Com’era Foggia nell’Ottocento

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Sfoglio sempre con una certa emozione gli annali del Poliorama Pittoresco, periodico che veniva pubblicato nell’Ottocento a Napoli, con l’ambizioso obiettivo, dichiarato nel sottotitolo della testata, “di diffondere in tutte le classi della società utili conoscenze di ogni genere e a rendere gradevoli e proficue le letture in famiglia”.

Un obiettivo del tutto riuscito, stando a quanto afferma Romualdo Gianoli, che lo ha studiato in relazione ai suoi contenuti scientifici, giudicandolo “un sorprendente esempio di divulgazione scientifica ante litteram (per l’incredibile modernità dell’approccio e della realizzazione) oltre che una vera miniera di informazioni e dati storici”.

Altro che Borbone retrogradi. Sentite un po’ che aggiunge Gianoli: “Confrontando questo periodico con altre pubblicazioni analoghe di quel periodo, quali il britannico Penny Magazine (1832-1845) o lo statunitense Scientific American (1845-oggi), si è avuta un’ulteriore conferma di quanto il Regno delle Due Sicilie fosse assolutamente al passo con i tempi e pienamente partecipe del processo di evoluzione della comunicazione verso quelle forme che già prefiguravano la moderna divulgazione scientifica.”
Il Poliorama Pittoresco veniva stampato a Napoli dagli editori Pergola e Cirelli, e pubblicava storie, saggi, poesie e poemi accompagnati da splendide illustrazioni litografiche. È per questo che sfogliarlo, seppur digitalmente, è un piacere. Purtroppo i numeri disponibili negli archivi italiani sono lacunosi. Per fortuna, il Getty Research Institute ha digitalizzato questo immenso patrimonio, e quell’insostituibile strumento di conservazione e condivisione della conoscenza che è Archive.org lo ha messo in rete.

Lettere Meridiane ha pubblicato, in passato, alcuni estratti dal periodico di particolare interesse per la Puglia e la Capitanata (ve li riproporrò nei prossimi giorni). Stamattina mi sono imbattuto in un “reportage” da Foggia, firmato da Giuseppe de Luca, foggiano, esponente della nobiltà cittadina. Il suo articolo è interessante perchè, a parte talune ingenuità come la lunga descrizione del Cimitero e la poesia attribuita al pastore, fornisce un vivace affresco del modo di vivere e di autorappresentarsi della città nel XIX secolo. Di particolare interesse la descrizione dei costumi in uso della città, da parte del popolo.

Il Poliorama Pittoresco lo pubblicò nel n. 38 (a. II – 1838, pp. 298-300), con una bella illustrazione che mostra la città vista dalla villa, e con il titolo Foggia sua storia, descrizione e costumi. Potete leggerlo di seguito. State in campana, perché nei prossimi giorni Lettere Meridiane pubblicherà altre chicche del genere. L’immagine è stata colorizzata con l’uso di algoritmi d’intelligenza artificiale. Trovate nel corpo dell’articolo quella originale. (g.i.)

*  *  *

Quando il famelico Saraceno con grossa falange d’armati tempestando erompeva, e gavazzando nel sangue bruttava le misere contrade dell’Italia nostra, la città di Argirippa o Arpi nella Daunia , edificata da Diomede re di Italia, era dalle fondamenta smantellata. Gli abitanti sperperati, fuggendo ed accattando la vita , si ricovravano a cinque miglia lontano nel mezzo ad una vasta pianura ricca d’erbe, di biade e di vigneti, e fabbricavano una nuova città chiamandola Foggia, ex foveis, dalle fosse che tuttora vi sono per riporvi il ricolto della messe. Così nel X secolo esordiva una delle più belle città del nostro Reame. È conto per l’istoria che Drogone, strenuo capitano dei Normanni, nel 1048 ne fece aspro governo. Sotto la Dinastia Angioina era partita per rioni chiamati Pittagia; così Pittagium Palatii dall’abitazione del Re, Pittagium S. Thomæ dalla chiesa di S. Tommaso, Pittagium S. Maria dalla maggiore chiesa ec.

Federico II l’ebbe cara e la volle decorata di un magnifico palazzo, dove nel 1240 convennero a parlamento i Baroni del Regno. Re Manfredi, che sulle rovine dell’antica Siponto fabbricò la città di Manfredonia, in Foggia lunga pezza dimorò, e nel 1258 quivi si fece incoronare. Carlo 1° d’Angiò, lasciandovi una villa ed un palazzo, nel 1284 vi moriva, e la spoglia mortale di lui con pomposo convoglio menavasi in Napoli, ove ebbe gli onori della sepoltura. Per forti scosse di tremuoto le mura mura di Foggia pressocchè tutte nel 1731 crollarono, ma sursero poscia più grandiose e più idonee all’odierno incivilimento. Oggi l’ornato della città è semplice ed elegante. Il Duomo eretto da Roberto Guiscardo, fu da Guglielmo II di sceltissimi marmi abbellito , con 2 intagli di fogliami , ghirighori e rabeschi. Sul primo entrare del tempio vedesi in marmo il busto di Giuseppe Rosati perito medicante ed egregio matematico; egli fu grande ornamento di Foggia finche visse ed i concittadini in pegno di grato animo gl’innalzarono quel monumento. Da lato vedesi un trofeo d’armi con in mezzo il busto del Maggiore Giovanni Basile, che incontrò la morte perseguendo i masnadieri per le campagne della Puglia. Questi marmi sono chiarissimi argomenti d’incivilimento, come quelli che attestano allo straniero che le lettere consociate alle armi sono la base d’una Nazione, e che la virtù in Italia è proseguita dalla lode ‘ fin su la tomba, onde animare i giovani ad esser teneri della lor Patria, dedicando tutta la vita per lo suo migliore.


Una immagine di nostra Donna chiamata la Madonna dei Sette Veli, si venera in una ricca cappella di questo massimo tempio, ed è effigiata in un tavolo rattangolare dentro un forellino chiuso da cristallo.
Uscendo da quella Chiesa t’inoltri nella piazza abbondantissima di ogni maniera di commestibili. I palazzi sono di semplice ma non spregevole architettura, e tale è pure il Teatro, il quale è forse il primo del Regno dopo quello di S. Carlo. Sei colonne d ordine dorico sostengono il porticato , e due scale con ringhiere di ferro menano ai palchi. Sopra il Teatro vi è una sala da ballo.
La villa è un luogo di pubblico passeggio ammirabile per le fontane, i tempietti, le aiuole , i poggi e le cascate d’acque. Ventotto colonne distribuite in due file, all’estremità delle quali vi sono due casine, formano il prospetto, e da ringhiere di ferro è occupato l’intercolunnio con tre porte d ingresso. Dopo la villa vi sta un orto botanico. Tutti questi ornamenti, che hanno renduto Foggia eminentemente bella, si devono alle cure del Cavaliere Niccola Santangelo, che non si ristette mai dall’abbellirla in tutto quel tempo che egli Intendente con sì provvide e sagge cure resse la provincia di Capitanata.
Vi sono in quella città dei conservatori dove l’orfanella va a ripararsi all’ombra della croce cibandosi del pane della pietà. Vi è una cattedra di agricoltura, un tribunale di commercio, una società economica ed un Collegio retto dai Padri delle Scuole Pie, che in ogni tempo han fiorito per sapienza e candidezza d’animo, (si permetta questo fiore di riconoscenza a quei gentili che furono gli educatori della mia infanzia e verso i quali nutro la più sincera gratitudine).
Vi è anche in Foggia un Monte dei pegni. Ma fra tanti monumenti che appalesano una città incivilita, mancava un orfanotrofio; ed il Cavaliere Lotti, che con paterna sollecitudine governa la Capitanata aprì questo ricovero a quei tapini, che son orbi dei genitori. Al medesimo si deve anche la biblioteca pubblica, affidata ora alle cure dell’egregio giovane Casimiro Perifano, il quale conoscendo quanto tornino utili i giornali in questo secolo alacre, ed operoso, con filantropica solerzia dà opera perchè uno se ne pubblichi in Foggia.
Fuori le mura della città vi è una larga strada ingombra dai greppi delle fosse pel grano, (vedi la figura che accompagna questo articolo, la quale presenta una veduta di Foggia presa dalla Villa ): e poco lungi vi sta il Camposanto.
L’uomo, dice Chateaubriand, somiglia al cieco Ossian assiso su le tombe dei Re di Morven. Da qualunque parte distende la mano nell’ombre che il circondano , gli vien fatto di toccare le ceneri dei suoi Padri.
In Foggia, un lungo viale di alberi ti mena alla silenziosa dimora degli estinti. Il cardo , l’ortica e qualche fiorellino giallo sono il solo ornamento delle tombe, che ivi come una pagina, che racchiude tutta l’istoria d’un Paese, ti si presentano allo sguardo. Quanti solenni pensieri si volgono allora per la mente! E con quale compiacenza si passano a rassegna i nomi di coloro che vissero vita virtuosa ed utile ai loro simili! Ah! tutti dovrebbero aver cura di essere virtuosi e buoni! Quando l’uomo si muore, sulla tomba di lui si pronuncia severo ed imparziale giudizio. Gli Egiziani davano onore di sepoltura a colui soltanto , che visse vita incontaminata. Un lago partiva l’abitazione dei vivi da quella dei morti, e prima che si tragghettasse il cadavere un araldo ad alta voce gridava: Chiunque tu sii, or che sei spoglio di onori, di ricchezze e di potere, dimmi che hai tu fatto nel tempo della tua vita?…
Allora da quaranta giudici si passavano in rassegna le sue azioni, e si decretava se fosse degno di essere tumulato. E questi giudizi, esclama Filangieri, influirono possentemente ai progressi, che fece la virtù in quella nazione. Essa fu la prima a conoscere la possibilità di sostituire i sentimenti alle sensazioni, le pene ideali alle pene reali, l’ignominia ai tormenti. Ma tutt’i popoli ebbero una religiosa venerazione per le tombe, e di monumenti più o meno magnifici cercarono di decorarle. Una colonnetta con apposita epigrafe era appo i Greci tutto l’onore del sepolcro prima che sorgesse il lusso di sterminate moli.
In Foggia la cristiana pietà di alcune congregazioni, di sette cappelle volle il camposanto decorato. Nella cappella dell’Addolorata vi sta espresso in marmo un genio che piene mani sfronda una corona di rose dallato ad una colomba. Oh ! come è toccante questo quadro di religione, di amore, d’innocenza, e di speranza!
Uscito da quel luogo un sospiro ti viene sulle labbra, e l’occhio si perde in una vasta pianura smaltata di fiori, e ricoperta di quel verde, di cui ama perennemente abbellirsi la natura. Le campagne di Foggia sono amene, e sublimemente malinconiche. E ben ti torna caro nell’ora del tramonto scorgere per quelle immense praterie saltellare i generosi puledri, e gli armenti che all’ovile si riducono. In quell’ora silenziosa, fra l’uggiolare dei cani ed il canto dell’usignuolo, soavemente ti scende all’anima il flebile suono della cennamella. Assiso su la soglia dell’abituro un Pastore levando in alto l’abbronzata mano addita la Patria, e canta.

Dietro i monti, lontano lontano,
Su la cima d’alpestre collina
Fra i burroni nel mezzo ad un piano
Il villaggio natale vi sta;
Dove mesta la bella Clarina
Vede il giorno – che muore d’intorno,
E un sospiro a me forse darà.
Ahi! se l’alme diparte quel monte,
Raggio amico di pallida luna
Al entrambi rischiara la fronte,
Ed i cori congiungi così;
Mentre il volo nel cielo accomuna
La sincera – devota preghiera,
Che disciolgo al tramonto del dì.
Il ruscello, che lambe la sponda
Lene lene mi passa d’innanti,
D’una rosa la squallida fronda
Ei m’adduce, qual pegno d’amor;
La raccolgo, e la bagno di pianti…..
Benedetta! -la mano diletta
Che sull’acque depose quel fior.
Ma se moro col vivo desio
Di veder la nativa collina
La mia tomba ricopre l’obblio,
Ed ignoto il mio nome sarà;
Mentre lieta la bella Clarina
Vede il giorno – che muore dintorno
Nè un sospiro a me forse darà…

A sette miglia lontano da Foggia nell’ottavo secolo venne veduta sur un albero l’effigie della Vergine: la quale perchè cinta di triplice corona, fu detta la Madonna dell’Incoronata. Una dimessa cappella accoglie ora quella sacra immagine, ed a lei traggono immense congreghe di pellegrini che, dopo averla visitata, dirigonsi al Monte Gargano per andare a prostrarsi nell’altro famoso Santuario di S. Michele Arcangelo.
Nello spianato che è innanzi a questa Cappella si celebra nel mese di maggio una grandiosa fiera alla quale concorrono i mercadanti da tutte le parti del Regno a comperarvi abbondanti prodotti della pastorizia e dell’industria.
Molti illustri uomini sortirono in Foggia i natali, tra quali giova rammemorare il Cimaglia, il Rosati e Celestino Galiani, Arcivescovo di Tessalonica, che fioriva verso il 1681. Questi per la sua vasta dottrina veniva chiamato Polistoro ossia letterato universale; ed Appiano Buonafede lo ha inserito nei suoi Ritratti.
Il Foggiano è solerte, versatile e compagnevole con tutti. Parla un dialetto tutto proprio, il pugliese, il quale se non ha lo spirito e la forza del Siciliano e del Napoletano gareggia con entrambi per le grazie.
I contadini vestono una giubba color torchino, un farsetto rosso e portan grosse fibbie d’argento su le scarpe. Hanno i capelli tonduti sulla fronte, ed una lunga zazzera cade su gli omeri. Le donne del volgo sono come da per ogni dove garrule e leggiere: vestono una gonna con lo strascico ricamato d’oro ed appuntato sulla cintura da due nastri, un corsaletto orlato d’oro, ed hanno i capelli intrecciati con nastri rossi, e con in mezzo un lungo spillo d’argento. La popolazione è di circa trenta mila abitanti.
Giuseppe dei Marchesi de Luca

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Author: Geppe Inserra

4 thoughts on “Com’era Foggia nell’Ottocento

  1. Apprezzo tantissimo il quotidiano lavoro divulgativo che fa Geppe. Bellisina ed interessante la Foggia ottocentesca descritta da De Luca, una chicca che illumina e puo’ inorgoglire le nuove generazioni.

  2. Un’altra perla offerta dalla seducente penna di Geppe Inserra. Straordinariamente bella e unica, come le altre va a impreziosire la storia della nostra città, purtroppo sconosciuta agli stessi foggiani.

  3. Interessante e anche commovente la descrizione
    di Foggia dell’ottcento e prima ancora ,purtroppo mi rendo conto di quante cose nn si conoscono di questa nostra citta’ che ha tanto bisogno di essere amata e rispettata,grazie

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