
C’è una pietanza, anzi un dolce, che più di ogni altro unisce popoli, costumi e culture. Non lo direste mai: è il grano cotto — u cicc cutt, in dialetto foggiano — che si prepara in occasione della Commemorazione dei Defunti, secondo una tradizione che affonda le sue radici molto indietro nel tempo, addirittura nel mito.
Nelle sue infinite varianti, e con il nome più diffuso di colva, il grano cotto è presente in diverse regioni italiane – non solo in Puglia, che lo ha inserito nel catalogo dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali – ma anche in Basilicata, Calabria e Sicilia, e poi oltre i confini nazionali: in Grecia, in Ucraina e in Russia.
È un filo rosso che attraversa la cultura greca classica, quella bizantina e le tradizioni slave ortodosse. A collegarle c’è la simbologia del piatto, che commemora i defunti ma, al tempo stesso, celebra la vita, la rinascita, la resurrezione.
Le origini si perdono davvero nella notte dei tempi. Gli ingredienti del grano cotto ricordano infatti quelli della panspermia, che si preparava nell’antica Atene durante la festa dell’Anthestiria, che veniva celebrata in onore di Dioniso, dio del vino e della fertilità. Secondo Maria Paravantes «veniva considerata un omaggio al ciclo di vita, morte e rinascita.»
I chicchi di grano e della melagrana richiamano l’altro illustre mito di Persefone e Plutone. Il dio degli inferi offrì da mangiare alla bella Persefone, di cui si era innamorato e che aveva rapito, un chicco di melagrana e così la legò definitivamente all’aldilà. Secondo Cicerone, Persefone simboleggia il seme del frumento, segno di fertilità.
Come spesso accade, i riti cristiani sono andati a sovrapporsi a quelli pagani. I sapori della panspermia sono stati così ereditati dalla coliva greca, profondamente legata alla tradizione della chiesa ortodossa. Il grano viene infatti benedetto durante le esequie funebri e in altre occasioni.
Nonostante i mille nomi e le mille diverse varianti, gli elementi comuni sono il grano, la melagrana, le noci (simbolo della vita che si rinnova). In Puglia il dolce è noto con i nomi di coliba, colve, cuelestrote e cicc cuott.
La variante più originale ed alternativa è quella siciliana. Qui viene preparata in occasione della festa di Santa Lucia, con il nome di cuccia: al posto del vino cotto si usa la ricotta di pecora e zucca candita anziché cedro. In provincia di Foggia il dolce è diffuso, oltre che a Foggia, a Lucera, Monte Sant’Angelo e in altri centri del Gargano.
Veniamo alla preparazione, così come suggerita da Luigi Sada, autentico guru della tradizione gastronomica pugliese, che indica gli ingredienti in: grano tenero (500 g.), melagrana (una), noci sgusciate e tritate (150 g.), cioccolato amaro ridotto a scaglie (150 g.), cedro candito a pezzetti (100 g.) e cannella (una bacchetta, sminuzzata).
Il grano, che va tenuto in ammollo almeno un giorno prima, va fatto bollire per una decina di minuti, in acqua abbondante. Quindi va messo a raffreddare, dopo aver avvolto la pentola, coperta, in un panno di lana (serve ad allungare il tempo del raffreddamento naturale).
Quando il grano si è completamente raffreddato scolarlo, aggiungere i diversi ingredienti e mescolare bene. Il vino cotto va aggiunto solo al momento di servire in tavola. Diversamente i chicchi si indurirebbero troppo.
In passato alcune versioni prevedevano al posto del costoso cioccolato, altri elementi poveri, come i fichi secchi, anche questi sminuzzati.
Nel resto della Puglia è diffusa l’usanza di condire il grano cotto con chicchi d’uva nera tagliati a metà, e di aggiungere alle noci, le mandorle, naturalmente tritate.
La coliva greca prevede sapori ancora più spartani, che virano verso l’agrodolce. Non c’è il vino cotto, e il grano viene condito, oltre che con i canonici chicchi di melagrana, noci e mandorle tritate, con uvetta, prezzemolo tritato, pangrattato, e zucchero. L’effetto cromatico è particolare, per il candore dello zucchero a velo, punteggiato dal rosso dei chicchi di melograno e dal verde del prezzemolo. Oltre che in Grecia, il dolce viene consumato anche nei paesi balcanici dov’è diffusa la religione greco-ortodossa.
Tutte le versioni hanno però in comune i loro sapori impareggiabili, che sanno di antico e profondo.
Geppe Inserra

Dolce meraviglioso, oltre che rievocativo di una importante tradizione. Da anni ormai lo preparo anche nella mia città di residenza al nord, ed è davvero apprezzatissimo da chiunque voglia provare il suo impareggiabile mix di sapori.
Viva il “grano dei morti”.