa; e l’accarezza, la circonfonde, quasi l’imbeve, e ne ricava essa stessa, la naturale luce, una bellezza spirituale. È quel colore della pietra, che il mare e l’aria salina tengon viva e pulita senza roderla; è la mano leggiera e fantasiosa degli intagliatori romanici, con figure ed ornati che rendono, armoniosa, la luce stessa; è la mano geniale del grande plasmatore di porte, dell’antico Barisano da Trani, che trattò il bronzo di questa, con tal morbida e ferace ricchezza e sapienza di ritmi figurativi e di linee sicure e di sbalzi e rilievi, da far dire che nel bronzo ha plasmata e come incorporata, in bellezza, la luce. Sicché vien da essergli grati ch’egli si sia effigiato, in una di quelle mirabili formelle della porta, ai piedi del Santo titolare. È l’invenzione alata e varia, liberamente disciplinata attraverso i secoli ad un’armoniosa unità, degli architetti del Duomo, opera grande, di struttura quietamente ardimentosa, serena e forte, aerea e comparta ad un tempo, nella quale uno di essi, quello che nel basamento s’è firmato. « Nicolaus sacerdos et protomagister », ha introdotta la luminosa invenzione su cui s’erge il campanile, quasi che posi sull’aria e sulla luce del grand’arco ogivale.
Ma poi fa anche forza alla memoria la poesia dell’origine del Duomo: di quella morte di un pellegrino greco, che il 20 maggio di or sono ottocentocinquantasei anni, venne a cadere, sfinito dalla sua pia fatica, davanti la chiesa episcopale di Santa Maria, sulla quale sorge il Duomo e la incorpora, dedicato a Nicola Pellegrino, santo patrono di Trani, dove finì quella sua fatica. Ed è chiamato Pellegrino per questo, e per distinguerlo dall’altro, dal Taumaturgo, che nella famosa Basilica di Bari è venerato da un culto comune alla cristianità latina e greca e slava: fatto su cui dovrebbe meditare, per sua salute una civiltà di facili comunicazioni materiali, minacciata da tanto gravi e insanabili separazioni spirituali, com’è la nostra irreligiosa.
E luce festosa e fresca invade quietamente le navate d’agili colonne abbinate, l’alto transetto; trionfa, gioiosa ed austera, nell’abside trina del Duomo. Di queste absidi di quel mondo architettonico grande, che son le chiese delle Puglie, tutte sarebbero da raccontare, ma la luce di questa è particolare. È che il Duomo, liturgicamente orientato coll’abside a levante, si protende sulla scogliera a mare, quasi nave disposta al varo sullo scalo; e perciò la riempie luce mattutina e marina. Ed è, nella memoria del mio circuito costiero, un istante fuggevole e indimenticabile, d’incanto luminoso.
D’altronde, ascetica e sacra, profana e superba, ogni architettura di Puglia fu sempre amica della luce; e ne fanno testimonianza, anche nelle sue moli più chiuse e potenti, le lumeggianti finestre meravigliose, tanto che d’alcune s’è invaghita la leggenda, favoleggiandovi.
Luce naturale, tremenda, e direi pesante, pioveva e stagnava sulla piana dell’Ofanto in quel pomeriggio, quando, al bivio prima del ponte, un’ indicazione stradale con un nome, aggiunse peso di storia all’afa dell’ora, e uno smarrimento dell’intelletto al panico solare. Era il nome della battaglia in riva all’Ofanto, dove il genio guerresco di colui che al Trasimeno aveva potuto credere d’aver in mano Roma, potè illudersi per l’ultima volta di vertere la sorte che respingeva lui e la moribonda fortuna di Cartagine e dei fenici, in Africa. Era il nome di Canne.
Passato l’Ofanto, cominciano le bonifiche del Lago di Salpi, le saline di Margherita di Savoia, le colmate d’Alma Dannata, che ha, chi sa perché, un nome così tenebrosamente splendido; Non sapevo che su vasta estensione le saline abbiano una loro naturale e artificiosa bellezza, colla geometria delle ampie vasche d’evaporazione e dei candidi o grigi cumoli del sale, con la varietà delle acque specchianti, più o meno biancheggianti e più o meno restie al vento, a seconda che sono più o meno cariche e pesanti di sale, secondo il grado d’evaporazione.
In capo alla falce dell’amplissima spiaggia lunata, emerge fra la pigra pianura e il mare pigro, con quel colore, che d’ogni lato è il suo, di nuvola glauca, il Gargano. La strada di bonifica entra nella lucente desolazione acquitrinosa del Lago Salso in prosciugamento e delle paludi di Siponto. Sono, a perdita d’occhio, erbe e vegetazioni palustri d’un giallume cupo ed aspro, bronzato, e, se si potesse dire, itterico; selva d’erbe e canne stepposa, da cui sgorgano canali tetramente lucidi.
Dall’altro versante del Gargano, le due lagune di Lesina e di Varano appariranno dall’alto della strada costiera, poiché son luoghi a me familiari lo so, come due spere d’azzurro celestiale dolcemente appannato, e, se soffia il vento, abbrividente, sul margine lieve della spiaggia che basta appena a dividerle dal mare. E sul mare, improvvise, le Tremiti sorgeranno vicine come in sogno, e, come in sogno, lontane.
Vengon dette in luogo, giustamente, isole del mare verde; e per lunghi tratti della costa, fino in Abruzzo, splende, quel mare, di lame e stese e correnti del più vivace smeraldo marino che immaginar si possa.
Ma bisogna ormai avviare il viaggio a conclusione.
Salutata, dal superbo balcone di Serracapriola, la Puglia estrema, lungo l’Adriatica abruzzese e marchigiana e romagnola, strinsi i tempi. E ciò mi consente di serrare in un’immagine compendiosa e dominante la lunga tratta di strada da Serracapriola a Rimini; e direi ch’è la progressiva vicenda d’una crescente amenità familiare dell’Adriatica, via via che il mare si fa più manso sugli arenili mo desti, mentre lo agresti colline delle pendici appenniniche, più e più volte allargandosi e restringendosi ai fianchi della strada, la cingono, col mare e le spiagge, come di un lungo e continuo e rinnovante abbraccio lene e gentile, che l’accompagna. I rari tratti in cui l’Adriatica diverge e s’interna, non fanno che rendere più sensibile cotesto carattere, che è festoso ed ameno, del cammino veloce lungo le marine, anzi rasente il mare, della riviera adriatica.
Riccardo Bacchelli

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Author: Geppe Inserra

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