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Il pianto disperato della madre di una delle vittime |
Oltre a quelli che ci fanno precipitare in basso nelle classifiche nazionali della qualità della vita, c’è un altro triste primato che la città di Foggia può vantare. È la città italiana che negli ultimi decenni ha fatto registrare il più elevato numero di crolli con vittime. Ancora prima di viale Giotto, via delle Frasche e via De Amicis, il capoluogo dauno aveva fatto parlare di sé, per simili infausti eventi.
La drammatica serie si aprì alle 21 del 10 febbraio del 1958, quando un forte boato scosse la tranquillità degli abitanti del rione del Piano delle Fosse. Ci fu chi pensò che fosse improvvisamente tornata la guerra, la città piombò immediatamente nella angoscia.
Uno dei più antichi palazzi della città, denominato Palazzo Angeloni dal cognome della famiglia che l’aveva acquistato e ristrutturato tempo prima, era crollato. Si era accartocciato improvvisamente su se stesso, dopo che qualche anno prima era stato pesantemente danneggiato dai bombardamenti.
L’edificio era stato dichiarato inabitabile da tempo, ma in una città sventrata dalla guerra e dalle incursioni aeree della tragica estate del 1943, che registrava una crisi abitativa durissima, era stato occupato da famiglie di senza tetto, pare provenienti da Monte Sant’Angelo, in attesa dell’assegnazione di un alloggio popolare.
Come raccontarono i giornali dell’epoca, il sindaco era sul punto di far sgomberare quegli appartamenti giudicati pericolanti. Soltanto qualche giorno prima del crollo, una famiglia che abitava al piano terra aveva spontaneamente lasciato l’edificio.

Dell’altra famiglia rimasta uccisa dal crollo si salvò soltanto il figlio maggiore, che non si trovava in casa al momento della tragedia: erano i giorni di carnevale, ed era andato a ballare.
Un filo di memoria e di solidarietà collega il crollo del palazzo Angeloni a quello di viale Giotto dell’11 novembre 1999. Nella prima sciaugura aveva perso la vita la famiglia di Agostino Laquaglia, l’eroe di viale Giotto, che restò incessantemente alla guida della pala meccanica per tre giorni e tre notti, nel tentativo di salvare quante più vite umane possibile.
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Agostino Laquaglia |
Al crollo del Piano delle Fosse, l’Unità dedicò un ampio articolo in prima pagina, firmato dall’inviato Giacinto Di Leo: “Il palazzo Angeloni era vecchio come tutte le altre case del quartiere. Venne costruito nel secolo XIII da Federico II, ed adibito a carcere. Più tardi fu trasformato in grande forno, ove confluivano, sino alla fine del secolo scorso, con la mena delle pecore, i pastori abruzzesi a far provvista di pane. Nel luglio del 1943. Una bomba fece saltare un’ala del fabbricato; i terremoti di questi ultimi anni hanno fatto il resto. Vivere tra queste mura marcite, mancanti dei più elementari servizi igienici, in condizioni tremende di promiscuità, era da tempo un incubo per tutti gli abitanti; i quali tuttavia non avevano altra alternativa.”
Il giornalista del quotidiano comunista raccoglie anche lo sfogo di alcuni residenti della zona, una delle più povere della città e delle più colpite dalla furia delle bombe alleate: “Del pericolo incombente sono consapevoli tutti, nel rione. In mattinata, mentre si estraevano i corpi, decine e decine di donne che abitano alla Maddalena, nell’ex caserma della Bruna, e via di seguito, premevano contro gli agenti e gridavano: «Così, come dei topi, dobbiamo morire noi poveretti!».
L’inchiesta giudiziaria non riuscì mai a far piena luce sull’accaduto e sulle eventuali responsabilità. Destò una certa impressione il fatto che il palazzo fosse crollato su se stesso, e qualche ipotizzò che il cedimento fosse dovuto alla debolezza strutturale, ma anche alla costruzione di un tramezzo, all’ultimo piano, per consentire la creazione di una stanza da destinare ad una coppia di giovani che stavano per sposarsi.

Il palazzo (devo questa preziosa puntualizzazione a Matteo Pio Pazienza, che ringrazio molto) era di proprietà della famiglia dei Baroni Angeloni, ricchi abruzzesi impegnati in politica fin dalla metà ottocento (un componente della famiglia fu senatore del regno, titolo che all’ epoca si acquisiva con nomina regia, come da Statuto Albertino).
L’intervento di Pazienza, che possiede documenti che certificano inequivocabilmente quanto detto, pone fine anche ad una vecchia querelle sul nome del palazzo, che secondo taluni si chiamava Angelone: non è così.
Il palazzo sorgeva tra via San Lazzaro e vico Aquila. La zona interessata al crollo venne successivamente bonificata: dell’antica struttura medievale sopravvivono oggi gli archi (visibili nel cantiere di un palazzo in costruzione in via Cappuccini) mentre del palazzo Angeloni si conserva nella sezione lapidea del museo civico il portale in pietra, con lo stemma scolpito nell’architrave (per saperne di più potete consultare questo bell’articolo di Lucia Lopriore La storia di Foggia sulle pietre su FoggiaRacconta).
Geppe Inserra
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Il palazzo era di proprietà della famiglia dei Baroni Angeloni, ricchi abruzzesi impegnati in politica fin dalla metà ottocento.
Infatti un Angeloni fu senatore del regno ( titolo che all' epoca si acquisiva con nomina regia – vedi Statuto Albertino ).
Tutto ciò lo posso dimostrare in quanto mi pregio di avere documenti notarili di famiglia che dimostrano i rapporti economici e di buona conoscenza che avevamo con il casato degli Angeloni
Articolo interessant e bellissimo, gazie per tutte le notizie e informazioni preziose che ci date. Buon lavoro.