La fontana che una volta si ergeva in via Basilicata, a San Severo, è simile a tante altre fontane che dissetavano i pugliesi nel secolo scorso.
Racconta la storia di un’epoca in cui l’acqua non solo era un bene prezioso, ma era anche difficile da trovare. E le fontane erano non solo una risorsa ed una ricchezza, per uomini ed animali, ma potevano perfino diventare compagne di giochi, come nel caso di questo racconto, intriso di emozione e di nostalgia che ci regala l’amico Alfonso Foschi.
Ne suggerisco la lettura non soltanto ai più anziani, ma anche e soprattutto ai più giovani: vi ritroveranno l’affresco di un’epoca e i suoi valori. Da non dimenticare.
Grazie ad Alfonso per i bel contributo, già comparso qualche anno fa, sul Corriere di San Severo. Buona lettura. (g.i.)
San Severo anni ’40 – ’50 : tra via Sicilia e l’inizio di via Basilicata c’era, e c’è ancora oggi, una piazzetta occupata interamente da un marciapiedi a forma di triangolo sulla cui base, all’epoca, una fontana pubblica forniva acqua per tutti gli usi domestici ai “bassi” del quartiere sprovvisti di acqua corrente in casa.
La fontana serviva anche da abbeveratoio per gli animali, sia randagi, soprattutto cani, sia da lavoro, soprattutto cavalli. Il cavallo, all’epoca, era il più diffuso mezzo di trasporto, tanto per le merci con i carri agricoli, quanto per le persone in carrozzella … e ricordo vagamente il ritornello di una canzone del tempo che cantavano le mie sorelle maggiori: “Oh, come è bello andar sulla carrozzella … sulla carrozzella sotto il braccio alla mia bella …!”
Ho nitido anche il ricordo di quando io e la mia sorella più piccola, per sottrarci alla feroce calura notturna delle estati sanseveresi, eludendo la sorveglianza dei familiari, siamo finalmente riusciti a dormire una notte al fresco su un materasso trascinato sul balcone: all’alba, felici per la nostra riuscita scappatella, siamo stati svegliati dallo zoccolare di un cavallo portato dal suo padrone ad abbeverarsi alla nostra preziosa e generosa fontana.
La fontana, ricordo, fungeva anche da “frigorifero” per le famiglie che abitavano “a portata d’occhio”, potendo cosi sorvegliare frutta bibite e bottiglie di vino in fresco nella vaschetta sottostante al getto dell’acqua.
Com’è facile immaginare, la fontana era anche il luogo aggregante di tutti i “monelli” della contrada (della quale facevo assiduamente parte) perché stimolava la nostra fantasia a creare sempre nuovi giochi, a partire, naturalmente, dagli spruzzi d’acqua tra noi monelli, ma soprattutto verso incauti e sfortunati passanti, specialmente signorine…
Ma il gioco più gettonato, e crudele, era quello della caccia alle vespe: d’estate l’acqua, traboccando dalla vaschetta, creava tutto intorno delle pozzanghere di acqua stagnante sulle quali ronzavano, copiose, le vespe che non potevano sfuggire alla nostra attenzione anche perché qualcuno di noi di tanto in tanto veniva punzecchiato e quindi … scattava la rappresaglia.
Noi monelli ci munivamo di un piccolo recipiente con relativo tappo (per lo più le bottigliette vuote delle famose gazzose) e uno straccetto che bagnavamo per appallottolarlo e farne così una sorta di proiettile. Quindi iniziava la caccia: quando una vespa si posava per qualche istante da qualche parte per necessità sue, veniva colpita catturata e imbottigliata, maciullata o semplicemente stordita. A fine gioco seguiva la conta e la valutazione, non sempre pacifica, dei trofei di caccia e la proclamazione dei vincitore.
Quando, infine, si rincasava, tutti sudati sporchi e con gli abiti infangati, ognuno di noi riceveva la sua giusta dose di sculacciate. Il giorno dopo, tuttavia, sì ricominciava daccapo con altre monellerie simili. In illo tempore, purtroppo (o per fortuna?) non esistevano gli smartphone e le altre mille diavolerie tecnologiche di oggi che inducono i ragazzini nelle quattro mura domestiche ad ingobbirsi davanti ad un computer.
Oggi la vecchia Fontana di Via Basilicata non c’è più e non se ne ha, credo, più memoria nella contrada, lo ne conservo gelosamente una foto (potete vederla qui sopra), scattata poco prima della sua rimozione. Talvolta, quando, in cerca di ricordi, mi capita tra le mani, inizia un muto colloquio come tra vecchi amici che non hanno bisogno di parole per intendersi e così ricordiamo i tempi della nostra pienezza di vita, spensieratezza e voglia solo di giocare. Mai, durante le mie periodiche discese a San Severo da Genova dove risiedo dall’infanzia, ho mancato di far visita alla mia compagna di giochi: l’ho vista prima e per lungo tempo abbandonata, rudere senza più valore; poi scomparsa e sostituita da un dehors di un moderno wine bar. Mi ci sono seduto per un caffè … quanta malinconia!
ALFONSO FOSCHI
Genova
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