Certe volte il passato ritorna, prepotente, affascinante, attuale. Anche quando è stato sepolto e oltraggiato dall’incuria e dall’inciviltà dei posteri. Una campagna di scavo degli archeologi dell’Università di Foggia ha ritrovato i resti della “domus” di Federico II, la seconda residenza che l’imperatore svevo fece erigere a Foggia. La notizia è datata, girava in sordina tra gli addetti ai lavori. È divenuta ufficiale grazie al film di Antonio Fortarezza, “La città ideale”, che si apre con una sorprendente intervista al prof. Pasquale Favia (nella foto), docente di Archeologia Medievale presso l’Università di Foggia che racconta a Fortarezza i risultati degli scavi, svoltisi qualche anno fa. L’area in cui si è registrato il prezioso ritrovamento si trova nei pressi di Masseria Pantano, location dell’intervista. Va precisato che la masseria non coincide con la “domus” federiciana anche se il docente, nell’intervista sostiene che non si può escludere che alcuni materiali del palazzo federiciano siano stati utilizzati per la costruzione dell’edificio rurale.
La città ideale è un’accorata riflessione su Foggia, sul suo degrado, sul prezzo pagato all’arrembante criminalità organizzata ma anche ad un’economia che si è avvitata sul mattone e sulla speculazione edilizia. Masseria Pantano è in un certo senso simbolo di tutto questo: un bene storico che cade in rovina, assediato dal cemento e dall’asfalto, quando un’opportuna valorizzazione dell’area avrebbe potuto schiudere ben altre prospettive. La denuncia del prof. Favia è netta.
“Questa è un’area occupata da tanto tempo, già dall’età protostorica. Abbiamo trovato qualche traccia protostorica, e poi sulla crusta, sul banco calcarenitico che costituisce il sottosuolo di Foggia, le tracce in muratura di questo grande edificio. Forse non avrà fatto colpo il fatto che i resti non fossero di grande evidenza architettonica, non fossero monumentali. Ma lo sapevamo: molte delle costruzioni di Federico II sono state totalmente rase al suolo.
La zona dove abbiamo scavato, che è alla nostra sinistra, ancora verde, ancora intonsa, poteva essere un’opportunità su cui lavorare per un parco tematico, per parchi virtuali, di ricostruzioni, di archeologia sperimentale. Però abbiamo visto anche noi il deperimento. Da un lato, la progressiva espansione edilizia, anno per anno, quasi mese per mese, dall’altro il degrado dell’edilizia storica. Abbiamo ritrovato questi resti, sicuramente del palazzo federiciano, questi marmi, in un’area in cui a poche decine di metri, c’era una discarica di materiale edilizio. Era una zona su cui stavamo quasi rinunciando dopo aver visto questi scarti edili e invece per fortuna abbiamo fatto comunque una verifica. È un gioco strano che ogni tanto succede nella ricerca archeologica. Nel luogo che ti sembra il meno adatto ad avere ritrovamenti significativi abbiamo trovato quasi nella discarica, anche i materiali della domus di Federico.”
Il materiale rinvenuto non ha carattere monumentale ma è lo stesso molto significativo, di importanza nevralgica: accanto alla domus, che era lunga qualche decina di metri, c’erano edifici più piccoli realizzati in terra e in legno, poi una stalla che probabilmente fungeva anche da granaio. Tra i reperti rinvenuti, c’è semplice ceramica d’uso quotidiano, ma anche bellissimi marmi bianchi e colorati e poi piccoli ma significativi frammenti scultorei.
Come mai non si è fatto nulla per valorizzare l’area? Con grande onestà intellettuale e senso civico, il prof. Favia non si sottrae alla risposta: “Quando ti muovi nelle realtà periferiche è difficile la possibilità di ragionare su una valorizzazione. Se vedo i ritmi dell’espansione edilizia non a faccio neanche il tempo di di ragionare.”
Fortarezza però incalza il suo interlocutore:”Un aviatore inglese durante le ricognizioni aeree aveva già identificato vaste aree di interesse culturale e archeologico, tra cui questa. Come mai nel periodo di definizione del piano regolatore fra la fine degli anni 80 e i primi anni Novanta non è stato mai preso in considerazione questa cosa?”
Risponde il prof. Favia: “Questo è vero, e forse è questo il peccato originale. Qui c’era sostanzialmente un secolo di ricerche, un secolo di documentazione, scaffali di carteggi, di atti, documenti, di libri, di volumi, di ricerche scientifiche su queste zone e non avere progettato per tempo, questa sì è una colpa che bisogna assumersi.”
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Chissà che gli scavi nell’area archeologica napoletana adiacente il Maschio Angioino non riportino alla luce la vasca marmorea del Pantano, rimossa da Roberto d’Angiò nel 1317 per essere installata a Napoli, presumibilmente nel parco del castello. La vasca era un prezioso elemento dei giochi d’acqua della domus Pantani.
Piuttosto di ciò che sarebbe potuto essere , mi piacerebbe sapere cosa adesso è possibile o fattibile per non far ripiombare il tutto 9n un altrettanto colpevole e consapevole dimenticatoio?
Sono dispiaciuta! Ho sempre cercato nel mio piccolo di richiamare l’attenzione sull’area di Masseria Pantano, che certamente non poteva cominciare e finire così! La masseria, che negli anni 80 visitai con il mio amico Felice Clima, era a quel tempo, ancora abitata, forse da Rom. Ci riprovai in seguito…e fu ancora peggio: mi obbligarono ad allontanarmi dalla zona!
Posso solo sottolineare lo scollamento che esisteva, ed esiste, fra le varie istituzioni e la mancanza di attenzione che ricevi se non sei ritenuta un personaggio influente !
Sono dispiaciuta per il ritardo con cui ci si è interessati di una struttura ormai persa, e felice per il fatto che comunque a qualcuno sia venuta l’idea di indagare e di farne un film! In bocca al lupo!