Andare oltre i “mi piace”

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Cesare Rizzi riflette con una nota sul suo profilo fb sul fenomeno della raccolta di firme e delle petizioni on line. “Banchetti per strada, petizioni on line stanno diventando una moda… una specie di omologazione della “protesta” – scrive Cesare. I social network, (Facebook nello specifico), riescono grazie al possente tam tam ad amplificare (spesso a distorcere) i contenuti ed a diffonderli in rete, e sulle bacheche dei gruppi…”
Ciò che suscita le maggiori perplessità in Rizzi è che “questa “mania” di raccogliere le firme, sembra appiattire il significato delle iniziative… insomma, sono tutte uguali… ed il significato della “protesta” è, a mio parere, sminuito, vacuo… impercettibile. Può essere mai che ci abituiamo a soddisfare la nostra indignazione con una raccolta di autografi ? e la SPERANZA che fine farà la speranza?”
Come sempre, le tesi di Cesare Rizzi sono particolarmente interessanti.
Partiamo dal dato di fatto. Il fenomeno delle petizioni sottende un evidente desiderio da parte della cittadinanza (più o meno attiva) di tornare ad impossessarsi di spazi della politica che sono stati completamente occupati, quando non usurpati, da ciò che resta dei partiti. (Preciso. Mi riferisco non ai partiti come tali – ché questo sarebbe populismo – ma a ciò che sono oggi, che scontano non solo una crisi di rappresentatività senza precedenti, ma sono del tutto incapaci di capire i problemi della vita quotidiana, delle persone comuni).
Una volta erano proprio i partiti ad organizzare i banchetti, le raccolte di firme. Oggi questa forma di protesta o se preferite di sensibilizzazione (accentuata proprio dalla crisi di rappresentatività dei partiti di cui ho detto) è divenuta prerogativa di nuove organizzazioni politiche come il M5S o pezzi della società civile organizzata o ancora delle reti sociali. 
Condivido le perplessità di Cesare e di molti altri amici che sono intervenuti nei commenti in calce alla sua nota. I dubbi riguardano sia l’utilità concreta del mezzo (si raccolgono firme, le si inviano a chi di dovere, ma poi non cambia nulla), sia il rischio che il prendere parte a queste forme di protesta possa provocare un intorpidimento  della coscienza civile (ho firmato, quindi partecipo) , che per esprimersi ha invece bisogna di ben altri mezzi e di ben altri strumenti di partecipazione.
È questo un fenomeno ben noto in fb, che diventa particolarmente appariscente nel caso degli inviti  agli eventi: il “partecipo” è il più delle volte un’adesione morale, che non si tradurrà nel concreto atto della partecipazione.
Concordo dunque con Cesare: così come non basta accettare un invito virtuale per partecipare concretamente ad un evento, la nostra indignazione non può essere soddisfatta dalla firma apposta sotto una petizione o un appello.
E proprio riguardo al tema della speranza evocato da Cesare, mi sembra molto bella e utile una citazione. “L’ambiente digitale non è un mondo parallelo o puramente virtuale, ma è parte della realtà quotidiana.”
Sapete chi ha scritto queste significative parole? Non un massmediologo, ma Benedetto XVI, poco prima di rinunciare al pontificato. Il Papa si chiedeva, un po’ come fa Rizzi a proposito della speranza, della partecipazione, dell’indignazione, “quali sfide il cosiddetto pensiero digitale pone alla fede e alla teologia? Quali domande o richieste?”
Si tratta dunque di andare oltre. Oltre i “mi piace”, i “parteciperò” a vanvera. Andare oltre per capire, però, cosa questi significhino, quali reali domande di cambiamento implichino, come si può rispondere a queste domande. 
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Author: Geppe Inserra

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