Ci sono due mani incrociate dietro una schiena.
Una stringe dentro di sé l’altra che invece è abbandonata a se stessa.
Sono rocce scavate dalle radici di un albero, penso.
Sono radici che s’intrecciano tra la terra e il cielo.
Sono la radice di ogni radice, queste mani legate.
Mani, come pelle della terra,
mani, come ginocchia piantate in terra quando si è sconfitti,
mani che lavorano,
mani spalancate,
mani che pregano.
Sono le stesse mani su cui si è fatto buio alle tre di pomeriggio, quando il velo del Tempio si è squarciato e la terra si è messa a tremare.
Il candore del camice di lino bianco, benedetto e senza macchia, è adornato con preziosi merletti di altri tempi dalle mani delle mogli, delle mamme o delle nonne. Questa fotografia mi cattura e mi proietta nel giorno dell’anno più atteso per i vichesi, raccontato da Pasquale D’Apolito – con originale delicatezza – nei 14 scatti della mostra fotografica Prospettive Inattese, istantanee dal Venerdì Santo di Vico del Gargano, allestita presso il ‘28 millimetri Studio’ e visibile al pubblico dall’11 agosto.
È proprio l’immagine di queste mani, riposta con cura nella vetrina dello Studio e parte integrante dell’esposizione, a condurmi all’interno. Qui mi accoglie uno scatto dell’Addolorata con le sue mani protese verso una donna: porta le dita della mano alle sue labbra, le bacia, affinché il bacio giunga alla Mamma delle mamme. Percepisco sentimento in quel bacio, lì sono racchiusi tutti i pensieri di una mamma verso i propri figli. Sento pure il passo silenzioso delle donne di Vico, che si raduneranno ai piedi di Maria per intonare “Ai tuoi piedi o bella Madre”.
Una carezza, espressa con un cenno in un altro scatto, rapisce ancora la mia attenzione. Una mano ha appena cinto il capo di un piccolo confratello con una corona di spine di rovi: è una carezza antica, atavica, che ripercorre ‘di generazione in generazione’ padri e figli. Ancora il gesto di un prete, che prende sulle sue spalle il baldacchino con Cristo morto, superando a mia memoria la tradizione dei portatori.
È così, che immagine dopo immagine, sensazione dopo sensazione, percorro il tempo, medito. M’imbatto ora in un volto che insegna come la lode di Dio sia portatrice di saggezza, ora in un braccio tatuato che racconta di come la vita di un uomo scorra tra le storie, le ricerche e le scelte.
Pasquale D’Apolito scrive le sue poesie attraverso la macchina fotografica. Adotta un ragionamento realistico e asciutto, che permette di pensare, invitando a percorrere traiettorie interiori. Coglie gesti e particolari sfuggenti che concorrono a rendere imponente una delle giornate più importanti per il popolo vichese.
L’autore s’interroga in maniera intima sulla fede, sulla tradizione e sul suo futuro, come fa nell’ultimo scatto presentato, dove tra dei piccoli confratelli – dei bambini – che guardano con i loro occhi lontano, ce n’è uno che indica un orizzonte.
Guardare lontano ancor prima di arrivarci, porre al centro del nostro futuro le nostre radici.
È questa la necessità che colgo.
Queste foto custodiscono il tempo, i riti e le speranze; ognuna parla con la sua anima, ognuna con la sua ragione.
Francesco A.P. Saggese
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