La conserva di pomodoro, rito che va scomparendo

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Una volta, ti accorgevi che l’estate volgeva al termine quando cominciavano a cadere le foglie dagli alberi e nei rioni popolari comparivano certe tende ai garage, che proteggevano da mosche, zanzare e sguardi indiscreti. In quei box si celebrava il rito della “salsa” che coincideva con l’addio alla stagione calda. Presagio di autunno, ma anche cifra visibile dell’usanza antica di prepararsi al freddo incombente, mettendo da parte il cibo. Come fanno le formiche, come si addice a un popolo di formiche.

Farsi la salsa di pomodoro in casa è stato forse l’ultimo sussulto, l’epifania estrema di una civiltà contadina che ormai non esiste più.

La tradizione è stata sommersa dai discount. Proprio oggi ho trovato nella cassetta postale il volantone che pubblicizza il prezzo di una bottiglie di salsa di una nota marca parmigiana: 89 centesimi.

L’industria sconfigge l’artigianato. A volersela fare da soli, oggi, la salsa costerebbe di più (un chilo di pomodori freschi al mercato lo paghi 80 centesimi…) e non offrirebbe le garanzie di igiene e di qualità garantite dalla pastorizzazione industriale.

Eppure la tradizione resiste, sparuta, soprattutto nei quartieri di periferia, dove assieme alle case si costruivano anche i box, individuali e non sotterranei e condominiali, ampi e spaziosi, che consentivano di lavorare con comodo quando era il momento, e di custodire nel periodo invernale la voluminosa attrezzatura necessaria per la salsa, oltre che i vasetti e le bottiglie adibiti a contenerla.

In realtà fare la conserva era qualcosa di più di un modo ingegnoso per avere a disposizione la salsa per tutto l’inverno. Era un momento che riuniva tutta la famiglia, e sospetto che sia questo il motivo per cui la salsa è prerogativa delle mamme, come mia suocera, che si è ostinata  a celebrare questo rito, che coinvolgeva la famiglia allargata, fino a quando le forze glielo hanno consentito.

Battagliera dirigente sindacale per tutto il resto dell’anno, quando arrivava la fine di agosto, dedicava gli ultimi scampoli delle sue brevi vacanze estive a preparare la salsa. In quantità industriale, visto che doveva servire a diversi nuclei familiari, almeno tre. Il rito si svolgeva generalmente in quel di Cerignola, dove la casa era meglio attrezzata, disponendo di un ampio giardino.

Il vivere contadino era fondato su una rigorosa divisione dei compiti. E così alle donne era riservata la materiale preparazione della conserva, mentre gli uomini si occupavano delle incombenze che richiedevano un maggiore sforzo muscolare: trasportare le cassette, riempire e svuotare il pentolone, badare al fuoco. Si lavorava tutti assieme, chiacchierando, scambiandosi battute e divertendosi… E la sera si cenava con un piatto di spaghetti conditi dalla salsa di pomodoro fresco, appena pronta, dal sapore impareggiabile. Era un rito fortemente condiviso e collegiale: temo che oggi – che non si parla più ma si chatta e si sta collegati ai social perfino durante il pranzo –  sarebbe pesantemente condizionato da Facebook

Come ogni rito che si rispetti, la preparazione era scandita da fasi e momenti precisi. Per ottenere il risultato migliore, era necessario che ogni passo venisse eseguito correttamente. Se il meccanismo s’inceppava, o se qualcuno veniva meno al ruolo che gli era stato assegnato, ne risentiva tutto il processo.

Non a caso, quando si parla di società e cultura contadina, le si definisce “organiche”, nel senso che ogni sua componente viveva in un rapporto di stretta relazione con le altre, come se si trattasse di un organismo vivente.

Ma torniamo alla salsa. Le modalità di preparazione e di conservazione non sono univoche, variano a seconda della tradizione e le usanze di ciascuna famiglia, ma occorre rispettare alcune regole, per evitare che la salsa si guasti o peggio ancora che i contenitori scoppino, eventualità che si presentava frequentemente. Quando si parla di salsa, ci si riferisce in realtà a tre distinte ricette: la passata, i pelati, e il concentrato. In tutti i casi, sono importanti la sterilizzazione delle bottiglie e dei barattoli adibiti alla conservazione, i tappi e i coperchi con cui verranno chiusi, anzi sigillati, e la pastorizzazione, ovvero il procedimento necessario per renderli sottovuoto.

Il rito comincia dalla scelta e dall’acquisto dei pomodori, che si comprano a cassetta. Una volta la qualità maggiormente utilizzata era il San Marzano, vanno bene però tutte le specie, purché siano sugose.  È importante anche il grado di maturazione dei pomodori: non devono essere acerbi, ma succosi al punto giusto. Dopo aver eliminato eventuali frutti ammaccati o molli, si deve lavarli accuratamente e tagliarli in quattro o anche a pezzetti più piccoli, mettendoli a cuocere in una pentola, a fuoco lento. Dopo 30′ o 40′ dovrebbero aver raggiunto il grado di morbidezza utile per essere passati nel passaverdura o nell’apposita macchina. Qualora la salsa risultasse ancora troppo liquida, dopo averla passata, può essere fatta addensare rimettendola sul fuoco a sobbollire, fino a quando non avrà raggiunto la giusta consistenza.

Sui condimenti le opinioni divergono: c’è chi evita perfino il sale, che pare riduca i tempi di conservazione, c’è chi a questo punto aggiunge qualche fogliolina di basilico ben pulita, alcuni ci mettono l’aglio. Dipende dai gusti. È comunque il caso di tenere presente che la salsa è una base: una volta aperta può essere condita come meglio si crede.

Quando la passata è pronta, comincia la fase della pastorizzazione. La salsa va immessa nei contenitori: bottiglie o barattoli di vetro, che devono già essere stati sterilizzati per bene e quindi chiusi ermeticamente. La qualità del tappo è di fondamentale importanza per evitare che durante il periodo di conservazione entri aria, che guasterebbe la salsa. Sigillati i contenitori, vanno messi a bollire in una pentola sufficientemente capiente, avvolti da canovacci per evitare che si urtino durante la bollitura e si rompano. Dopo una mezz’ora di bollitura, spegnere i fuoco e lasciarli raffreddare.

La preparazione del concentrato è ancora più lunga e laboriosa, ma il risultato ripagherà del lavoro. Una volta passati i pomodori come abbiamo visto in precedenza, vanno rimessi sul fuoco e fatti cuocere per un’altra ora. Il metodo tradizionale prevede che la salsa così ottenuta vada quindi riposta in piatti o pentole basse, coperta da garze, stesa e messa ad essiccare al sole per almeno tre giorni, rivoltandola di tanto in tanto. Quando è pronta va riposta nei vasetti, che vanno chiusi e messi a bollire come già descritto.

Per conservare i pomodori pelati la preparazione è più rapida. I frutti vanno sempre lavati accuratamente, quindi scottati per qualche minuto in acqua bollente, e messi a raffreddare. Quindi vanno pelati e risposti nei vasetti di vetro, seguendo la procedura già illustrata. In caso di incertezza, è il caso di leggere le Linee guida del Ministero della Salute per la corretta preparazione delle conserve alimentari in ambito domesticoche potete trovare e scaricare qui.

Diciamo la verità, si tratta in ogni caso di preparazioni laboriose che mal si conciliano con un’epoca votata al fast food. Quest’anno ho visto decisamente meno tende davanti ai box della periferia. Un altro pezzo di passato che sta tramontando. Ma forse, proprio per questo, vale la pena lasciarsi tentare…

Geppe Inserra

[La fotografia che illustra l’articolo, dotata di Licenza Common Creative è di Fugzu ed è ripresa dal blog http://ilmondodiluvi.blogspot.com/]

 

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Author: Geppe Inserra

1 thought on “La conserva di pomodoro, rito che va scomparendo

  1. A Bolzano,la mia compagna Anna,di origine calabrese,prepara da anni la salsa. Mia suocera le ha insegnato il procedimento simile a quello foggiano e viene aiutata dal sottoscritto,orgogliosamente foggiano.
    Ogni volta,alla fine della “produzione” mi chiedo (sudato e affaticato) ne è valsa la pena? Sì,soprattutto perché servirà in quantità industriale per figli e nipotine e…per gustare una buona pastasciutta condita da conserva genuina.
    Per fortuna, la tradizione resiste.

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