Foggia ricorda le ore della sua tragedia. Settantatré anni fa, la città cadde vittima di una delle più atroci e violente incursioni aeree ad opera degli Alleati. I foggiani scoprirono sulla loro pelle che gli Alleati avevano imboccato ormai senza riserve la strada dei bombardamenti strategici, locuzione che sta ad indicare atti di terrore veri e propri, con bombe e raffiche di mitra che venivano dirette, senza distinzioni, sia contro gli obiettivi militari che contro l’inerme popolazione civile.
Mi pare che quest’anno Foggia viva questa ricorrenza in modo diverso dal passato, più consapevole, e questa è sicuramente una bella notizia, nonché il giusto premio per quanti – con il testa il Comitato per il monumento alle vittime dei bombardamenti, ma anche l’Auser, Foggia in guerra, ScenAperta, la Fondazione Banca del Monte – si sono tenacemente impegnati per impedire che scendesse il velo dell’oblio definitivo, su eventi che tanta parte hanno avuto nello scolpire l’identità della città. O più precisamente nel produrre quei “buchi” all’identità che l’hanno resa per decenni malferma e vacillante.
I bombardamenti sono stati una terribile cesura nel delicato processo che porta una comunità civile a riconoscersi in un’identità.
La tragica estate del 1943 non è stata soltanto una brutta pagina di storia: ha ucciso vite umane, ha distrutto memoria e affetti, ha cancellato palazzi, vestigia e tracce.
Non è per nulla casuale che sia stato necessario aspettare per più di settant’anni prima di rendere ai caduti il giusto riconoscimento con un Monumento. Forse occorreva che quella profonda ferita apertasi il 22 luglio del 1943 si sanasse, e che piano piano emergesse una nuova consapevolezza, un nuovo senso di appartenenza, un nuovo orgoglio.
Bisogna riconoscere all’Amministrazione comunale di essersi coraggiosamente e consapevolmente impegnata: il prezioso lavoro di coordinamento svolto a proposito del Monumento, l’idea di istituire un altro momento di ricordo, il 28 maggio (che è la data in cui si registrò il primo raid), quando le scuole sono ancora aperte, ed è dunque possibile coinvolgere più capillarmente scolari e studenti, e questa bella sorpresa di far tenere il concerto della pace del 22 luglio a un compositore straordinario come Piovani, che forse più di chiunque altro è riuscito a scrivere e suonare note di speranza contro le brutture della guerra e del nazismo.
Ma non c’è di che festeggiare.
Lo strappo che si produsse il 22 luglio del 1943 è ancora ben lungi dall’essere ricucito. Tanto per non dimenticare, Foggia fu sventrata e annichilita dalle bombe alleate perché era un nodo ferroviario di prim’ordine e perché la conquista della sua rete aeroportuale, che comprendeva allora l’aeroporto di Palese quale satellite del Gino Lisa, avrebbe consentito agli Alleati di attaccare la Germania al cuore.
Anche per quello strappo, anche per quella cesura, il baricentro dello sviluppo regionale si è via via allontanato dalla Puglia settentrionale, dalla Capitanata e dal suo capoluogo, per spostarsi sempre di più verso Bari.
E chi si lamenta, viene tacciato di foggianesimo. Capita la beffa?
In un certo senso, è come se le bombe non abbiano mai spesso di cadere. Ma sta in quella drammatica estate di 73 anni fa l’innesco di quel processo amaro di declino di un territorio che proprio nella sua posizione geografica trova una delle sue risorse migliori, ma inespresse.
Proprio per questo, questa identità che la città sta piano piano riconquistando, questo ritrovato orgoglio di essere foggiani lascia sperare che le cose possano cambiare.
Geppe Inserra
(La foto che illustra il post è tratta dal libro di Tommaso Palermo, Foggia dal settembre ’43 alla rinascita, Editrice Parnaso)
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