Nella disputa tra Lesina e Sannicandro c’è tutta la storia del Gargano (di Matteo Vocale)

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Un’antica pianta del lago di Lesina

Generalmente si pensa che le dispute confinarie, le liti sugli usi civici siano questioni lunghe, barbose e da addetti ai lavori. L’interessante articolo-saggio di Matteo Vocale, sulla vertenza che per secoli ha contrapposto i comuni di Lesina e di Sannicandro Garganico ci dimostra che non è così, e non soltanto per la bravura con cui l’autore riesca a raccontarla. Matteo Vocale cogli il senso più profondo della storia, di qualsiasi storia: il suo avere effetti piccoli o grandi sulla vita quotidiana delle persone, delle famiglie, delle comunità.
Eccovi di seguito la terza ed ultima parte dell’intensa ricostruzione di Vocale. Alla fine trovate i collegamenti alle tue puntate precedenti.
Nei prossimi giorni in regalo per amici e lettori di Lettere Meridiane un libro digitale contenente tutto il bel reportage.

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Nella bagarre generale delle occupazioni intermittenti delle paludi da parte delle classi operaie, sannicandresi in particolare, guidate da anarchici come Emanuele Gualano e Giuseppe Fioritto (zio di Domenico) contro i latifondisti (segnatamente, gli Zaccagnino) si cementano le basi dell’appassionante storia politica di San Nicandro Garganico del Novecento.
Dopo un’ennesima sentenza della Corte d’Appello di Trani, che il 31 maggio 1909 respinge la pretesa degli Zaccagnino di danni alla pesca a causa dell’apertura della foce Acquarotta ad opera del comune di Lesina, nel 1919 ha inizio l’ennesima vertenza giudiziaria tra San Nicandro Garganico, Lesina e Matteo Zaccagnino più altri affittuari e proprietari, sempre sul diritto di uso civico, per cui è investito un nuovo istituto competente, nato pochi anni prima con la legge n. 1766/1927: il Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici. Segue nuova sentenza nel 1928, con cui si ammette, stavolta, il diritto dei sannicandresi sul lago. Conseguente il ricorso in appello di Lesina e degli affittuari, si perviene infine a due accordi transattivi, con la rinuncia consensuale a tutti i giudizi pendenti in precedenza: il primo accordo stabilisce di provvedere alla puntuale divisione dell’uso della pesca tra lesinesi e affittuari del lago, cosa effettivamente definita nel 1933. Il secondo accordo, del 1934, demanda la risoluzione delle controversie territoriali tra i comuni ancora al Commissario degli Usi Civici, con il contestuale affidamento a una perizia tecnica di determinare, sulla base di documenti storici, il confine tra i due comuni nella fascia tra Torre Mileto e il molino di Lauro, verificando se vi fossero parti del demanio di San Nicandro possedute con uso civico da eventuali concessionari del feudatario di Lesina.

La perizia viene affidata al geometra Lapeschi, il quale definisce che i concessionari, cioè gli affittuari del feudo di Lesina, possedevano con uso civico circa 53 ettari del demanio di San Nicandro, mentre gli eredi Zaccagnino e altri, dovevano rispondere dell’usurpazione di circa 52 ettari appartenenti all’ex feudo e, quindi, al demanio di Lesina. Il comune di San Nicandro si oppone alla perizia, eccependo che Lapeschi aveva sbagliato perché non aveva riconosciuto come appartenente a San Nicandro tutto il territorio lacustre compreso tra Spina Santa e il fiume Apri e, di conseguenza, lo specchio d’acqua dall’Apri alla foce Sant’Andrea (cioè quasi metà lago). Siamo nel Dopoguerra, quando al vertice del Comune di San Nicandro, tra i pochissimi casi del Meridione italiano in cui al referendum costituzionale vinse la Repubblica, salgono le forze di sinistra, socialiste e comuniste: sono gli eredi politici dei fomentatori e dei militanti delle lotte di classe che scrissero enciclopediche e preclare pagine di storia qualche decennio prima. In questo importante momento storico, per cause oggettive, San Nicandro si trova orfana di quella classe dirigente secolare, rappresentata dai latifondisti: è un tappo che salta, favorendo lo sfogo antichissimo di quelle classi proletarie che adesso, oltre a chiedere il conto alla storia, fisiologicamente finiscono per oltrepassare ogni logica politica, al punto da avanzare pretese al rialzo.
Il Commissario degli Usi Civici instaura quindi un contenzioso tra i due comuni, nel quale Lesina si costituisce chiedendo di annullare l’accordo del 1934: domanda accolta con sentenza del 31 luglio 1956, a cui però si oppone San Nicandro dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, Sezione speciale Usi Civici che, a sua volta, con sentenza n. 15 del 13 luglio-21 ottobre 1961 (confermata poi dalla Cassazione), dichiara valida la transazione del 1934 e, perciò, ristabilisce tutto nelle mani del Commissario degli Usi Civici di Bari: ancora vent’anni di processo buttati a mare.
Intanto, la situazione sociale e territoriale precipita in quello che il regista ligure Elio Piccon definì “L’Antimiracolo”, quando nell’Italia del centro-nord si avviava il miracolo del boom economico: molti braccianti, per rifiuto di far compagnia alla sorte di tanti compagni emigrati in cerca di lavoro in Germania, America e Australia, decidono di occupare le paludi di quella che sarà chiamata di lì in poi Sacca Orientale, perché attigua alla risacca dell’argine sudorientale del lago, bonificandone a mano piccoli appezzamenti di terra, o creandosi da se le “carrare”, canaletti di acqua in mezzo alle piante palustri con sbocco nel lago, al fine di installarvi paranze e bertovelli. Stavolta, non troveranno più le guardie dei latifondisti e saranno agevolati anche dalle opere del Consorzio di Bonifica di Capitanata. E’ evidente che gran parte delle paludi bonificate, rientrano in quella fascia nella quale già nel 1622 non fu possibile eseguire la titolazione: nascono terre emerse laddove c’erano paludi, vantate dagli uni o dagli altri e si alterano irrimediabilmente i connotati naturali che le antiche carte identificavano come punti fiduciali o limiti di confine.
Il Partito Comunista sannicandrese, indiscussa potenza politica di San Nicandro per circa un trentennio (c.d. “trentennio rosso”), sarà l’animatore e il facilitatore di tale occupazione. Che pochi anni dopo finisce per conoscere una curiosa quanto drammatica propaggine. A metà degli anni ’60, mentre nei territori di Rodi, Peschici e Vieste si intravvedevano gli albori dello sviluppo turistico ad opera di grandi investitori, spesso forestieri, le classi operaie sannicandresi ne tradussero ombre oscure, che già guardavano all’Isola, la striscia di terra meglio nota come Istmo. L’impeto mai sopito della “riappropriazione” delle terre degli anni precedenti e l’atavica avversione a quelli che potevano diventare i nuovi “padroni”, usurpatori del pubblico demanio, si riversarono anche sull’Istmo, con la rivendicazione che anche i braccianti avevano diritto di “sciacquarsi i piedi a mare” (in verità, si usarono espressioni assai più colorite). Sintomo di tali rancorosi timori, ad esempio, il deputato comunista ed ex sindaco sannicandrese Raffaele Mascolo, nei primi anni ’70 fu incaricato dal partito di interrogare in Parlamento il ministro democristiano Colombo circa le “speculazioni edilizie sul Gargano”, con riferimento a quelli che poi divennero i maggiori centri turistici del Promontorio. Intanto, staffette di favori tra politici dei comuni di San Nicandro e Lesina e corruzione dilagante, trasformarono gradualmente l’Istmo da bosco palustre, quasi incontaminato, costellato solo di sparuti pagliai di pescatori e segmentato dalle foci (Sant’Andrea, la più antica, poi S. Placido e Schiapparo e Acquarotta, a Lesina) e dall’antico “Muro Orientale della Caccia” (c.d. “Muro”) di feudale memoria, in un ricettacolo di disordine edilizio senza precedenti che, alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, finirà per identificare, secondo Legambiente Italia, il quinto ecomostro d’Italia.
Le prime fabbriche si videro a partire proprio da Spina Santa: all’epoca si cominciarono ad intravvedere, tra le dune e le tamerici, anche gli agenti delle “Società”, ovvero le società immobiliari che avevano acquisito i terreni dagli eredi dei vecchi latifondisti o del feudatario, probabilmente uniti in pacchetti immobiliari con palazzi e tenute disseminati in tutta Italia. Nel 1965, ad esempio, i Meola di San Nicandro, tra i primi in assoluto, costruiscono la loro prima casa al mare a seguito di regolare atto di compravendita con la società Lacmar s.r.l. e a seguito di successiva concessione edilizia del comune di Lesina. Negli anni seguenti, però, sarà una babele di occupazioni e costruzioni abusive, contro le quali, per essere fenomeno di massa, la forza pubblica poté (o volle) ben poco.
È proprio in questo periodo che, in quella generale furia populista e al grido di brigantesca memoria “la terra e a’ nostra e nun s’adda tuccà”, nella vicenda del contenzioso demaniale tra i due comuni la politica sannicandrese innesta sapientemente – che fosse a torto o a ragione, per quanto sinora detto – l’enunciato “anche l’Istmo era di San Nicandro”: se ne faranno decenni di campagne elettorali. Che tali restarono, allora, come oggi.
Torniamo, dunque, ai banchi dei tribunali e alla vertenza. Che dagli usi civici involve, perciò e almeno nella teoria dei politici e delle masse che li seguono, sempre più in una vertenza confinaria. E qui, si insedia un altro elemento curioso: il caso degli avvocati Gargano, padre e figlio, che difendono contemporaneamente le due parti in causa. Un caso eclatante, l’icona di un processo imbastito artatamente, secondo tanti, soltanto per alimentare aule di tribunali, giudici e, soprattutto, avvocati e periti.
Per ovviare al ripetersi del contenzioso, la Corte d’Appello di Roma annulla comunque le conclusioni di Lapeschi, stabilendo che per la perizia dovevano essere considerati solo i documenti indicati nella transazione del 1934 e non tutti gli altri utilizzati da Lapeschi. Quindi il Commissario barese, in esecuzione di tale sentenza, citava in giudizio i due comuni e le persone indicate nelle precedenti sentenze impugnate, al fine di addivenire ad una nuova perizia tecnica. All’esito di tale istruttoria, si proponevano alle parti le osservazioni (c.d. contraddittorio), riservandosi il giudice per la decisione. Con sentenze 1 e 2 del 1985, il Commissario stabiliva il confine disponendo la fissazione di 12 titoli (tanti erano anche quelli del 1622/25) nella tratta tra Torre Mileto e il molino di Lauri: in questo modo, circa 13 ettari riportati nel catasto di San Nicandro venivano attribuiti a Lesina, mentre venivano dichiarati di uso civico, quindi del comune di San Nicandro, circa 14 ettari che fino ad allora risultavano al catasto di Lesina. Nulla di fatto: avverso le sentenze, ricorrono ancora alla Corte d’Appello di Roma sia San Nicandro, sia Lesina e resistevano in giudizio anche le parti (eredi Zaccagnino-Masselli e società immobiliari) già costituite nel primo giudizio del Commissario di Bari. La Corte d’Appello, riunisce i reclami in unica sentenza n. 169 del 17/05/1990: le due sentenze del 1985 e quindi la nuova determinazione dei confini, venivano dichiarati nulli perché le sentenze erano state pronunciate in assenza di contraddittorio integrale (cioè mancavano le osservazioni di alcune delle parti in causa). Torna tutto, ancora, nelle mani del Commissario degli Usi Civici di Bari che è costretto a procedere all’integrazione del contraddittorio (ai sensi dell’art. 354 del Codice di Procedura Civile), coinvolgendo cioè, tutte le parti costituite nel primo giudizio di appello, quello del 1961: si chiude così un altro capitolo di 29 anni di processi inutili, buttati alle ortiche.
Ecco che, il 27 novembre 1990, arriva un ennesimo ricorso del comune di San Nicandro: infatti, le parti del processo del 1961 si erano nel frattempo modificate nella natura giuridica, poiché alcune società erano state incorporate da altre, pertanto addivengono al contenzioso soggetti nuovi. Quindi, il comune di San Nicandro cita ora in giudizio sia il comune di Lesina, sia le società una ad una. Le società si costituiscono, chiedendo che fosse stabilito il confine tra Lesina e San Nicandro e, di conseguenza, quali terreni dell’uno dovevano essere restituiti all’altro comune, confermando così il dispositivo di sentenza del Commissario di Bari del 1985. Si costituisce anche Lesina chiedendo che, dopo l’integrazione in contraddittorio di tutte le parti originarie del processo o dei loro successori, fosse disposta una consulenza tecnica, con nomina di un perito esperto di demanio, affinché fosse effettuata nuova indagine, secondo quanto stabilito dalla sentenza d’Appello di Roma del 1961 (quella che dichiarò nulla la perizia Lapeschi e stabilì di istruirne una nuova).
Il Commissario degli Usi Civici, dispone così la consulenza tecnica (CTU), incaricando il perito Mastromarco, che deposita ben 6 relazioni preliminari, mentre i consulenti delle parti in causa (San Nicandro, Lesina e società immobiliari) depositano le loro relazioni. Fatte le conclusioni, la causa passava in decisione, cioè andava verso la sentenza definitiva, stabilendo prima un termine di tempo entro cui sono state presentate dalle parti le relative conclusioni e le memorie di replica alla CTU.
Con sentenza definitiva n. 1 del 10 aprile 2018, quindi, il Commissario degli Usi Civici ammette e fa propria la relazione della CTU, definendo come “la domanda proposta dal comune di San Nicandro Garganico (cioè il diritto di uso civico sul lago) è infondata e pertanto va rigettata”. Ma c’è di più. Il CTU Mastromarco, e quindi il giudice di Bari che ne conferma le conclusioni, nell’interpretazione dei documenti antichi e più recenti, asserisce senza ombra di dubbio che tutti i terreni della Sacca Orientale (quelli cioè da cui nasce il secolare contenzioso e quindi anche la fascia di sponda del lago da S. Nazario a foce Lauro) appartengono a Lesina, tanto che nell’attuale confinazione, San Nicandro deterrebbe indebitamente una fascia di poco più di mille ettari, che di conseguenza sarebbero da attribuire a Lesina, cosicché il territorio di San Nicandro non risulterebbe più bagnato dal lago in nessuna parte e, quindi, cadrebbe ogni rivendicazione di diritto di uso civico sul lago da parte dei sannicandresi.
Messo lo storico punto, sovvengono, ora, due elementi. Il primo è che il comune di Lesina, qualche anno addietro, per mettere fine anticipatamente alla storica vertenza, approvò un’ipotesi transattiva, con cui la giunta comunale si impegnava a lasciare a San Nicandro i mille ettari a taglio di lago. È da dire, tra l’altro, che anche la stessa sentenza di oggi non è esecutiva sul piano amministrativo, poiché occorrerebbero ulteriori procedure in capo ai due comuni e alla Regione Puglia: è opportuno perciò che la politica dica a chiare lettere, ora, cosa vuol fare. E credo che il buon senso conduca da se, sicuramente verso ipotesi collaborative tra i due comuni. Secondo: quanto ha ancora senso, nel 2018, parlare di usi civici, almeno nel caso di specie? Pressoché nessuno. E quando si avrà contezza definitiva delle parcelle legali che i comuni (e le società) dovranno pagare, probabilmente si avrà un maggiore elemento di riflessione.
Intanto, anche le società immobiliari (Siati SpA, Lesina srl, Lesina 2 srl, Lacmar srl) tirano un sospiro di sollievo, sebbene il giudice abbia asserito che i diritti di proprietà “non risultano adeguatamente documentati” e sia “pervenuto alla conclusione della qualificazione delle terre in oggetto come demanio universale”. Negli anni Duemila, infatti, il comune di Lesina, sindaco Antonio Trombetta, decide di prendere di petto la situazione dell’Istmo e, di converso, della Sacca Orientale. Riconosce la proprietà alle società immobiliari, impegnandole, però, a redigere, con la supervisione del comune e della Regione Puglia, un piano di recupero, il meglio noto PIRT. Contestualmente, si sottoscrive un accordo in cui le società si impegnano a vendere i terreni agli attuali possessori ad un prezzo minimo, anzi simbolico. Sebbene le bagarre politiche abbiano fatto sempre trasparire altro, l’intuizione politica di Lesina sembra positiva e intelligente: se Lesina rivendicasse ancora oggi la natura demaniale di quei suoli (Istmo e Sacca Orientale), esporrebbe i manufatti e i loro attuali proprietari allo spauracchio della demolizione totale.
La conclusione della vertenza, di fatto, spiana la strada al proseguimento dell’iter del PIRT, la cui attuazione, è bene dirlo, avrà tempi ancora medio-lunghi ma resta l’unica opzione, probabilmente, per risanare veramente l’Istmo.
Inopportuno, comunque, addentrarci oltre su argomenti più recenti che, purtroppo sembrano tenere ancora banco nei comizi elettorali odierni. Ma è quantomeno utile accennarne, per chi volesse sperimentare una minima riflessione fuori dalle casacche politiche o dai campanili.
Difficile parlare di vincitori e vinti, in questa vicenda, tanto sono antichi e intricati, spesso ancora sconosciuti, i presupposti su cui si fonda. Tuttavia, al di la di chi si voglia ergere a vincitore o lamentarsi vinto, c’è un notizia inoppugnabilmente positiva: il giudice, nella sentenza, ha dichiarato “interamente compensate tra le parti le spese processuali, comprese quelle della consulenza del CTU”.
Matteo Vocale

(3.fine)
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Author: Geppe Inserra

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