La pietas assoluta e irrevocabile di Mariateresa Di Lascia

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Ventun’anni fa moriva Mariateresa Di Lascia, scrittrice, dirigente nazionale del Partito Radicale, grande figura di militante per i diritti civili. Di Lascia era nata a Rocchetta Sant’Antonio il 3 gennaio del 1954. Il suo romanzo Passaggio in ombra, ritenuto  tra i più importanti “romanzi al femminile” del novecento italiano, pubblicato postumo, si aggiudicò il Premio Strega 1995.
Dal punto di vista politico Mariateresa Di Lascia, che è stata vicesegretario nazionale del Partito Radicale, quando alla segreteria sedeva Marco Pannella,  è nota soprattutto per le sue grandi battaglie contro la fame nel mondo, contro la pena di morte e per la pace.
Con suo marito Sergio D’Elia è stata fondatrice ed animatrice della lega internazionale per l’abolizione della pena di morte, Nessuno tocchi Caino.
Dalla rivista del movimento, è tratto il racconto Veglia, che Lettere Meridiane pubblica di seguito per ricordare questa grande donna della Capitanata.
Il racconto è particolarmente rappresentativo sia della poetica, che della morale di Mariateresa Di Lascia, scandite da una pietas profonda e irrevocabile, quella che fa dire alla madre dell’assassino, distrutta dall’orrore: “Madonna del dolore, posso pregarti per il mio povero figlio assassino?”
Per saperne di più su Mariateresa Di Lascia e su Passaggio in Ombra, potete leggere il bell’articolo di Mariangela Tota sulla rivista della biblioteca provinciale di Foggia, che potete scaricare cliccando sul seguente link: 
VEGLIA
di Mariateresa Di Lascia
La madre soprassaltò nel cuore della notte perchè una voce severa l’aveva interrogata: Che fai, dormi? Si ricompose dal sonno in fretta, e le mani corsero a stropicciarsi gli occhi. Sentì le palpebre ancora umide al passaggio tremante delle dita, e provò verso loro una specie di rancore: non dormivo, pronunciò a mezzavoce, giustificando che si fossero chiuse.
La stanza era vuota, e la lampada proiettava un fascio di luce bianca su un piccolo tavolo rotondo. Tutto il resto era penombra, che a ondate si animava di un vasto brulichio di cerchi rossi e gialli o di lunghi vermi neri.

Infilò gli occhiali, che teneva legati al collo, ma non vide nulla e cominciò a pulirli dal sale tenace delle lacrima.
Quando tornò la vista ricordò di aver sognato. Si trovava sulla casa sul fiume, la sua prima abitazione da sposata, ed era molto nervosa perché gli oggetti che vedeva appartenevano alle case successive. Voleva chiamare il marito e interrogarlo su questa strana situazione, ma quando si affacciava alla finestra ricordava che era già morto. Improvvisamente si trovava sotto un grande olmo e sapeva che Leone la spiava, nascosto fra i rami.
Scendi!- gli intimava senza vederlo. _ Scendi subito, o quando ti prendo ti uccido con le mie mani! Gli diceva sempre così: ti uccido con le mie mani, che erano state forti e diritte, pronte a picchiare per un nonnulla. E d’altronde, come avrebbe potuto fare da sola, con due bambini arrivati a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro?
Leone!- gli diceva- vado a stendere ipanni fuori. Tu gioca con il fratellino.
Ma dopo un poco che era uscita, un alto pianto la richiamava in casa. -Gli ho dato un sacco di botte_ diceva Leone con la faccetta cattiva e con i pugni ancora chiusi. E come ti implorava quello scemo! Mamma, mamma, aiuto! Le maestre a turno venivano a lamentarsi di lui, dei suoi continui dispetti ai compagni, di piccole malvagità senza scopo che egli compiva continuamente. Ma- come si dice?- figli piccoli, guai piccoli; sebbene una madre non rinunci facilmente ai suoi diritti, nemmeno quando i figli crescono. Così lei aveva continuato con le minacce orgogliose di sempre: Io ti ho fatto e io ti disfo!- gridava a Leone quando rientrava tardi per cena, e lo inseguiva fino sulla porta se tornava a uscire.
Devo sapere tutto di te!- insisteva- Sono tua madre! A questa pretesa irriducibile Leone la baciava a tradimento, e lei sentiva sulle guance il passaggio pungente della peluria mal rasata. – Di che ti preoccupi? Vado fuori a far felici le ragazze e tu resti con il cocco di mamma… Non sei contenta di rimanere in casa con lui?lui non esce, lo sgobbone! Deve studiare tutta la notte, lui!- concludeva sarcastico. -Non parlare così di tuo fratello! Si inviperiva la madre, mentre lo spingeva fuori di casa.
Vai, vai a fare lo stupido per le strade con qualche femminella da quattro soldi.. Allora per consolarsi di Leone, che nella vita non avrebbe combinato nulla di buono, andava dall’altro figlio. -Salvatore!- lo salutava gentile. Lui si girava, distogliendo lo sguardo dai libri e le mostrava il volto, così simile al suo. La madre avrebbe voluto parlargli di tante cose, e avrebbe voluto lamentarsi di Leone, ma Salvatore era schivo per natura e non parlava mai di nulla. Il figlio muto la mamma lo capisce, pensava mentre usciva dalla stanza con l’intenzione segreta di andargli a prendere una fetta di torta. Chissà a chi assomiglia, pensava. Nella mia famiglia siamo tutti chiacchieroni. Tutti come quello stupido di Leone. E anche nella famiglia del padre, buonanima, non si zittivano mai…
Tuttavia, Salvatore era diverso anche dagli altri ragazzi della sua età, e non aveva amici neppure tra i suoi compagni di scuola. A volte, qualcuno era venuto a casa per studiare un pomeriggio o due, ma poi non era più tornato. Perchè?- aveva chiesto la madre quando li incontrava per strada. Ma quelli si stringevano nelle spalle senza saper dire nulla.
Sembrava troppo maturo per l’età che aveva; per questo piaceva alle sue amiche : donne adulte e piene d’esperienza, che non finivano mai di complimentarsi per le spalle diritte, per l’eleganza del portamento, per l’aspetto vibrante. Ciò che riempiva di tenerezza quei vecchi cuori era un’inspiegabile mescolanza di riserbo e di tensione che sembrava emanare da lui. È timido, dicevano comprensive, ma sa il fatto suo, e ti darà tante soddisfazioni!
Con un movimento lieve del capo, la madre assentiva a quei ricordi, abbandonandosi a loro più a lungo che poteva. Sì, ripeteva a se stessa, Salvatore era amato da tutti! Era un ragazzo d’oro, incapace di fare del male…
il giorno degli esami di licenza, era tornato a casa senza dire nulla e si era subito chiuso nella sua stanza. Salvatore!- lo aveva supplicato la madre, trovando la porta chiusa con la chiave. – che è successo Salvatore, sono andati male gli esami? Salvatore, esci subito da qua dentro!- aveva gridato a un certo punto, cominciando a colpire la porta con i pugni.
Allora lui aveva aperto,e, per la prima volta nella vita, la madre aveva avuto il sospetto di non conoscerlo. Salvatore le stava davanti e la guardava senza vederla, come fosse diventata trasparente: desiderò colpirlo con uno schiaffo, ma qualcosa di indecifrabile l’aveva trattenuta.
Viene il tempo in cui le botte non servono più, e nel cuore di un genitore si fa strada uno strano pudore: quasi un’estraneità arrivata non si sa come, non si sa quando. In essa non c’è più consolazione, ma solo il rumore del vento, e della tempesta che si avvicina.
Chi lo sa quando accade che i figli diventano inconoscibili all’amore materno; persone dalla vita segreta e terribile. La polizia venne a portarselo via e a salvarlo dalla furia del quartiere. Il bambino di Nella, la vicina di casa, aveva due anni e un sorriso da strappare i baci: lo trovarono nel pozzo, ma non era annegato.
Salvatore non si difese, e i carcerieri lo ebbero con facilità; al suo passaggio, la madre gridò chiamandolo per nome, ma egli non rispose, e negli occhi gli apparve il biancore del nulla.
Come fosse già morto, pensò la madre, e a questo pensiero il suo cuore ebbe un sussulto straziante, quasi stesse per spaccarsi.
Ah, Madonna addolorata- balbettò- mi sento come se sette spade mi trafiggessero il corpo.

Piangeva, avvolgendo il fazzoletto intorno alle dita scarne, e non si curava più di asciugare le lacrime, che le invadevano il viso e si fermavano nei solchi della bocca. – Non ho capito niente, – continuò in un dolore ossesso- e questo è il mio grande peccato. Non ho saputo leggere nel suo cuore, e ho lasciato cadere ogni domanda… Madonna del dolore- invocò sommessamente- madre di tutti gli uccisi, posso pregarti anch’io… Ho il diritto di farlo anch’io- domandò straziata- Posso pregarti per il mio povero figlio assassino? Appoggiò il capo sulla spalliera della poltrona; fra poco sarebbe arrivata l’alba.
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Author: Geppe Inserra

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