Ma come parla la scuola?

Print Friendly, PDF & Email

Nei nomi stanno le cose, dicevano i filosofi medievali. Nomina nuda tenemus: non abbiamo che nudi nomi (delle cose), scriveva Bernardo Cluniacense nel De contemptu mundi. L’evolversi del linguaggio racconta dunque anche la storia delle cose alle quali si riferisce. Ma, proprio per questo, occorrerebbe una maggior cautela quando cambiamo nomi alle cose.
Aver trasformato gli ospedali (dal latino hospitale, che è luogo di accoglienza per ospiti e forestieri) in aziende ospedaliere non è stata soltanto un’operazione linguistica: sottende un’evidente scelta ideologica, la rinuncia dello Stato ad accogliere, a farsi carico. La costante modifica dei nomi delle istituzioni rivela da un lato la crisi d’identità dello Stato, dall’altro esprime un rischio di autoreferenzialità. Non riuscendo a modificarsi davvero, lo Stato preferisce cambiare il nome alle sue strutture.
Questo circolo vizioso non risparmia nemmeno la scuola, ovvero l’istituzione che più di ogni altra dovrebbe farsi carico di custodire la saggezza antica dei nomi, di sorvegliare in qualche modo l’evoluzione del linguaggio. La foto che vedete si riferisce alla scuola media statale Ugo Foscolo di Foggia, ma potrebbe essere scattata ovunque, perché tutte le scuole si comportano più o meno allo stesso modo.

Uno sgargiante cartellone ci avvisa che siamo al cospetto dell’IC Foscolo, che per il suo funzionamento si avvale di finanziamenti PON. Se il grande poeta di Zante sapesse di essere assediato da due incomprensibili acronimi, temo si rivolterebbe nel sepolcro.
Il termine “scuola” che dovrebbe rivelare di primo acchito la mission dell’edificio, della istituzione è scomparso: sopravvive solo in una vecchia (e ben più piccola) targa posta all’ingresso, in cui si legge la vecchie e ormai desueta intitolazione: “Scuola media statale Ugo Foscolo”.
Quanti studenti, quanti  genitori, quanti cittadini sanno che IC sta per Istituto Comprensivo, e che “comprensivo” non si riferisce all’etimologia originaria della parola (“prendere con sé”, cioè abbracciare, farsi carico) ma significa semplicemente che per necessità di riduzione della spesa pubblica la scuola Media Foscolo ha accorpato anche altre scuole?
E quanti studenti, quanti genitori, quanti cittadini sanno che PON sta per Programmi Operativi Nazionali, orrenda locuzione, ma in perfetto burocratese, che indica una delle modalità di finanziamento dell’Unione Europea negli Stati Membri?
Qualcuno potrà obiettare che la stessa parola “scuola” è un esempio lampante di come l’evoluzione del linguaggio modifichi profondamente i significati nel corso dei secoli. Il termine deriva dall’antico greco scholeion, che originariamente significava tempo libero, e che si è successivamente allargato fino a riferirsi al luogo dove il tempo libero veniva speso per discussioni filosofiche e scientifiche per giungere  infine al suo significato attuale, che è luogo di istruzione.
Per quanti sforzi si possano fare, sembra improbabile che la locuzione Istituto Comprensivo possa evolversi fino a significare, nel senso comune, scuola. Anche perché, statene certi, alla prossima riforma la burocrazia s’inventerà qualche altra diavoleria.

Facebook Comments

Hits: 34

Author: Geppe Inserra

2 thoughts on “Ma come parla la scuola?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *