La nostalgia di futuro e il canto libero di Salvatore Aiezza

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Non succede tutti i giorni che cinquanta foggiani – di differente estrazione culturale e politica – si trovino d’accordo ragionando sul malessere che angustia che loro città. E invece, è successo: a fare il miracolo è stata la presentazione de Il mio canto libero di Salvatore Aiezza (Il Castello Edizioni), svoltasi qualche giorno fa nella Sala Giunta di Palazzo Dogana. Stimolati dalle intelligenti e sagaci domande di Tatiana Bellizzi, dopo il saluto dell’assessore provinciale alla cultura, Billa Consiglio, l’autore, Maurizio De Tullio, Andrea Gisoldi e chi scrive hanno presentato il volume e conversato con un pubblico particolarmente attento e vivace.
L’opera di Aiezza si presta particolarmente alla riflessione ed alla discussione. 
È sostanzialmente un libro sul passato più o meno prossimo del capoluogo dauno, a cominciare dalla storia di quella stazione ferroviaria che, assieme all’aeroporto, ha rappresentato nel corso dei decenni più una croce che una delizia. facendo diventare Foggia un obiettivo nevralgico della seconda guerra mondiale.
Aiezza racconta scrupolosamente i decenni belli della gloriosa stazione foggiana, rasa al suolo dai bombardamenti degli alleati, che si accanirono particolarmente sull’importante nodo ferroviario. Dopo averne illustrato i fasti, l’autore passa a descrivere il declino della stazione ferroviaria, dovuto a scelte aziendali (e probabilmente anche politiche) che hanno progressivamente spostato verso il capoluogo regionale sia i centri direzionali sia strutture di primaria importanza, come la dirigenza centrale e la scuola di formazione.

La narrazione storica, sempre giocata sul filo della nostalgia e dell’ironia, è spesso inframmezzata da gustosi aneddoti. Sintomatico il titolo del primo capitolo: “Foggia e i mezzi di trasporto: fra poco ci restano solo le suole della scarpe.” 
Aiezza si occupa anche delle aziende municipalizzate, che una volta rappresentavano i fiori all’occhiello della civica amministrazione ed oggi versano in una drammatica situazione. Un ampio capitolo (scritto da Maurizio De Tullio) è dedicato alla nascita delle emittenti radiofoniche. Le pagine più struggenti sono tuttavia quelle dedicate al periodo bellico, che Aiezza affronta non occupandosi soltanto dei tragici eventi che provocarono la distruzione della città e la morte di migliaia di cittadini, ma anche raccontando alcune pagine, anche inedite, che riguardano lo sfollamento (cioè l’allontanamento forzato dalla città ormai distrutta di migliaia di famiglia nei comuni della provincia), l’occupazione militare americana e la ricostruzione. L’ultimo capitolo è dedicato alla “grande Provincia”: quel territorio che è (potrebbe essere) una ricchezza da investire per il futuro, se riuscissimo a trasformare la bellezza in un fattore di sviluppo.
È una “nostalgia di futuro” – coinvolgente e intrisa di passione – quella che attraversa tutto il libro di Salvatore Aiezza e che ha fatto da sfondo anche all’interessante dibattito che ne ha accompagnato la presentazione: la dicotomia tra quel che poteva essere, e non è stato, tra quel che potrebbe (ancora) essere, ma non è, mentre Foggia e la sua provincia perdono colpi, annaspano, arretrano. Di nuovo e di consolante c’è stata proprio la vivacità, la passione civile, la tensione morale del dibattito. Una piacevole sorpresa, una bella serata davvero.
Tutti d’accordo alla fine: le responsabilità vanno ricondotte ad una classe dirigente che non ha saputo mobilitare le risorse, esaltare le vocazioni, costruire il futuro. E la chiave di volta del futuro potrebbe stare proprio nella provocatoria conclusione di Salvatore Aiezza che funge da quarta di copertina, e nello stesso tempo dà il titolo al volume: un futuro possibile all’insegna del canto libero, della libertà: “Libero come libero è il viaggiatore che attraversa la nostra immensa pianura, guardandola da un finestrino di un treno in corsa. Libero come il tempo trascorso nei nostri quartieri, da bambini e poi da giovanotti, quando bastava davvero poco per essere felici. Libero come l’etere invaso. da migliaia di radio che, dopo la sua liberalizzazione, ci hanno regalato un mondo nuovo. Libero come il nostro Paese dopo la tragedia della guerra,  con i nostri sfollati liberi di tornare nella loro città dalla quale la furia distruttrice li aveva allontanati. Libero, come libero e bellissimo è il panorama della nostra Provincia; qualsiasi panorama: il Subappennino, il Gargano, la piana del Tavoliere e i Reali Siti… Libero come il pensiero di volare per raggiungere nuove mete.”
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Author: Geppe Inserra

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