Tra gli scrittori che sono passati da Foggia e ne hanno parlato male, il posto d’onore va probabilmente attribuito a Paul Louis Courier, celebre e raffinato polemista francese che visse per alcuni anni nel Mezzogiorno d’Italia, quale capitano di artiglieria dell’esercito napoleonico. Spirito caustico, preferiva la cultura e lo studio alle armi, e nelle sue Lettere dall’Italia, ha lasciato argute descrizioni delle città incontrate durante le sue missioni militari. L’opera possiede un valore letterario rilevante: qualcuno ha paragonato l’autore a «uno Stendhal più erudito.»
Tra le città visitate c’è Foggia, da cui passò e in cui soggiornò per almeno un paio di circostanze, documentate, appunto, dalle Lettere. Il giudizio verso il capoluogo dauno è tutt’altro che lusinghiero, come si vedrà.
Il primo approccio con la Capitanata risale al 31 ottobre 1805, quando, dovendo raggiungere Barletta per prendere il comando del reparto di artiglieria dell’esercito francese, Courier fece sosta per la notte a Serracapriola, «graziosa cittadina dell’ interno» e per poco non ci scappò la rissa: «Siccome non si volevano alloggiare i miei cavalli con me, tentai di fare un po’ di baccano e minacciai di sfondare la porta della scuderia, ma non era il caso di sostenere il tono di questo discorso. L’ospite, che sembrava un uomo d’ importanza, mi disse: ho là cinquanta albanesi ben armati, non veniteci a provocare. Vidi infatti codesti albanesi, che sono bravazzoni indiavolati, mi servirono a tavola con daga al fianco e mi parlarono con molta cordialità.»
Il 1° novembre è a San Severo, dove alloggia presso i Celestini. Il 2 scende a Foggia, dove si trattiene fino al 4, ospitato da don Celestino Bruni. Memorabile la descrizione del viaggio da San Severo a Foggia, che Courier compie in mezzo alle greggi transumanti: «Camminammo in mezzo a più di centomila montoni che discendevano dalle montagne d’Aquila per passare l’ inverno nei piani delle Puglie; ciarlai coi loro pastori, che sono specie di selvaggi. C’erano anche grandi mandre di capre: è tutta roba del re.»
A bordo di una vettura prestatagli dal suo ospite, raggiunge Cerignola («ove Consalvo di Cordova dette una famosa battaglia – scrive nella lettera -; passai sul ponte che Baiardo difese solo contro gli spagnoli: è lungo, e così stretto che due vetture di fronte non vi possono passare») e da lì approda finalmente a Barletta.
Il secondo soggiorno foggiano dev’essere stato meno fugace del primo, perché da Foggia Courier scrive due lettere, rispettivamente datate 24 marzo e 10 maggio 1807. La prima è indirizzata a Francesco «Ciccio» Daniele, «privato bibliotecario del Re di Napoli» con il quale il Nostro era in cordiali rapporti di amicizia. Lo scrittore informa il destinatario del suo cagionevole stato di salute, quindi lancia una pesante accusa alla città: «Qui a Foggia, cioè in terra latronum, pullulano i ladri, ed è un’ arte il rubare così onorata e profittevole, e senza pericoli, che tutti la vogliono fare; chi con lo schioppo, chi con la penna, e meglio anche al tavolino che alla macchia. Gran fatica – conclude Courier offrendo una spettacolare dimostrazione della sua cultura classicista – si prepara ai futuri Tesei.»
Secondo il Francese, chiunque tenterà di ripristinare l’ordine in questa società corrotta e infestata da ladri e truffatori dovrà affrontare un’impresa titanica, come quelle di Teseo.
Courier era arrivato a Foggia da Napoli, che era stato costretto ad abbandonare precipitosamente, per ragioni che le Lettere non chiariscono. Qui si era ammalato, e solo dopo la guarigione riprende la sua attività epistolare. Nel prosieguo della lettera a «don Ciccio» non mancano altri strali verso la città ed i suoi cittadini: «Qui vengo a cercar muli, ma sono tutti asini che in vederli mi fanno esclamare: dov’è il caro don Ciccio qui turpi secernit honestum (che distingue ciò che è onesto da ciò che è turpe, n.d.r.)?»
Le «lettere foggiane» sono scritte in italiano e non in francese, come il resto. «Che vi pare del mio scriver toscano? Per me, credo scrivervi cruschevolissimevolmente; ma se a caso questo mio cicalare non fosse proprio di nessuna lingua per voi intelligibile, basta, v’è noto l’ affetto mio, e, se non troppo m’ intenderete, indovinerete, almeno quanto vorrei, ma non so significarvi meglio», chiosa Courier nella lettera a Daniele.
Due anni dopo, lo scrittore lascerà l’esercito ritirandosi prima a Roma e Napoli, quindi in Francia, e dedicandosi esclusivamente alla filologia e alla scrittura. Le sue opere – di notevole caratura letteraria – rivelano un’abilità eccezionale nell’uso della lingua francese e un’acuta capacità di critica sociale e politica. La più nota è Pamphlet des pamphlets (1824), d’ispirazione schiettamente progressista, rappresenta una denuncia satirica e mordace contro il sistema politico e sociale.
Ritenuto tra i maggiori polemisti francesi del XIX secolo, Courier verrà ucciso nel 1825 nella sua tenuta di Véretz in misteriose circostanze , probabilmente per motivi politici o per rancori locali legati alla sua personalità schietta e spesso scomoda.
(G.I.)
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Nella ricca documentazione Decennio Francese – Archivio di Stato di Fg non ho ricordo di riferimenti alla figura di Courier.
Non desta meraviglia il giudizio sulla nostra Capitanata, “terra latronum”. Siamo in piena lotta contro il Brigantaggio
del periodo napoleonico
…e perché non far rientrare il pregiudizio del Courier anche nelle mille querelle di lana caprine che assillavano e immobilizzavano la Capitanata? Non si dimentichi
il tentato raggiro ordito ai censuari del fondo gesuitico ex Casa d’Orta dal 1776.
Da quel che leggo nell’articolo, questo Courier non doveva proprio essere uno stinco di santo: abbandona l’esercito (o il contrario?), quindi Roma e poi Napoli abbastanza frettolosamente, la sua alterigia si ferma solo di fronte a ” cinquanta albanesi ben armati” e infine muore di morte violenta in circostanze rimaste poco chiare. Foggia, all’epoca certo una città vivacissima, come tutto il Regno delle due Sicilie era in quel periodo sotto il dominio francese, il Nostro sarà stato anche ben istruito ma non abbastanza saggio da comprendere che se si va in terra straniera sotto il vessillo del dominatore è poco probabile che i buoni villici, liberi dal protocollo e poco adusi alle ipocrisie di corte, pensassero di accogliere ” ‘u franges’ ” con tappeti rossi e squilli di tromba. A me pare che il Courier non abbia fatto molto per socializzare con “questa specie di selvaggi” e queste lettere sembrano più il frutto di un risentimento che l’analisi obiettiva del clima che animava la città durante quel periodo, ma naturalmente è una mia impressione, assolutamente di parte e soggettiva come quella del Courier. Come sempre le campane vanno ascoltate tutte.
Grazie per questo suo salace e stimolante commento, spero di poterlo approfondire.