Il naufragio dell’Utopia, centosessant’anni dopo

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Dentro un naufragio dimenticato  può esserci una qualche possibilità di futuro, di cambiamento o addirittura di rinascita?

Questa ostinata domanda ha percorso per intero un denso pomeriggio in remoto, una domanda battente, incalzante e mai pronunciata. Una domanda così assurda, incongruente e coraggiosa da non cercare risposte.

Il 17 marzo si è svolto un convegno per commemorare il 130° anniversario dell’affondamento del piroscafo Utopia. Un piroscafo inglese trasformato in bastimento per emigranti, tutti quei biglietti di terza classe, in quell’ultimo viaggio, erano italiani, ne morirono a centinaia, 540. Un disastro marittimo avvenuto nella baia di Gibilterra, sulla soglia geografica oltre la quale, da sempre, si è aperto per l’umanità l’inconnu, oltre il quale il mondo ha sempre avuto termine. Su quel limite perirono tutti quegli uomini e donne e bambini, su una nave con un nome beffardo, Utopia. Svanirono, prima delle Colonne d’Ercole, le loro trepide aspettative di miglioramento, la loro ansia di vita nuova. Poco dopo si infransero anche le possibilità lenenti di ottenere giustizia: né il comandante, né l’armatore, né la Corona Britannica, né lo Stato italiano riconobbero alle famiglie dei naufraghi un risarcimento onorevole, nessuno concesse un indennizzo dignitoso a quei cenciosi partenti meridionali. Pochi anni ancora, e anche la Storia ufficiale avrebbe ingoiato quelle esistenze anonime senza un’orchestra che suona sul ponte a tribordo.

17 marzo 2021, sono passati 160 anni di Unità Nazionale e dentro questo attraversamento intricato chiamato Storia d’Italia, questa data collima.  Una piccola scuola di un’Italia marginale e minore rimbalza l’eco di una coincidenza: l’Unità d’Italia ha la veste dimessa e la lingua dei mille dialetti di quei legni a vapore. Questa Unità ha il sacrificio e lo spasimo di quella gente annegata e di questa che da anni ormai ci tinge di sangue migrante l’abbronzatura ancor prima di poter toccare un suolo ancora così colpevolmente avaro del diritto di cittadinanza.  Riguardando le provenienze degli ospiti del convegno si popola la carta geografica di un’Italia particolare: Monte Sant’Angelo, Faeto, Roseto Valfortore, Fraine, Campobasso, Carovilli, Pescolanciano, Pietrabbondante, Isernia, Benevento, Palermo, Napoli, Asolo, Torino. Un’ Italia varia e periferica, di città e di borghi minuscoli. E in questa geografia si tracciano, nelle voci dei sindaci, degli studiosi, dei ricercatori, degli studenti, le coordinate di una memoria smarrita ma non ancora perduta, di una voglia e un desiderio di raccogliere i brani di questa microstoria per riportare a casa quel tragico anagrafe. Proprio come il parroco della chiesa di Gibilterra, in quel lontanissimo 1891 decise di vergare quei fogli con i nomi in latino di quegli emigranti annientati dopo un sogno amaro durato solo cinque giorni. Quel prete che compilando un documento ha ricomposto le salme di quegli uomini che non hanno avuto sepoltura in un atto di pietas profondo. Quel documento trasmesso, arrivato in Italia, tra quelle contrade meridionali, in ogni piccolo borgo, come un annuncio di lutto inciso e ancora visibile nelle parole dei sindaci dei paesi colpiti.

“Andavano via con la tavola ancora apparecchiata” dice Antonio Conti, sindaco di Carovilli, un’immagine che fa rivivere quel senso di partenza improvvisa, un impulso irrefrenabile per lasciarsi alle spalle la miseria e la fame. La stessa disperazione che attanaglia i migranti che abbiamo oggi accanto, racconta in un intervento pieno di passione Suad Omar, con una grande differenza, avverte: gli emigranti dei bastimenti avevano un viaggio, un biglietto, una destinazione più o meno stabilita, i migranti africani neppure quelle, costretti alla decimazione volontaria nei cimiteri di pietra e di acqua che li dividono dalle mura d’oro tagliente d’Europa.

Pina Mafodda, la storica che ha progettato l’evento insieme all’Istituto Tancredi-Amicarelli di Monte Sant’Angelo e alla Volturnia Edizioni, ha costruito un evento importante, non solo per gli ospiti, ma per il significato globale dell’iniziativa culturale. Pina è stata capace di portare a casa quei nomi di naufraghi, rendere a loro onore e giustizia a quelle famiglie e a quelle terre periferiche e marginali che tanto hanno dato all’Italia. Come ha affermato Leoluca Orlando, si tratta di umanizzare la storia, di tessere e dipanarne storie fatte di un’unica e uguale umanità. D’altronde il grande lavoro che il comune di Palermo sta compiendo, nonostante tutti i venti contrari, sulle tematiche dell’accoglienza e dell’integrazione sono sotto gli occhi di tutti. Così l’esempio del vescovo Felice Accrocca e l’abbraccio caldissimo che la città di Bari seppe dare alla nave Vlora nel 1991 vengono riproposti da Michele Petraroia, presidente dell’associazione di volontariato “Padre Giuseppe Tedeschi”, quale direzione auspicata in una riappropriazione definitiva del concetto di uguaglianza verso  l’orizzonte di un’unica razza umana. Il naufragio dell’Utopia dentro ai mille naufragi delle carrette del mare e dentro al vasto cataclisma che è quest’altro naufragio che ha nome SarsCovid19. Naufragi che pongono l’uomo sul bordo di un fosso buio e spingono verso una catartica luce di rinascita.

Le quasi cinque ore di discorsi, domande, interrogativi sono fuggite nelle voci accalorate che parlavano di Utopia e dei suoi passeggeri in un continuo intersecarsi tra presente e passato, nella evocazione commossa di nomi e cognomi fatta dalle voci dei piccoli alunni dell’Istituto Comprensivo dell’Alto Molise all’interpretazione magistrale del racconto “Vincenza” della stessa Pina Mafodda  a cura di un’alunna del Liceo Artistico di Campobasso, Vanessa Cammarota.

Nel cuore dell’iniziativa hanno preso la parola gli ospiti internazionali: il console italiano a Gibilterra, Patrick Canessa, il direttore del Gibraltar Chronicle, Bryan Reyes e lo storico Paul Backer. Quest’ultimo ha emozionato tutti nella sua commozione nel ricordare i momenti drammatici dell’evento e la memoria e il ricordo che da sempre si custodiscono a Gibilterra.   L’intero evento è stato moderato in maniera impeccabile dalla dirigente Matilde Iaccarino dell’Istituto Comprensivo Tancredi-Amicarelli di Monte Sant’Angelo, che ha richiamato più volte l’attenzione sull’importanza di far rivivere i documenti e portare alla scuola questi frammenti di memoria che hanno bisogno di essere salvati e cuciti, anche nell’ambivalenza dei ricordi, agli eventi della storia collettiva e alle complessità delle vicende individuali.

Una scuola che ha bisogno di sentire il senso del suo operare, di riavere un ruolo unificante tra i saperi e riportare tra i giovani la vitalità di una cultura che non è cattedratica ma profumata d’incontri e di scambi generazionali.

In questo modo, con questo spirito, gli studenti del Tancredi-Amicarelli hanno intervistato lo scrittore Duilio Paiano, dopo la lettura del suo libro “Utopia-il naufragio della speranza”.

I ragazzi hanno colto il senso del lavoro di ricerca e hanno posto domande significative all’autore che ha appassionato i presenti virtuali raccontando la genesi e il perché di un lavoro di tal genere.

Non è il caso dilungarmi ulteriormente, ma pongo in calce a questo piccolo resoconto il collegamento al convegno in modo che possiate sentirne l’afflato e la voglia di suscitare speranza dentro ad un naufragio dimenticato.

Antonio Pirro

l’evento: https://www.youtube.com/watch?v=LwzLokaWvmM

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Author: Antonio Pirro

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