Finalmente on line la preziosa Pianta dell’Angelica

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Si è avverato, da qualche giorno, il sogno di ogni studioso o appassionato di storia locale foggiana: è on line la preziosa Pianta dell’Angelica, che documenta con dovizie di particolari com’era Foggia nel 1500.

È rimasta sconosciuta per secoli, fino a quando, negli anni Settanta del secolo scorso, non venne rinvenuta, negli archivi della Biblioteca Angelica di Roma, da quell’insigne studioso ed impareggiabile cercatore di tracce della storia cittadina che è Giuseppe de Troia.

Il documento è di straordinaria importanza, perché è una delle più antiche riproduzione della città e perché conferma l’esistenza del Palazzo Imperiale di Federico II, di cui sono purtroppo giunti fino a noi soltanto sparuti resti (il portale e l’iscrizione, attualmente murati nella fiancata del Museo Civico). Il rinvenimento del disegno consentì anche di stabilire con certezza dove fosse ubicato. La pianta, inoltre, mostra per la prima volta lo stemma della città.

Adesso questa gemma preziosa è disponibile on line, ad altissima risoluzione. Per la gioia di studiosi ed appassionati, con una definizione di dettagli e di particolari di gran lunga più elevata di quella disponibile nelle diverse riproduzioni a stampa che fino ad oggi sono state pubblicate.

Nello scorso mese di febbraio, la Biblioteca Angelica di Roma ha pubblicato parte del ricco materiale cartografico che conserva, su Internet Culturale, il sito che raccoglie cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche Italiane. Tra il materiale pubblicato figura anche la pianta della città di Foggia.

Nella scheda relativa, che potete visionare qui, la pianta viene attribuita ad Angelo Rocca, che non ne fu però l’autore, ma piuttosto il promotore.

Autore raffinato di testi umanistici, curatore editoriale di molti volumi, bibliofilo, Rocca fu un grande intellettuale della sua epoca. Religioso agostiniano, venne nominato vescovo e direttore della Tipografia vaticana. Fu amico personale di umanisti e stampatori di fama internazionale, come Manuzio, ma soprattutto fu il fondatore della Biblioteca Angelica (così denominata in suo onore) che concepì come istituzione culturale aperta, a disposizione di tutti.

La pubblicazione on line del prezioso materiale cartografico rientra in questo spirito di apertura, e gli sarebbe piaciuta parecchio.

La genesi della parte della sua collezione dedicata alle piante delle città italiane è singolare. Viene raccontata da Elisabetta Sciarra nella sua Breve storia del fondo manoscritto della Biblioteca Angelica [La Bibliofilía, Vol. 111, No. 3 (settembre-dicembre 2009), pp. 251-282].

“Angelo Rocca – scrive l’autrice – rivela la propria eclettica personalità anche negli interessi topografici, paesistici e geografici. È dal secolo e XVI che si diffondono libri come gli Atlanti di città, i Teatri italiani, le Descrizioni di paesi; Rocca progetta di rappresentare alcune città d’Italia, soprattutto del Sud, attraverso il filo rosso della presenza in esse di un convento agostiniano e di abbinare alle vedute, fatte realizzare da artisti locali, una descrizione elaborata secondo i parametri dettati da un questionario, da lui stesso inviato ai conventi; questionario e immagini sarebbero andati a costituire un atlante di città che rispecchiasse il viaggio compiuto da Rocca tra 1583 e 1584 in qualità di accompagnatore del Priore Generale dell’Ordine Spirito Anguissola.”

Dunque l’autore della pianta resta anonimo, ma dovrebbe trattarsi di un autore locale.

Potete ammirare la pianta così come pubblicata su Internet Culturale cliccando qui. State in campana, perché nei prossimi giorni pubblicheremo alcuni estratti ragionati del prezioso documento ed alcune elaborazioni per renderlo completamente intelligibile e universale.

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Author: Geppe Inserra

3 thoughts on “Finalmente on line la preziosa Pianta dell’Angelica

  1. Caro Geppe, ti ringrazio per la pubblicazione di questo documento in originale, anche pk in città gira quello che si può definire anche un falso, in quanto l’ing. Salvato ricalcò le linee e le scritte della pianta nella sua idea a fin di bene per renderla più leggibile. In realtà un documento non si… ricalca. E perfino negli uffici dell’ASFG è appeso in bella mostra un quadro con il “falso”. L’autore, come ho affermato varie volte, dovrebbe essere un monaco agostiniano pk l’immagine, per quanto sia dissimetrica, pare “presa” dall’attuale Via Vitt. Civili, ex Bar Polo Nord, in quanto, per certi versi, pare mettere in rllievo, a suo modo, il relativo convento, notato con la lettera E, ossia al V posto subito dopo gli uffici più importanti la cui citazione era ineludibile. Il Monastero di S. Chiara lettera H (Via Catalano, Ricciari, Arpi, Solitario) ne risulta schiacciato, anche se ancora oggi l’immobile si estende su di un’area non trascurabile, peraltro l’estensore lo salta e va subito a quello di S. Domenico F, pure molto vasto ancora oggi (Vico S. Domenico, Vitt. Em., Oberdan) per cui non si può invocare che sia partito dall’antica Porta Picciola e a seguire verso Porta Grande. Lo stemma è reinterpretato e si direbbe “paretimologizzato” pk parla di “acqua e fuoco” infatti, se non sbaglio, si vedono fiamme e fumo, ciò che lascia ipotizzare che l’autore per quanto sapesse disegnare non fosse esperto in araldica né foggiano: in questo caso avrebbe stilizzato lo stemma secondo i dettami araldici e avrebbe avuto contezza, ad esser foggiano, che si trattava di fiammelle (sacre!) e non di fuoco. Nonostante la probabile “toccata e fuga” da Foggia, giusto per disegnare la pianta, l’autore, in cambio, ci da una preziosa informazione dal punto di vista linguistico nella scritta accanto allo stemma “perché fossa dicesi in quella lingua loro foggia” attestando una voce presente, prima della città, dal II secolo d.C., ma con quel “loro” conferma di non essere del posto. Ci lascia notevoli testimonianze, fra l’altro al n. 7 le Beccherie, forse in dialetto: a vucciarijë, come il famoso mercato palermitano, dall’antico francese boucherie, it. beccheria, odierno dialettale: a vucciarìjë per ‘confusione, sporcizia’, in quanto la beccheria fu sostituita da chjanghë anche nel Libro Rosso tr. dal di Cicco, ove si trovano: chianga e chiangare animalei, e che prosegue dopo duecento e più anni l’antico pettagio di Mazzaporci su cui mi sono espresso anche nell’ultimo numero della bella rivista di Maurizio de Tullio: Diomede.

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