Di Vittorio, Menichella e lo specchio infranto della memoria

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Secondo la tradizione filosofica indiana, lo specchio è se stesso solo quando è vuoto. Però lo specchio è anche uno strumento indispensabile di identificazione: ci riconosciamo “noi” guardandoci nell’immagine riflessa allo specchio. A pensarci bene, siamo “noi” soltanto perché ci guardiamo allo specchio.Lo specchio è necessario sia per la nostra identità di individui, che per quella collettiva. 

Per la percezione del sè individuale, è sufficiente lo specchio in cui ci guardiamo ogni mattina, in bagno o in camera da letto. Le cose si complicano nella dimensione collettiva: lo “specchio” che permette ad una comunità di riconoscersi, di identificarsi, è la cultura. Una comunità culturalmente povera è come un individuo senza specchio, che non può vedere se stesso: fa fatica a riconoscersi, ad affermare la propria identità. Non è dunque vero che la cultura sia qualcosa di astratto ed intangibile: è uno strumento necessario per l’oggi e per il domani; tanto più efficace quanto più s’innesta nel passato della comunità, consolidandone le “fondamenta”.

Ho percepito distintamente – tangibilmente, perfino – questa dimensione e questa funzione della cultura come specchio dell’identità di una comunità qualche anno fa, quasi per caso, imbattendomi nel progetto “Storie Interrotte”, promosso dal Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione del Ministero dello Sviluppo Economico, quando era presidente del consiglio Romano Prodi. Per strane ragioni, il sito che illustrava il progetto non è più in rete, ma l’intero progetto è disponibile per fortuna nell’archivio del MIUR.  
L’iniziativa era rivolta a cinque “padri fondatori”, protagonisti – come recitava lo slogan del progetto – di “un Sud che ha cambiato l’Italia”.
La sorpresa (e contemporaneamente, l’improvvisa presa di coscienza di come la cultura sia uno specchio, anche se – in questo caso – forse uno specchio infranto) giunse dal fatto che la Capitanata era la maggiore “tributaria” di “padri fondatori”. Dei cinque personaggi cui il progetto era dedicato, ben due sono nati in provincia di Foggia: Giuseppe Di Vittorio, da Cerignola, e Donato Menichella, da Biccari. Gli altri “padri” erano Francesco Crispi e Luigi Sturzo (siciliani, rispettivamente di Ribera, provincia di Agrigento, e di Caltagirone, provincia di Catania) e Francesco Saverio Nitti, lucano di Melfi.
Al di là del dato statistico, la scelta degli ideatori del progetto certificava in modo inequivocabile lo straordinario contributo che la provincia di Foggia – gli uomini della provincia di Foggia – ha dato alla storia del Mezzogiorno e del Paese. Ma è un contributo spesso misconosciuto, se non addirittura rimosso dalla coscienza collettiva. “Storie Interrotte” aveva l’obiettivo di rimettere assieme i cocci dello specchio infranto: riflettere, per far riflettere. 
“Il progetto – scrivevano gli autori, Fabrizio Barca (oggi ministro per la coesione territoriale), Leandra D’Antone e Renato Quaglia – nasce dalla constatazione che è oggi debole, debolissima, la consapevolezza del contributo di idee e di azione degli uomini e delle donne che hanno concretamente lavorato a disegnare il paese. Non vi è un orgoglio diffuso nell’avere questi e altri «padri fondatori».”
“Padri fondatori” è un concetto tipicamente americano e fortemente radicato nella cultura d’Oltreoceano: descrive l’attenzione alle propria “fondamenta”, che si esprime attraverso la conoscenza dei personaggi che le hanno erette, e che produce senso civico, più precisamente quella “civicness” cara a Robert Putnam, che è capitale sociale, risorsa di futuro.
Quanti cittadini, quanti giovani, quanti studenti della provincia di Foggia, della Puglia, del Mezzogiorno, d’Italia, conoscono Giuseppe Di Vittorio e Donato Menichella? E il bello è che l’uno e l’altro non sono neanche mosche bianche, nel senso che si iscrivono dentro ad un patrimonio storico e culturale di straordinario spessore, ma assai poco conosciuto e, dunque, assai poco percepito come qualcosa che ci appartiene: come un’eredità. 
La Capitanata ha dato al Paese statisti ed uomini di governo come (cito a memoria e chiedo venia per eventuali omissioni) Antonio Salandra, presidente del consiglio dei Ministri, Giuseppe Tatarella, vicepresidente, i ministri Gaetano Gifuni e Vincenzo Russo. Ha scritto pagine decisive nella storia del movimento sindacale e bracciantile, attraverso personaggi come lo stesso Di Vittorio, Luigi Allegato, Carmine Cannelonga, Giuseppe “Peppino” Papa, Carmelina Panico, Pasquale Panico, il solo ancora vivente. 
Grazie allo spessore di questo movimento, ha contribuito a fare la storia e la classe dirigente di grandi partiti del movimento operaio come il Psi, di cui ha espresso il segretario nazionale, Domenico Fioritto, e con Ruggiero Grieco che ne fu segretario organizzativo, del Pci. 
Non è forse un caso che Aldo Moro scelse Foggia, più precisamente la sede dell’Istituto delle Marcelline, per illustrare per la prima volta in pubblico il progetto che avrebbe scosso e rinnovato la politica nazionale, di lì a pochi anni: il centrosinistra. Cosa resta di tutta questa ricchezza? Assai poco se occorrono specchi esterni, come “Storie Spezzate” per farci riflettere. (Detto per inciso, le puntate radiofoniche riguardanti i due personaggi pugliesi sono state curate da un gruppo di Bari e da un gruppo siciliano, ed anche questo dovrebbe far meditare).
Però qualcosa si sta muovendo, finalmente. E potrebbe essere il segno di una inversione di Il progetto delle “Storie Interrotte” si situò all’interno di una ricca stagione culturale, orientata proprio alla riscoperta ed alla riconquista della memoria, della cultura come specchio, e come identità.
Il sindacato pensionati della Cgil (Spi-Cgil) di Foggia, lo Spi-Cgil Puglia,  Cgil di Foggia, l’Auser di Foggia, la Provincia, guidata allora da Carmine Stallone, il Dipartimento Scienze Umane della Facoltà di Lettere dell’Università di Foggia, diretto da Franca Pinto Minerva, l’Ufficio Scolastico Provinciale, l’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia Contemporanea e Casadivittorio davano vita al “Laboratorio della Memoria” che proponeva ai giovani che frequentavano gli istituti medi superiori riflessioni sui “giganti della trasformazione”, ovvero i personaggi pugliesi che con la loro vita e con la loro operano hanno propiziato l’emancipazione delle classi meno abbienti. I personaggi prescelti per il primo anno di sperimentazione dell’iniziativa furono, tanto per dire, Giuseppe Di Vittorio e Tommaso Fiore.
Ma la memoria, per essere custodita e tramandate, ha bisogno anche di “cose”: in primis i libri, e sotto questo profilo quella indimenticabile (è proprio il caso di dirlo, ragionando di memoria…) stagione registrò una significativa ripresa d’interesse anche da parte del mondo dell’editoria verso questi temi. 
In soli dodici mesi, venero pubblicati diversi libri importanti: la ristampa (a cura di Francesco Giuliani e con l’introduzione del mai troppo compianto Benito Mundi) de La Povera Vita di Alfredo Petrucci (Edizioni Il Rosone, giugno 2007), che fu la prima opera letteraria sulla difficile condizione umana del Gargano; la prima, organica Storia del P.C.I. di Capitanata (1944-1964) di Mario Pio Patruno (Edizioni SUDEST, luglio 2006), Neanche se mi uccidi – Vita di Peppino Papa, di Giovanni Fiorino Novelli (Spi-Cgil Foggia, giugno 2007), Il compare del popolo – Memorie di un sindacalista rivoluzionario (Edizioni SUDEST, febbraio 2007), dove Enzo Pizzolo raccoglie i ricordi e le “scritture dal carcere” di Marco Pizzolo, amico e compagno di lotta di Di Vittorio, Quel filo rosso di Puglia – Ritratti di Capitanata (Edizioni SUDEST, maggio 2007) in cui Michele Galante racconta un pezzo della storia pugliese del secolo scorso, descrivendolo attraverso i ritratti di Michele Magno, Giuseppe Papa, Gaetano Dalessandro, Nicola Di Stefano, Maria Schinaia, Quella stagione sembra oggi essersi esaurita, nelle pieghe di una crisi economica che si è abbattuta come un maglio sulla produzione culturale. Perché il punto è questo: la cultura non va contemplata, ma prodotta. Diversamente lo specchio torna a rompersi, e la comunità non riesce più a ritrovare se stessa. Proprio quanto sta accadendo in Capitanata.
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Author: Geppe Inserra

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