Altro che foggianesimo, la crisi ci ha massacrati

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Trentasettemila posti di lavoro perduti dal 2007, anno in cui è iniziata la crisi. Milleduecentotrentacinque imprese che hanno chiuso i battenti, con feroce concentrazione nel comparto agricolo, vessato da politiche comunitarie che hanno penalizzato il settore portante dell’economia dauna.

Il grido d’allarme e di dolore lanciato dal presidente della Camera di Commercio, Fabio Porreca, durante la Giornata dell’Economia più infausta di sempre, per la provincia di Foggia denuncia con drammatica ervidenza un dato di fatto che è stato troppo a lungo trascurato e sottovalutato, negli ultimi anni: così non si può più andare avanti. Se la Capitanata non riesce a cambiare rotta, e subito, la crisi sarà irreversibile, e non vi sarà altra prospettiva al sottosviluppo.
La responsabilità di tutto questo va ascritta in primis al contesto economico generale, alla  gravità di una crisi che in pochi avevano inquadrato nelle sue dimensioni, che per la provincia di Foggia si sono rivelate addirittura nefaste. Ma non possiamo assolverci semplicemente invocando cause esogene, esterne. A peggiorare la situazione ha certamente contribuito la mancata percezione di quanto stava accadendo. O più precisamente, di quanto avrebbe dovuto accadere, e invece non è successo.
Il fatto è che il modello di sviluppo industriale che, nel bene e nel male, aveva permesso alla Capitanata di crescere, incrinatosi e poi arrestatosi a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, non è stato sostituito da altre opzioni forti di sviluppo (industriale e non).
La crescita degli anni Sessanta venne determinata dal forte flusso di investimenti pubblici, veicolato dalle Partecipazioni Statali e dalla mai troppo compianta Cassa per il Mezzogiorno, ed orientato all’industrializzazione e alla infrastrutturazione del territorio.
Non ci fu soltanto industria, nelle scelte strategiche di quegli anni: basti ricordare che risale all’Eni e al Piano Pitigliani della Cassa l’avvio del processo di valorizzazione turistica del Gargano.
Lo sviluppo rapido della vocazione turistica del Promontorio fu sorretto da una fortunata combinazione tra opere pubbliche e investimenti produttivi: le strade costiere, la superstrada, il villaggio Eni a Pugnochiuso spianarono la strada e funsero da attrattori per una massa di investimenti privati, che la provincia di Foggia non ha più conosdciuto.
Senza investimenti, non c’è sviluppo. Ed è stato proprio il crollo verticale degli investimenti – pubblici e privati – a determinare quel contesto che ha fatto sì che la crisi economia generale si abbattesse come un maglio. La superstrada garganico avviò le premesse per la crescita del turismo garganico: quella strda attende ancora di essere completata. E, dato ancora più allarmante, non se ne ricorda, non ne parla, più nessuno.
All’origine della rarefazione degli investimenti, c’è anche una ragione politica. Le cose hanno cominciato a precipitare per la provincia di Foggia da quando il potere decisionale è passato dall’intervento straordinario alla Regione, diventando una faccenda “politica” e non più la conseguenza di una visione strategica. Il baricentro dello sviluppo si è trasferito verso altre province pugliesi. E non è un caso che queste abbiano reagito molto meglio della Capitanata alla durezza della crisi.
Il “foggianesimo” ha una radice antica, e non nasce soltanto dalla tendenza foggiana a lamentarsi. 
Che fare? Difficile dirlo, cari amici e lettori di Lettere Meridiane. Dopo così tanti anni trascorsi a indossare le vesti di Cassandra sono stanco, e pessimista, come credo lo siano tutti quanti hanno raccontato prima le grandi prospettive che attendevano questa terra, e poi sono stati costretti ad arrerndersi di fronte alla nuda evidenza di uno sviluppo mancato, che sembra aver imboccato la direzione del sottosviluppo.
Per cercare di raddrizzare la rotta, ammesso che non si sia già fuori tempo massimo, bisogna ripartire dagli investimenti. Il rilancio di questioni importanti come la nuova stazione del capoluogo e la  diga di Piano dei Limiti di cui si parla in questi giorni, la dichiarata volontà del nuovo governatore regionale Emiliano di voler privilegiare il programma rispetto alla politica possono essere delle preziose opportunità.
Mas è neceessario che siamo tutti a volerlo.
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Author: Geppe Inserra

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