Il miracolo dimenticato di santa Filomena

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Con l’avvio ufficiale del processo di canonizzazione di padre Antonio Silvestri, è lecito aspettarsi che emergeranno tanti nuovi aspetti ed episodi della vita del sacerdote foggiano vissuto tra gli ultimi decenni del 1700 e i primi decenni del 1800, morto in odore di santità. Come la storia di cui ci occupiamo oggi, che racconta di un evento prodigioso che si registrò nella Chiesa di S.Maria di Loreto (più nota, a Foggia, come Chiesa di Sant’Eligio) tra il 1832 e il 1833. Ebbe quali protagonisti il «prete dell’impossibile», ovvero il nostro don Antonio, e la «Santa delle cause impossibili» ovvero santa Filomena, la cui statua è venerata nel tempio foggiano.

L’episodio viene narrato nella «Relazione istorica della traslazione del sacro corpo di S. Filomena da Roma a Mugnano del Cardinale» scritta da Francesco Di Lucia, il sacerdote che fondò, nel comune campano di Mugnano, il Santuario dedicato alla «santina», morta giovane e martire, a soli 13 anni. Il documento ha particolare interesse per diverse ragioni: venne scritto nel 1833, quando padre Antonio era ancora in vita, ed è una delle rare testimonianze di autori a lui contemporanei, ma non pugliesi, a conferma che la celebrità del sacerdote foggiano aveva oltrepassato i confini regionali.

Il reverendo Di Lucia dedica al fatto verificatosi a Foggia un capitolo del suo libro, cominciando con una vivace descrizione della Foggia degli inizi dell’800, che definisce «città delle principali del nostro Regno, per popolazione, per famiglie illustri, e per commercio esteso». L’autore passa poi a raccontare la storia della statua, fatta realizzare nel 1832 a Napoli da don Domenico Vicedomini «culto e religioso gentiluomo». Al suo arrivo a Foggia, la statua venne benedetta dal Vescovo ed esposta ai fedeli «in nobile e nuova Cappella nella Chiesa della Madonna del B. Consiglio» (è il vecchio nome della chiesa di Sant’Eligio, n.d.r.).

E qui entra in campo don Antonio. «A questa Chiesa – scrive don Francesco – sta unito un Collegio di Vergini liberate dalla corruttela sensuale dal zelo, e carità di un degno Sacerdote, D. Antonio Silvestri fondatore di tanto benefica opera, e che mantiene il culto alla SS. Madre di Dio del B. C. (Buon Consiglio, n.d.r.) e di S. Filomena con fasto, e la S. V. e M. (Santa Vergine e Martire, n,d,r,) corrisponde a quei suoi divoti, e decorò la magnifica statua con questo prodigio.»
E veniamo al fatto. Ad esserne protagoniste e testimoni sono alcune nobildonne, tra le più in vista della città: Lucia Perrone e le sue figlie Concetta, Chiara, Carolina e Marianna, particolarmente devote alla «santina». Come racconta Francesco Di Lucia, le cinque donne «vollero colle proprie mani adornare la statua con alcuni preziosi ornamenti da esse offerti. Ora siccome mettevano un’ ornamento , il viso della statua si arrossiva visibilmente, e col mettere altri si arrossì all’ eccesso in maniera, che fece impressione a tutti quelli ch’erano, in Chiesa il manifesto miracolo.»
Di lì a poco, sempre stando al racconto dell’autore, al fenomeno del rossore fece seguito un altro fatto straordinario: la statua prese a sudare, al viso e alle mani.
In quei giorni don Antonio era malato, ma sentito quanto stava succedendo in chiesa, vi si fece condurre, restando estasiato di fronte a quegli eventi prodigiosi. Deterse la statua con dell’ovatta, che poi distribuì ai fedeli «che la cercarono da per tutto, e la statua , d’alquanto pallida qual’era stata colorita dall’arte è rimasta rubiconda , e più bella.»
L’evento dovette fare molto scalpore, ed è strano che ne sia giunta notizia solo grazie alla «memoria» del reverendo Francesco Di Lucia. Chissà che non sia stato proprio questo episodio ad innescare l’usanza, questa confermata anche da fonti locali, di «adornare» la statua di santa Filomena con monili e gioielli, forse nella speranza che si ripetessero gli eventi paranormali di cui si è detto prima.

Nelle diverse pubblicazioni che ha promosso per diffondere la figura e le gesta di don Antonio, Roberto Papa annota un gustoso episodio che la dice assai lunga sull’amore verso i poveri di don Antonio e sulla sua ingegnosità nell’escogitare i modi più disparati per alimentare le sue opere di carità. Anche in questo caso, di mezzo c’è la statua di santa Filomena.

Per addobbarla convenientemente in occasione della festa, don Antonio chiese ed ottenne in prestito dalla consorte del noto orefice foggiano Sarcinelli un paio di preziosi orecchini. La festa finì e trascorsero diverse settimane. La padrona dei gioielli, visto che don Antonio non si decideva a riconsegnarli, si presentò in Chiesa per reclamarne la restituzione. Il sacerdote ascoltò compunto la signora Sarcinelli, prese la scala per togliere gli orecchini a santa Filomena e mentre stava salendo rivolgendosi alla statua disse, quasi a mo’ di rimprovero: «Hai visto? Ti eri proprio abituata agli orecchini! Ma adesso li dobbiamo restituire.» La signora capì l’antifona e decise di soprassedere, invitando don Antonio a tenersi pure i gioielli. C’è da ritenere che saranno stati venduti per sfamare i numerosi poveri che dipendevano dalla carità di padre Silvestri. Più di 200, secondo Roberto Papa.

Si può credere o meno ai miracoli. Ma quel che è certo è che l’opera di don Antonio Silvestri fu decisiva nel dare ossigeno ad una città alle prese con un’endemica miseria, che lottava quotidianamente per la sopravvivenza.

Geppe Inserra

 

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