Giuseppe Telfener, il miliardario foggiano che inventò la globalizzazione

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Al di là dell’intrinseca importanza dell’evento, la presentazione del libro di Giulia Ajmone Marsan,
su Giuseppe Telfener, che si terrà oggi pomeriggio alla Biblioteca
Provinciale di Foggia, merita qualche ulteriore considerazione. A
collaborare attivamente alla organizzazione della iniziativa è Maurizio De Tullio,
noto agli amici e lettori di Lettere Meridiane per essere Madetù,
disegnatore satirico che negli ultimi tempi si presenta in versione solo
testo, ma anche, e soprattutto, per le sue approfondite ricerche sui
personaggi importanti (anche se spesso sconosciuti localmente perché, si
sa, nessuno è profeta in patria) di Foggia e della Capitanata.
Si
deve a De Tullio (che per questo è stato insignito della cittadinanza
onoraria di Biccari) la scoperta che il grandissimo Ralph De Palma,
l’uomo più veloce del mondo nonché il campione che più di tutti ha vinto
nel mondo dell’automobilismo, e che si affermò in America, ebbe i natali sui Monti Dauni, nella
ridente cittadina biccarese che ha visto nascere sotto il suo cielo
anche il governatore della Banca d’Italia, Donato Menichella.
Tra i
personaggi che Maurizio ha maggiormente approfondito e studiato, oltre a
De Palma, c’è proprio Giuseppe Telfener, cui aveva dedicato
un’approfondita lettera meridiana che vi faccio rileggere più sotto,
preannunciando la pubblicazione di un libro sull’illustre ma purtroppo
assai poco conosciuto foggiano, che si distinse agli inizi del secolo
scorso per essere tra i più grandi imprenditori del mondo, meritandosi
l’appellativo di precursore della globalizzazione di cui lo ha fregiato
Giulia Ajmone Marsan.
Il libro che viene oggi presentato in
Biblioteca (andiamoci, perché ne vale la pena) anticipa dunque in un
certo senso il certosino lavoro dedicato da Maurizio De Tullio a
Telfener. Un altro se ne sarebbe dispiaciuto. Maurizio invece no. Si è
buttato, anima e corpo, nella organizzazione dell’evento, contento che
comunque si tributi un riconoscimento ed un ricordo all’illustre
foggiano.
Una lezione non soltanto di stile, ma anche di quella
passione culturale e civile che hanno avuto modo di conoscere ed
apprezzare benissimo tutti quelli che si sono rivolti e si rivolgono a
Maurizio De Tullio (ma anche a tutto il personale di quel meraviglioso
laboratorio di memoria e di produzione culturale che sono i Fondi
Speciali della Biblioteca Provinciale
) chiedendo aiuto e collaborazione
nella ricerca su questo o quel personaggio storico, su questo o
quell’evento.
Una lezione di stile che andrebbe imparata a memoria
da tutti quegli altri che saccheggiano e copincollano le ricerche di
Maurizio, senza degnarsi nemmeno di citarlo.
Eccovi dunque, con la
raccomandazione di rileggerlo con attenzione, la lettera meridiana che
De Tullio scrisse su Giuseppe Telfener, e che venne pubblicata dal blog il 2 dicembre del 2015, con il titolo Quando l’uomo più ricco d’Italia era il foggiano Giuseppe Telfener.
Un’aggiunta alle tante cose belle e importanti che Maurizio ha scritto nel suo articolo. Il 16 novembre del 1878, il Nostro fu magna pars nella organizzazione dei festeggiamenti per la visità foggiana del Re e della Regina. “Il conte Telfener – raccontano i cronisti dell’epoca – fornì il suo sontuoso equipaggio ai Sovrani con tiro a quattro; e perchè questo uscisse dalle scuderie per una strada larga, egli comprò una casa attigua e abbattè un muro”. 
Che personaggio, vero?
[Una piccola correzione: come scrive De Tullio, la visita reale fu caratterizzata da un evento che passò quasi inosservato, un tentativo di aggressione al Re. Ad esserne autore non fu, però, Alberico Altieri, come si è sempre ritenuto, ma probabilmente un altro. Ma questa ve la racconto prossimamente.]
(g.i.)

* * *

 di Maurizio De Tullio

Per quanto possa sembrare strano, c’è stato un tempo in cui Foggia ha avuto tra i suoi cittadini l’uomo più ricco d’Italia. 
Ingegnere, imprenditore, finanziere e Conte foggiano, si chiamava Giuseppe Telfener, per circa un decennio, verso la fine dell’800, fu un protagonista indiscusso del mondo italiano dell’economia e della finanza.
Con una punta di orgoglio, tengo a precisare di essere stato il primo a occuparmi a Foggia di quest’uomo straordinario, e non conosciuto quanto si dovrebbe, nella sua città.  Data la grandezza e la complessità del personaggio, sto curando (da 12 anni!) una monografia a lui dedicata, che sto completando con la collaborazione di due importanti studiosi, una torinese che vive a Londra e uno studioso nonché docente foggiano. Spero che l’opera possa finalmente uscire l’anno prossimo.
È incredibile ma anche increscioso come a Foggia il suo nome sia passato, in oltre un secolo e mezzo, praticamente inosservato. Eppure Carlo Villani lo conosciamo tutti, abbiamo tutti letto o consultato alcuni dei suoi libri più importanti e popolari. Il suo “Foggia nella storia” (1930) non si occupa di questo nostro primo, grandissimo personaggio. Anzi: Telfener viene solo citato in un veloce passaggio, quando Villani lo presenta come un “gentiluomo foggiano”, un imprenditore che ha fatto fortuna all’estero e che ha messo a disposizione carrozze e denari per ospitare sfarzosamente i sovrani d’Italia (Umberto I e Margherita di Savoia), in visita a Foggia il 16 novembre 1878.
Per la cronaca, proprio alla stazione di Foggia, tale Alberigo Altieri tentò di lanciarsi verso il Re per colpirlo ma fu fermato appena in tempo, tanto che quasi nessuno si accorse di quanto accaduto! Nemmeno i giornalisti presenti, cosicché l’episodio non ottenne alcun passaggio sulla stampa dell’epoca. Era, però, l’anticipo di quanto sarebbe accaduto il giorno dopo a Napoli, quando il sovrano subì il primo dei tre tentativi di omicidio, ad opera del lucano Giovanni Passannante. Il terzo, come si sa, fu ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci nel 1900 a Monza, e gli sarà fatale.

Così, laddove nessun altro storico o giornalista locale ha ritenuto di scavare nella vita di Telfener, foggiano ma dal cognome improbabilmente foggiano, ci ho provato una dozzina di anni fa, attratto – lo ammetto – da questo cognome simpatico e curioso.
Giuseppe Telfener, foggiano da due generazioni, era di origine tirolese (austriaca) e proveniva dalla Val Gardena, al pari di altre quattro o cinque famiglie giunte in terra dauna per motivi non ancora accertati (è uno dei motivi per cui la mia ricerca è così lunga).
Nacque a Foggia nel 1836 (e non nel 1839 come scritto da un frettoloso storico locale, e tanto meno nel 1843 come ha scritto in un libro un altro storico, ma fiorentino). Fu un provetto ingegnere, laureatosi a Napoli, e operò sempre con idee ardite e innovative: progettò per primo la linea Foggia-Lucera (che però non gli fu approvata), lavorò col grande ing. Cottrau per alcuni progetti di ponti ferroviari e in altre tratte ferroviarie meridionali. Ma essendo uno spirito combattivo, si prese la rivincita lavorando con impegno e audacia soprattutto all’estero: prima in Sud America (1876-77) e poi in quella del Nord (1881-82).
In Argentina realizza quella che all’epoca fu per molti anni la ferrovia più lunga del continente, quella che collegò Tucumàn a Cordoba: 546 km (e non 720 come scritto sempre da qualche frettoloso e giovane storico locale…). Impresa straordinaria per la capacità di superare montagne, fiumi, asperità naturali, tanto che quasi tutti gli osservatori avevano previsto un abbandono del progetto. Telfener non lo abbandonò, vi riuscì e passò alla storia come uno dei più grandi e importanti progettisti e costruttori di ferrovie.
Per i suoi meriti imprenditoriali, nel 1877 il Re d’Italia, Vittorio Emanuele II, gli concede il titolo di Conte, e Giuseppe Telfener adotta quale motto nobiliare nominem lavoro honorat, cioè “il lavoro nobilita (nel senso che esalta – ndr) l’uomo”. Il neo Conte continuerà ad avere rapporti molto stretti con i Reali d’Italia, tanto che non pochi lo considerarono, ma erroneamente, “l’economo di Casa Savoia”. Da essi, anni dopo, rilevò e ricedette una grande Villa della capitale.
L’anno dopo (1878) il Governo nomina Giuseppe Telfener Commissario dell’Italia alla grande Esposizione Universale di Parigi (quella che oggi chiamiamo EXPO).
Negli Stati Uniti – dopo aver sposato a Roma nel 1879, in seconde nozze, Ada Hungerford, figlia di un milionario – dà vita ad un ambizioso progetto ferroviario: collegare New York a Città del Messico. L’idea era più articolata: voleva costruire la ferrovia utilizzando manodopera qualificata italiana alla quale avrebbe poi affittato a buon prezzo la terra adiacente, per il controllo e la manutenzione della linea. Telfener assume dall’Italia, tramite un amico impresario, circa 1.200 operai tra lombardi e trentini, che arrivano in Texas agli inizi del 1881.
L’ospitalità precaria e la logistica però delusero le attese e molti abbandonarono l’impresa. Ma il problema serio consisteva nel fatto che lo stato del Texas non avrebbe concesso alcun terreno gratis in quanto le terre libere erano esaurite. Infatti erano stati fatti dei calcoli sbagliati e fu, per l’occasione, revocata la legge del 1856, con grave danno economico per il nostro concittadino.
Telfener non si scoraggiò e portò avanti il progetto tanto che il 4 luglio 1882 a Victoria, dove aveva sede l’impresa, si festeggiò il completamento della tratta Rosenberg-Victoria, per complessive 91 miglia (sulle 350 previste inizialmente), ferrovia subito battezzata “Macaroni Railroad”, cioè la ferrovia dei maccheroni poiché questa era la scritta stampata sui sacchi di pasta che partivano dall’Italia e destinati ai lavoratori italiani.
Nel percorso tracciato da Telfener sono poi nate sei stazioni poi diventati piccoli centri abitati ai quali furono dati, all’epoca, i nomi delle due figlie dell’ingegnere foggiano e di sua cognata, il cognome del suocero, quello di suo cognato oltre a quello (seppur storpiato, per corruzione) dello stesso Telfener: Edna, Inez, Louise, Hungerford, MacKay e Telferner.
Nel 1884 il Conte foggiano, non riuscendo più a finanziare l’impresa, fu citato in giudizio e – dopo un lungo e angosciante processo – costretto a pagare un indennizzo di quasi 400mila dollari.
A fronte di un grande progetto imprenditoriale, si trattò purtroppo anche di un grande insuccesso finanziario, anche se parliamo del primo tentativo da parte di un imprenditore italiano di inserirsi nel campo delle ferrovie negli Stati Uniti, visti i 2 milioni di dollari spesi per realizzare una parte dei 630 km previsti.
Telfener cedette la proprietà al cognato John W. MacKay il 9 gennaio 1885 dopo l’annullamento dei permessi di costruzione e questi la rivendette alla Southern Pacific System.
In seguito, tornato in Italia, Telfener progettò la ferrovia per Vallombrosa (1892), una amena e già nota località montana della Toscana vicino Firenze ed elaborando per l’occasione un brevetto straordinario. 
Per trovare una soluzione al disagio dei villeggianti che si potevano recare in quella località solo in carrozza e dopo molte ore di viaggio, l’ingegnere foggiano progettò una innovativa ferrovia a cremagliera, realizzata fra Saltino e Vallombrosa sulla linea Roma-Firenze, che fu la prima in Italia a superare pendenze addirittura del 22%.
La costruzione di questa breve linea ferroviaria a cremagliera doveva servire sia ai turisti che ai tanti studiosi richiamati dall’importante “Istituto Forestale” e dall’imponente monastero. Dopo aver costituito a Firenze la “Società Anonima per la Ferrovia Sant’Ellero-Saltino”, Telfener lavorò personalmente al progetto, presentato nel novembre 1891 ed approvato nelle settimane successive. Grazie anche a sussidi e sovvenzioni pubbliche, i lavori cominciarono il 23 maggio 1892 e si conclusero il 20 settembre dello stesso anno: tutto ciò in meno di quattro mesi! Incredibile.
Grazie a Telfener si sviluppò in Italia il concetto di turismo montano, sulla scia di quello svizzero, e Vallombrosa divenne la prima stazione climatica italiana. In quell’angolo di paradiso l’imprenditore foggiano costruì anche chalet e alberghi ma negli anni a seguire vicissitudini, stagioni sfortunate, disimpegni, incendi e terremoti lo costrinsero a ritirarsi, minandolo probabilmente anche nel fisico. A ciò contribuì anche un suo coinvolgimento – anche se non diretto – nel famoso scandalo della “Banca Romana”.
In precedenza, grazie ai suoi contributi, di idee e soprattutto finanziari, Telfener aveva dato un grande impulso innovatore alla Società Geografica Italiana, finanziando molte iniziative, viaggi e imprese, tra cui la Sezione di Geografia Commerciale, da lui ideata e per la cui nascita donò una cifra pazzesca per l’epoca: 40.000 lire!
Dalla Real Casa Savoia aveva acquistato a Roma una grande villa che, rinominata Villa Ada (come dedica alla moglie americana, Ada Hungerford, attraverso la cui famiglia aveva potuto concludere le imprese e gli affari negli USA) divenne luogo di incontri politici, culturali, con lo svolgimento anche di concerti e gare di ippica. Oggi è il secondo parco più grande di Roma. Il 25 luglio 1943 quella villa – rivenduta ai Savoia – fu teatro di uno dei momenti più tragici del Fascismo: fu proprio a Villa Ada che Benito Mussolini venne arrestato. Il resto è storia nota.
A Roma Telfener aveva anche acquistato, rimodernandolo, il vecchio Mausoleo/Anfiteatro di Augusto (noto anche come Augusteo), fino ad allora usato per spettacoli di bassa qualità, compresi tornei di bufali! Ma le sue innovazioni si scontrarono con la burocrazia romana che gliele bocciò, costringendo a cederlo.
Si concesse per un breve periodo alla politica (candidandosi con la Sinistra) e in Umbria, nel collegio di Foligno, fu eletto deputato nel 1879. Ma – inviso a molti – fu considerato ineleggibile perché ritenuto “suddito austriaco”, nonostante fosse foggiano da quasi tre generazioni! Prese le cose con filosofia, dimettendosi.
Verso la fine del 1800, a Cenerente nei pressi di Perugia, dove ormai si era ritirato con la famiglia, aveva rilevato un vecchio palazzo del 1394 e lo aveva fatto ricostruire con un nuovo progetto. Nasce così il Castello dell’Oscano, autentica residenza aristocratica, ricca di libri e opere d’arte di grande valore, oggi trasformata in una residenza di lusso.
Purtroppo, però, Giuseppe Telfener godrà poco il Castello dell’Oscano: morirà, prematuramente, a Roma il 1° gennaio 1898 all’età di soli 62 anni. In America i grandi quotidiani titolarono: “Morto a Roma il Conte Giuseppe Telfener, l’uomo più ricco d’Italia”. Sua moglie, la contessa Ada, morirà a Cenerente, sede del Castello dell’Oscano, alcuni anni dopo.
Uno dei suoi figli, Paul, giocò nella squadra della Roma agli inizi del secolo scorso e suo nipote John Daniel – grande amico di Padre Pio – fu il primo amministratore della Casa Sollievo della Sofferenza. Delle due figlie, Edna sposerà invece Gino di Martino, anche lui figlio di nobile, cioè il senatore, deputato e Governatore della Somalia, Conte Francesco di Martino.
Un popolo che dimentica le sue origini, la sua Storia, le sue tradizioni, i suoi figli migliori, lentamente ha già cominciato a morire.
Per questo motivo credo che – come anche per il grande campione dello sport Ralph De Palma – la Città di Foggia debba dedicare a Giuseppe Telfener una via o una qualunque altra struttura pubblica.

Maurizio De Tullio

Al di là dell’intrinseca importanza dell’evento, la presentazione del libro di Giulia Ajmone Marsan, su Giuseppe Telfener, che si terrà oggi pomeriggio alla Biblioteca Provinciale di Foggia, merita qualche ulteriore considerazione. A collaborare attivamente alla organizzazione della iniziativa è Maurizio De Tullio, noto agli amici e lettori di Lettere Meridiane per essere Madetù, disegnatore satirico che negli ultimi tempi si presenta in versione solo testo, ma anche, e soprattutto per le sue approfondite ricerche sui personaggi importanti (anche se spesso sconosciuti localmente perché, si sa, nessuno è profeta in patria) di Foggia e della Capitanata.
Si deve a De Tullio (che per questo è stato insignito della cittadinanza onoraria di Biccari) la scoperta che il grandissimo Ralph De Palma, l’uomo più veloce del mondo nonché il campione che più di tutti ha vinto nel mondo dell’automobilismo, ebbe i natali sui Monti Dauni, nella ridente cittadina biccarese che ha visto nascere sotto il suo cielo anche il governatore della Banca d’Italia, Donato Menichella.
Tra i personaggi che Maurizio ha maggiormente approfondito e studiato, oltre a De Palma, c’è proprio Giuseppe Telfener, cui aveva dedicato un’approfondita lettera meridiana che vi faccio rileggere più sotto, preannunciando la pubblicazione di un libro sull’illustro ma purtroppo assai poco conosciuto foggiano, che si distinse agli inizi del secolo scorso per essere tra i più grandi imprenditori del Mondo, meritandosi l’appellativo di precursore della globalizzazione di cui lo ha fregiato Giulia Ajmone Marsan.
Il libro che viene oggi presentato in Biblioteca (andiamoci, perché ne vale la pena) anticipa dunque in un certo senso il certosino lavoro dedicato da Maurizio De Tullio a Telfener. Un altro se ne sarebbe dispiaciuto. Maurizio invece no. Si è buttato, anima e cuore, nella organizzazione dell’evento, contento che comunque si tributi un riconoscimento ed un ricordo all’illustre foggiano.
Una lezione non soltanto di stile, ma anche di quella passione culturale e civile che hanno avuto modo di conoscere ed apprezzare benissimo tutti quelli che si sono rivolti e si rivolgono a Maurizio De Tullio (ma anche a tutto il personale di quel meraviglioso laboratorio di memoria e di produzione culturale che sono i Fondi Speciali della Biblioteca Provinciale) chiedendo aiuto e collaborazione nella ricerca su questo o quel personaggio storico, su questo o quell’evento.
Una lezione di stile che andrebbe imparata a memoria da tutti quegli altri che saccheggiano e copincollano le ricerche di Maurizio, senza degnarsi nemmeno di citarlo.
Eccovi dunque, con la raccomandazione di rileggerlo con attenzione, la lettera meridiana che De Tullio scrisse su Giuseppe Telfener, e che venne pubblicata dal blog
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Author: Geppe Inserra

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