Ecco com’erano le mura di Foggia

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Avevo promesso ad amici e lettori di Lettere Meridiane che ci saremmo occupati in questi giorni della seconda parte dell’importante studio su mura e porte antiche di Foggia di Pasquale di Cicco, pubblicato in Foggia Sotterranea, volume collettaneo edito da Claudio Grenzi. Ma prendiamocela comoda, e indugiamo ancora sull’oggetto della prima parte dell’opera dell’insigne archivista, cittadino onorario di Foggia per l’importante contributo dato alla conoscenza del passato e della storia della città.
Se non l’avete letta, la trovate qui: vi si affronta la questione delle mura della città (la seconda si occuperà, invece, delle porte e del palazzo del capitano).
Con dovizie di citazioni e di riferimenti a documenti d’archivio, l’autore ricostruisce la storia delle mura e dei diversi lavori di sistemazione e ristrutturazione che subirono, anche per effetto di eventi bellici.
Dalle carte non siamo in grado di capire come fossero, ma la pianta dell’Angelica ce ne offre  una dettagliata immagine visiva. Le trovate evidenziate in giallo, nella immagine che riproduce un particolare della carta, che ci mostra com’era Foggia verso la fine del Cinquecento (per guardarla integralmente o scaricarla leggete l’articolo fino alle fine). Nella foto a colori, tratta da Google Earth, vedete invece com’è la città oggi, ripresa dalla stessa prospettiva della carta dell’Angelica: un radicale cambiamento, non c’è che dire.
Questo straordinario documento, importante anche perché mostra la più antica immagine dello stemma della città, venne ritrovato agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, da un altro insigne studioso di storia, Giuseppe de Troia, negli archivi della Biblioteca Angelica di Roma.
Disegnata a penna su un foglio delle dimensioni 60 X 50, mostra, oltre allo stemma, il fossato, le mura con i torrioni, le cinque porte della città, chiese, palazzi nobiliari, strade e vicoli. Lo stemma è spiegato da una dicitura in volgare: « L’arma è aqua et fuoco perchè sotto ogni poco, che si cava sottoterra, si trova aqua; et sopra è caldo, fa da mille fuochi; et è detta fogia dalle fosse, che vi sono in gran quantità di grano, perché fossa dicesi in quella lingua loro foggia. Il campo di sopra fiame di fuogo ».


Come ebbe a spiegare lo stesso de Troia in un approfondito articolo pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno il 2 dicembre 1973, «la città era cinta da un fossato lungo tutto l’attuale corso Garibaldi, via Pasquale Fuiani, via Manzoni, ed il piano delle fosse. Le mura erette sulla sponda interna del fossato erano interrotte da numerosi torrioni. Cinque erano le porte: Porta Grande (che nella pianta si vede a destra, in corrispondenza della dicitura “Levante”, n.d.r.), porta San Domenico, porta Reale, porta Piccola (o di San Agostino) e porta San Tommaso. All’ interno, nell’autentico cuore della città sorgeva la piazza Maggiore (via Arpi), piazza del Duomo, piazza della Dauna (piazza Federico Il e corso Vittorio Emanuele), piazza della Pescaria, piazza della porta piccola.
Il centro della piantina è dominato da uno schizzo della Cattedrale, nel suo originario schema architettonico. Vi si ritrovano il pozzo rotondo, i palazzi della nobiltà foggiana, il Tribunale della Terra (ov’è ora il Museo Civico), le Beccharie (ove si trova ora l’Epitaffio), l’Hospitale de Santa Chaterina, tutte le chiese della vecchia Foggia ancora esistenti.
Vengono poi individuati e segnati nella cartina tutti i palazzi della nobiltà foggiana di cui parla esaurientemente il Perifano all’epoca di Carlo V. Il palazzo Marzano, oggi ancora in piedi, il palazzo del Falciglia, il palazzo Brayda, dei Capece, dei Recchi, del Belvedere, dei Turri, dei Caracciolo, dei Lolli, dei Palombi, dei Caraja e dei De Majo costellano la cinquecentesca pianta di Foggia, offrendo così la certezza di una città ricca di nobili architetture cosi come tramanda il Calvanese.»
Fin qui il prof. de Troia. È un vero peccato che il rinvenimento della preziosa carta, che risale ormai a circa mezzo secolo fa, non abbia indotto ad una riflessione sull’opportunità di restituire alla città le antiche denominazioni stradali, o almeno aggiungerle a quelle esistenti.
Così come le mura e diversi dei palazzi che si vedono nella mappa, sono scomparsi anche i nomi delle strade. Con la differenza che mura e palazzi sono stati sconfitti dal tempo. La toponomastica, essendo immateriale, avrebbe potuto (e ancora potrebbe) essere recuperata.
Ma questo è un altro discorso. Per il momento godetevi la bella mappa dell’Angelica, che potete guardare e/o scaricare in alta risoluzione qui.
Geppe Inserra

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Author: Geppe Inserra

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